Agatif | Relazione italiana della prof.ssa Vera Parisio – Bolzano – 21 ottobre 2022
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Relazione italiana della prof.ssa Vera Parisio – Bolzano – 21 ottobre 2022

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Relazione italiana della prof.ssa Vera Parisio – Bolzano – 21 ottobre 2022

Poteri sostitutivi del giudice amministrativo nei confronti della pubblica amministrazione, separazione dei poteri ed effettività della tutela: cenni all’ordinamento italiano*

di Vera Parisio (Professore ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Brescia)

                                                                                   

Abstract (ITA): Il tema dei limiti che il giudice amministrativo incontra nell’esercizio di poteri sostitutivi nei confronti dell’amministrazione è da sempre oggetto di ampio dibattito, anche perché vede contrapposti, da un lato, il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale e, dall’altro, quello della divisione dei poteri, come garanzia di democraticità. Con precipuo riferimento a detta questione, con il presente scritto, si intende fornire un sintetico quadro della situazione italiana, privilegiando uno sguardo d’insieme rispetto alla ricostruzione dettagliata dei singoli istituti coinvolti, che da soli necessiterebbero di ampia trattazione.

Abstract (ENG):   Administrative  Courts’ substitutive powers towards Public  Administration have always been  a topic of  debate. The reason being  that the principle of  effectiveness of judicial protection and the theory of  separation  of powers, as a guarantee of democracy, are opposite to each other. In  this matter,  this  short essay aims at  providing a  short overview of the Italian  legal system, by putting the focus on  an overall view rather than a thorough reconstruction of the  specific legal  institutions involved, which  otherwise  would require an extensive examination.

 

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Giudice amministrativo e discrezionalità. – 3. Giudice, amministrazione e giurisdizione di merito. – 4. La giurisdizione estesa al merito nel  codice del processo amministrativo (c.p.a.) – 4.1  Il giudizio di ottemperanza come ipotesi più rilevante – 4.2. La giurisdizione estesa al merito sugli atti e le operazioni elettorali. – 4.3. Le  controversie sulle sanzioni  amministrative pecuniarie. – 4.4.  Le contestazioni sui confini tra enti territoriali. – 4.5.   I provvedimenti di classificazione delle opere cinematografiche per la visione dei minori  – 5. I poteri sostitutivi in caso di silenzio-inadempimento su attività vincolata, ai sensi degli artt. 31 e  117 c.p.a. – 6. Conclusioni.

 

  1. Introduzione.

Il tema dei limiti che il giudice amministrativo incontra nell’esercizio di poteri sostitutivi nei confronti dell’amministrazione è da sempre oggetto di ampio dibattito, anche perché vede contrapposti da un lato il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale[1] e dall’altro quello della divisione dei poteri, come garanzia di democraticità, pur nell’evolversi della normativa. Nelle riflessioni che seguono si intende fornire una panoramica, ridotta all’essenziale in modo che sia immediatamente fruibile dai colleghi stranieri, della situazione italiana, privilegiando uno sguardo d’insieme rispetto alla ricostruzione dettagliata dei singoli istituti coinvolti, che da soli necessiterebbero di ampia trattazione.

Sebbene non espressamente codificato nella nostra carta costituzionale, in vigore dal 1948, il principio della divisione dei poteri[2], di matrice illuministica, è comunque ben presente e fa da sfondo a diverse disposizioni presenti nella nostra carta costituzionale.

I tre poteri fondamentali, ossia il legislativo, l’esecutivo e il giurisdizionale sono esercitati da organi indipendenti tra di loro, la cui azione però è coordinata, quanto meno tra parlamento e governo, affinché si possa realizzare  una politica nazionale.

Per quanto riguarda la magistratura, l’art. 104 Cost. stabilisce che essa costituisce “un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, dunque  deve porsi come un corpo separato dall’esecutivo e più in generale dalla maggioranza di governo, con il chiaro intento di evitare che altri valori costituzionali pur sempre relativi alla magistratura, quale l’indipendenza, vengano svuotati.  In particolare, quest’ultima va riferita non solo alla magistratura considerata come istituzione, ma anche ad ogni singola autorità giurisdizionale e va intesa come precondizione per assicurare l’imparzialità e la terzietà del giudice.

