13 marzo 2021
In
Relazioni
LA MEDIAZIONE NEI CONFLITTI AMBIENTALI
I conflitti ambientali: caratteristiche e peculiarità – in ottica preventiva
1. Per comprendere le ragioni per cui si è ritenuto opportuno e interessante sperimentare l’applicazione dei procedimenti di mediazione ai conflitti ambientali, occorre innanzitutto comprendere di che cosa parliamo quando parliamo di conflitti ambientali.
Ebbene, innanzitutto, parliamo di istanze di giustizia ambientale. Tra i casi più emblematici che vengono sottoposti all’attenzione dei tribunali, vi sono quelli che riguardano i rapporti fra uomo e natura, l’accesso alle risorse, la preservazione del paesaggio e dei beni culturali, della biodiversità. Ma anche le controversie in materia di agricoltura sostenibile, inquinamento da allevamenti intensivi.
Oggi, anche le questioni più strettamente connesse all’urbanistica e al governo del territorio, laddove attengono anche a questioni di impatti ambientali, connessi ad esempio, a nuovi insediamenti o alla presenza di aree verdi, generano istanze di giustizia ambientale, riconosciute come tali.
Ancora, numerosissimi e rilevantissimi sono i casi di conflitti ambientali che riguardano la gestione e il traffico dei rifiuti, le discariche abusive, oltre che le contaminazioni che ne derivano a terreni e corsi d’acqua.
Anche il settore dell’energia è un fronte amplissimo di contenzioso ambientale, non solo laddove si osteggiano modelli fondati sull’energia fossile, ma anche quando si dibatte sulla compatibilità paesaggistica e sulla reale sostenibilità degli impianti di energia prodotta da fonti alternative.
Ancora, pensate al conflitto in materia di sicurezza alimentare e diritto al cibo. Per non parlare, naturalmente, del conflitto in materia di trasporti e di emissioni inquinanti connesse.
Oggi, naturalmente, a questa casistica già amplissima e complessa, si deve aggiungere quella relativa ai danni connessi cambiamento climatico, che abbraccia e interessi e questioni globali di grande rilevanza e urgenza.
2. Cosa possiamo dire innanzitutto di questi di questi conflitti?
Certamente che coinvolgono e ci interpellano sui rapporti tra uomo e natura ma anche tra uomo e uomo. Che riguardano l’accesso, la fruizione, l’uso e la proprietà delle risorse ambientali, che sono non solo esauribili, come ci insegna la letteratura scientifica e l’esperienza ormai di tutti i giorni, ma in gran parte già esaurite o gravemente compromesse.
Più in generale, dunque, possiamo dire che questi contenziosi riguardano la distribuzione equa e sostenibile (in orizzontale in verticale) dei rischi ambientali e dei benefici connessi all’attività umana, alla sostenibilità del modello di sviluppo attuale.
Ma, ancor di più e ancor prima, i conflitti ambientali oggi riguardano la partecipazione alle politiche ambientali, l’accesso alle informazioni ambientali e agli organi giurisdizionali, alla Giustizia ambientale: prima e più ancora che una richiesta di tutela ambientale in senso stretto, in molti casi questi conflitti contengono una domanda di partecipazione e di coinvolgimento dei cittadini nelle politiche che riguardano l’ambiente e nell’assunzione di decisioni che hanno ripercussioni in materia ambientale.
Non si tratta quindi più di conflitti locali esclusivamente circoscrivibili alle sindromi NIMBY (not my back yard) o NIABY (not in anyone’s back yard). Si tratta di conflitti la cui rilevanza è ben più ampia, nei contenuti, nelle istanze, nell’urgenza, oltre che nella estensione geografica.
3. In questo senso, dunque, quando parliamo di giustizia ambientale oggi non possiamo non parlare anche di giustizia sociale. Le connessioni sono state indagate ormai da molti anni.
Risale agli anni ‘60, negli Stati Uniti, la declinazione del concetto di razzismo ambientale, in occasione delle lotte della popolazione nera, contro l’insediamento di discariche e impianti inquinanti nei ghetti periferici delle grandi città.
Ma la situazione non è migliorata, col tempo: pensate alle favelas delle megalopoli del Sudamerica, nelle quali, accanto a quartieri poveri e disagiati in cui privazioni di carattere sociale ed economico si accompagnano a condizioni di vita igieniche e ambientali assolutamente intollerabili, sopravvivono e crescono quartieri borghesi nei quali la qualità della vita è di gran lunga più elevata, anche sotto il profilo ambientale.
Non si tratta, peraltro, di fenomeni cui il nostro Paese è esente. Se pensate ai casi eclatanti dei conflitti ambientali legati all’Ilva di Taranto, agli impianti di Casale Monferrato, ai petrolchimici italiani, ebbene è chiaro in tutti questi casi non si discute solo di questioni ambientali, ma anche del rapporto tra le condizioni di lavoro, le esigenze di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, e il sistema economico, il rapporto fra comunità, imprenditoria e istituzioni. In questi casi, si dibatte della sostenibilità – ambientale, sanitaria, sociale, economica, del nostro modello di sviluppo.
La questione è ancora più evidente quando si tratta dei conflitti, cui si è già accennato, connessi al cambiamento climatico: è noto dagli studi che ormai sono diffusi in tutto il mondo che, a fronte di una fetta relativamente limitata di popolazione che negli anni ha prodotto emissioni inquinanti rilevantissime e che continua a farlo, esiste un’altra parte del mondo che, tendenzialmente, ha una responsabilità storica minore e che, nonostante questo, è quella che subirà e subisce la maggior parte delle dei danni connessi al cambiamento climatico o che non sarà in grado d affrontarli.READ MORE