Nel nostro ordinamento, in realtà, nei fatti, il principio della divisione dei poteri è spesso fortemente smentito: si pensi ad es. tra i tanti casi  all’abuso dei decreti legge o alle ipotesi di eccesso di  delega delle  leggi delegate, che dimostrano  come la funzione legislativa anziché dal parlamento sia  ormai, troppo spesso, esercitata dal Governo; oppure si pensi alle sentenze manipolative additive della Corte costituzionale, con le quali quest’ultima rischia di “invadere” le funzioni del legislatore; alle  leggi provvedimento,  prive di  generalità  e astrattezza,  ma al contrario munite di  un contenuto concreto rivolto a regolare singoli specifici casi.

Venendo al giudice amministrativo, che come noto nell’ordinamento italiano costituisce un giudice speciale[3],   collocantesi  al di fuori dell’ordine giudiziario, dotato di un suo proprio organo di autogoverno (il Consiglio di Presidenza), la Carta costituzionale[4] si è limitata a recepire il risultato dell’evoluzione storica fino a quel momento prodottasi. Questa prende atto della sussistenza della duplicità di giurisdizioni, chiamate a tutelare  posizioni giuridiche soggettive  diverse (diritti soggettivi e interessi legittimi) e riconosce che la funzione giurisdizionale amministrativa è esercitata in duplice grado, da tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato, quale unico organo di appello, investito anche di funzioni consultive. Si conferma la permanenza in vita del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, organi dotati di funzioni giurisdizionali e consultive il primo, giurisdizionali e di controllo il secondo.   Peraltro l’art. 100, ultimo comma, Cost. espressamente stabilisce che viene assicurata l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti di fronte al Governo, questo perché entrambi sono disciplinati tra gli “organi ausiliari” del Governo.

È comunque sempre  garantita la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione dinanzi alla magistratura ordinaria e amministrativa, art. 113, con l’esclusione degli atti  espressione del potere politico.

L’art. 111 Cost., dove viene garantito il giusto processo, non è espressamente riferito al processo amministrativo, ma si ritiene ormai pacificamente estensibile anche ad esso, così come le disposizioni sull’indipendenza del giudice,  in particolare l’art. 101 Cost. “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Dalla Carta costituzionale, dunque, si evince che il giudice amministrativo italiano, che tutela la giustizia nell’amministrazione e non dell’amministrazione, sebbene ontologicamente diverso dal giudice ordinario, nell’esercizio della funzione giurisdizionale gode delle medesime garanzie.

La Corte costituzionale[5]  ha affermato che anche la nomina governativa di una quota di magistrati del Consiglio di Stato, che di per sé potrebbe apparire limitativa dell’indipendenza dell’organo decidente, in realtà è conforme alla costituzione, in quanto,  l’indipendenza va ricercata  nel modo di esercizio della funzione, nella inamovibilità e nell’immunità da vincoli di soggezione formale o sostanziale e non nel sistema di nomina. In realtà ci si potrebbe chiedere se tutto questo è conforme alla tutela del  principio dell’ apparenza[6], a tenore del quale un giudice oltre che essere deve anche apparire indipendente. Peraltro, curiosamente,  ad oggi non pare che  la Corte di Strasburgo abbia mai avuto l’occasione di pronunciarsi sull’ indipendenza del Consiglio di Stato italiano proprio in relazione alla nomina governativa di una parte dei  suoi magistrati, e/o alla possibilità per gli stessi di essere inseriti, fuori ruolo, presso i gabinetti ministeriali, in funzione di diretta collaborazione con i ministri, in quanto, la questione non consta essere stata mai sollevata dinnanzi ad essa.

  1. Giudice amministrativo e discrezionalità.

Si tratta di un tema strettamente connesso a quello in esame. La discrezionalità[7] è intesa nel nostro ordinamento come la sfera di libertà, che non deve sfociare in arbitrio, riservata ai poteri pubblici, concernente l’apprezzamento dell’interesse pubblico,  mediante  la ponderazione degli interessi secondari alla luce dell’interesse primario, stabilito dal legislatore. Tale potere valutativo può inerire l’“an”, circa l’adozione del provvedimento, oppure il “quando”, se il suo rilascio è  dovuto; infine il suo contenuto specifico[8], alla luce della effettiva formulazione della disposizione, che può essere “a maglie più o meno larghe”, vista la stretta correlazione tra interpretazione e discrezionalità[9], come si dirà.

L’ampiezza della discrezionalità da sottoporre a controllo è risultata a geometria variabile nel corso dei decenni.

Un atteggiamento di deferenza da parte del giudice amministrativo, “a fortiori” da parte del giudice ordinario, nei confronti della p.a.  ha sempre predominato, e si è manifestato nell’esclusione   del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo nei confronti di tutte le scelte discrezionali dell’amministrazione,  la sola dotata di legittimazione democratica, fondata sul rapporto di fiducia tra parlamento e governo inclusa la ricostruzione del fatto.

Si è, poi, progressivamente distinto tra discrezionalità pura, discrezionalità tecnica e discrezionalità mista, nel tentativo di aprire dei varchi a favore del sindacato del giudice amministrativo sull’operato dell’amministrazione per garantire una tutela effettiva[10]. La prima riguardava unicamente le scelte di convenienza/opportunità contenute nell’atto, che andavano a costituire il cosiddetto “merito”, nel quale si condensava lo svolgimento di attività riservata dell’amministrazione;  la seconda implicava delle valutazioni tecniche per loro natura opinabili, poste a base del provvedimento, ossia il momento valutativo degli interessi era necessariamente preceduto da un giudizio reso alla stregua di scienze non esatte (es:  la storia dell’arte per l’apposizione di un vincolo storico artistico), dunque, opinabile, cui seguiva un provvedimento vincolato o discrezionale; e infine la terza  che era  un misto delle prime due.

Il giudice in modo molto prudente si è sempre tenuto un passo indietro rispetto alle valutazioni discrezionali, proprio a garanzia del principio della divisione dei poteri, riconoscendo che vi erano delle sfere di azione riservate esclusivamente all’amministrazione. Gli ambiti di discrezionalità, come già si diceva, erano direttamente proporzionali alla formulazione letterale della disposizione. Tanto più era dettagliata, quanto più si riduceva l’intervento interpretativo del giudice, configurandosi la discrezionalità come figlia dell’interpretazione[11]. È soprattutto la presenza di concetti giuridici indeterminati[12], sempre più frequente, a introdurre valutazioni discrezionali, che possono poggiare su dati tecnici (discrezionalità tecnica) o meramente valutativi (discrezionalità pura).

In realtà, la distinzione tra discrezionalità tecnica e discrezionalità pura è riconosciuta soprattutto dalla giurisprudenza meno recente, mentre la dottrina preferisce tenere le valutazioni tecniche distinte dalla discrezionalità in senso proprio, in quanto le prime si profilano come giudizi e non  atti di volizione/apprezzamento, dunque come tali non implicano valutazione degli interessi.

Le valutazioni discrezionali potevano essere sindacate tradizionalmente solo “ab estrinseco” e  unicamente  se ritenute palesemente irragionevoli o irrazionali. Con l’evolversi della giurisprudenza si è iniziato a distinguere, soprattutto da parte della dottrina, tra accertamenti tecnici (misurazione del volume alcolico di un liquore) il cui esito non poteva essere opinabile, e valutazioni tecniche (rilevanza artistica di un edificio ai fini della apposizione di un vincolo) che potevano essere opinabili, ma l’essere opinabili non le rendeva per ciò stesso insindacabili; anzi, esse divenivano sindacabili attraverso una consulenza tecnica[13]. Inizia, cioè, a farsi strada l’idea che una valutazione opinabile, resa alla stregua di determinate scienze, non andava necessariamente a toccare la discrezionalità, che per sua natura comporta la composizione dei diversi interessi in gioco.  Proprio la possibilità di fare riferimento alla consulenza tecnica, anche nelle ipotesi di giurisdizione generale di legittimità, riconfermata nel codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010) ha alla fine contribuito a erodere i margini di insindacabilità del provvedimento amministrativo, senza violare il principio della divisione dei poteri, visto che è solo l’attività riservata all’amministrazione a dover essere protetta dall’ingerenza di altri poteri dello Stato.

La svolta nel controllo sulla discrezionalità  è avvenuta con la  famosa sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 601 del 1999[14], nella quale si afferma che il controllo  sulle valutazioni tecniche non va fatto alla stregua di un controllo formale e estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza, passando così  da un sindacato estrinseco a uno intrinseco, favorito   dall’utilizzazione  della CTU.[15]

Nell’ambito del sindacato intrinseco, la gran parte della giurisprudenza propende per la teoria del sindacato debole, in cui il controllo del giudice non è mai sostitutivo nei confronti dell’amministrazione. Con il sindacato intrinseco debole, il giudice censura le valutazioni tecniche che appaiano inattendibili in quanto rilasciate in violazione delle corrispondenti “regole tecniche”, oppure in esito a una istruttoria incompleta, senza in alcun modo poter sostituire la sua valutazione a quella dell’amministrazione (è ciò che avviene, ad es. nell’ambito dei vincoli di interesse pubblico e/o storico artistico).

Nel sindacato intrinseco “forte”, invece, il giudice arriva a sostituire, se ritenuta inattendibile, la sua valutazione a quella fatta dall’amministrazione. Questo è – evidentemente – il momento di maggior attrito con il principio della divisione dei poteri, cui probabilmente non si dovrebbe arrivare, soprattutto se l’amministrazione, durante la fase del procedimento, conducesse un’istruttoria completa, adeguata, aprendola davvero alla partecipazione degli interessati.

Negli ultimi sviluppi giurisprudenziali si tende ad adottare una linea di maggiore flessibilità, ribadendo che rimane assodato che il giudice non può ingerirsi né tantomeno sostituire le sue valutazioni a quelle discrezionali, tout court, della p.a.;  tuttavia, al di là delle formule, sindacato debole o forte, deve farsi garante della legalità sostanziale dell’azione amministrativa, soprattutto nelle materie caratterizzate da elevato tasso tecnico[16].

In sostanza, è formula ricorrente in giurisprudenza che il sindacato del giudice amministrativo rimane, comunque un sindaco di legittimità e non di merito, salvo casi eccezionali, che vedremo,   limitato ai vizi di legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) e alla verifica che non si sia incorsi in un palese e manifesto travisamento dei fatti [17].

  1. Giudice, amministrazione e giurisdizione di merito.

Il principio della separazione dei poteri ha trovato delle forti attenuazioni nella possibilità, rinvenibile da ultimo nel codice del processo amministrativo, d.lgs. n. 104/2010, artt. 7 e 134, per il giudice amministrativo, nell’ambito della giurisdizione estesa al merito, di sostituirsi, anche attraverso un commissario ad acta, all’amministrazione. Anche nelle ipotesi di inerzia della p.a., artt. 31 e 117 c.p.a., qualora siano in gioco solo poteri vincolati, e non debba essere svolta (ulteriore) attività istruttoria, il giudice anche attraverso un commissario ad acta può sostituirsi all’amministrazione  nell’ambito della giurisdizione esclusiva.

Prima di soffermarsi sul giudice amministrativo, è bene tenere presente che, nel sistema italiano, il giudice ordinario, da parte sua, ai sensi degli artt. 4 e 5 della LAC (l. n. 2248 del 1865) non può annullare, modificare o revocare l’atto amministrativo, ma può solo disapplicarlo nel caso da decidere, fatti salvi alcuni procedimenti speciali, quali quelli relativi al trattamento sanitario obbligatorio, alle ordinanze-ingiunzione, ai provvedimenti del garante della privacy. In tali casi il giudice ordinario può sospendere, annullare, ma anche modificare l’atto amministrativo (nel caso delle ordinanze ingiunzione può anche intervenire sull’ entità della sanzione).

Va ricordato agli amici tedeschi e francesi che nel sistema italiano la giurisdizione amministrativa si esercita secondo tre modelli: a) la giurisdizione generale di legittimità; b) la giurisdizione esclusiva; c) la giurisdizione estesa al merito. Il modello di cui alla lettera a) costituisce la modalità generale di tutela degli interessi legittimi ed è finalizzata all’annullamento del provvedimento amministrativo, cui può aggiungersi, alla luce dell’art. 30 c.p.a., la pronuncia sul risarcimento del danno derivante da lesione di interesse legittimo. La possibilità di pronunciarsi sul risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo si giustifica con la convinzione che essa concretizza una forma di completamento della tutela dell’interesse legittimo.

La giurisdizione esclusiva, limitata ai casi tassativamente indicati nell’art. 133 c.p.a. e in altre leggi, permette al giudice amministrativo di conoscere oltre che degli interessi legittimi anche dei diritti soggettivi in quelle particolari materie dove l’intreccio tra interessi legittimi e diritti soggettivi è così fitto da rendere difficoltoso far intervenire due giudici, quello ordinario e quello amministrativo, anche se si potrebbe rilevare che, forse, con l’istituzione della giurisdizione esclusiva, si voleva semplicemente che certe materie rimanessero nella cognizione del giudice amministrativo per ragioni  metagiuridiche. Nella giurisdizione esclusiva, i diritti soggettivi, con l’esclusione di quelli relativi allo stato e alla capacità delle persone, nonché all’incidente di falso, conosciuti dal giudice ordinario, vengono  protetti  secondo le tecniche di tutela del giudice amministrativo, ad oggi considerate equipollenti, ma non coincidenti, appunto, con quelle del giudice ordinario.

Peraltro, negli ultimi anni, si è assistito ad un progressivo ampliamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a scapito della giurisdizione di merito, che ha spinto la Corte costituzionale italiana[18] a porre dei limiti al dilagare di tale modello giurisdizionale, per non alterare l’equilibrio tra le due giurisdizioni, ordinaria e amministrativa, nonché per evitare ingiustificati ridimensionamenti nella tutela dei diritti soggettivi.

Infine, la giurisdizione di merito – art. 7, comma 6, art. 34, lett. d), e art. 134 d.lgs. n. 104 del 2010- che può ben aggiungersi a quella di legittimità o esclusiva, costituisce il momento nel quale il giudice amministrativo esercita i più ampi poteri, potendo infatti arrivare ad adottare il provvedimento richiesto in sostituzione dell’amministrazione, o a modificare il provvedimento già assunto[19]. La giurisdizione di merito costituisce, storicamente, la prima forma di giurisdizione amministrativa, in quanto le prime ipotesi possono essere reperite nell’elenco di materie di cui all’art. 10, all. D, legge 20 marzo 1865, n. 2248, affidate alla c.d. “giurisdizione propria” del Consiglio di Stato e non interessate dall’abolizione del contenzioso amministrativo, prevista dall’art. 1, all. E, l. n. 2248/1865.  Nello svolgimento della giurisdizione propria, il Consiglio di Stato non limitava il suo esame al solo profilo della legittimità dell’atto, come invece faceva per rilasciare i pareri sui ricorsi straordinari al sovrano, ma andava a valutare l’opportunità del provvedimento.

Nel sistema italiano, i poteri sostitutivi del giudice nei confronti dell’amministrazione, in ipotesi tassative, non sono, dunque, una novità portata dal c.p.a., il quale, peraltro, è andato riducendo le ipotesi già previste dal T.U. del 1924 prima e dalla legge istitutiva dei TAR dopo.

La sostituzione nei confronti dell’esecutivo, giustificata anche dallo scarso livello qualitativo e quantitativo delle prestazioni dell’amministrazione e dagli episodi di corruzione rinvenuti all’interno della stessa, era finalizzata a rendere effettiva la giustizia amministrativa. Il principio di effettività della tutela, che non a caso apre il codice del processo amministrativo, art.1, è divenuto la chiave di volta del sistema italiano di giustizia amministrativa, nella sua articolazione nel principio dell’indefettibilità della tutela, inteso come ineliminabile possibilità di ricorso ad una autorità giurisdizionale, in relazione ad ogni posizione  giuridica soggettiva protetta, senza  restrizioni, oltre che  come adeguatezza dei mezzi di tutela giurisdizionale. Il principio di effettività si declina anche nell’azionabilità delle pretese risarcitorie nascenti dalla lesione di posizioni rilevanti anche per il diritto comunitario e nella ragionevolezza dei tempi del pronunciamento rispetto alla natura della lite, nonché nel rispetto del diritto eurounitario da parte del giudice amministrativo.

In nome del principio dell’effettività della tutela, la previsione di meccanismi sostitutivi del giudice amministrativo rispetto all’amministrazione, in ipotesi ben circoscritte, sebbene in contrasto con il principio della separazione dei poteri, è rientrata nella “logica del sistema”.

Anziché intervenire in modo significativo sui modelli organizzativi della p.a., aumentandone il livello qualitativo e quantitativo, magari rafforzando le penalità di mora in caso di inerzia, in modo da non intaccare la sfera riservata alla p.a., si è preferito  riconoscere al giudice poteri sostitutivi, che  tendono sempre più ad essere considerati fisiologici e non patologici.

I poteri sostitutivi nei confronti dell’amministrazione, come si diceva, sono eccezionali e limitati a casi particolari, elencati nell’art. 134 c.p.a., e riguardano materie  fortemente eterogenee, si va dall’ottemperanza al nullaosta cinematografico, eterogeneità dalla quale risulta difficile ricavare una nozione appagante di giurisdizione “estesa al merito”.

L’unico dato certo è  la tassatività delle ipotesi di giurisdizione estesa al merito, considerato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato  proprio come imprescindibile corollario processuale del principio di divisione dei poteri [20], da cui deriva il divieto di applicazione analogica delle ipotesi di cui all’art. 134 del c.p.a.

  1. La giurisdizione estesa al merito nel codice del processo amministrativo (c.p.a.)

È opportuno a questo punto soffermarsi sulla giurisdizione estesa al merito.

Come si anticipava, la nozione di giurisdizione estesa al merito è sempre stata inafferrabile dal punto di vista concettuale, in quanto la nozione stessa di “merito” amministrativo è sempre risultata ambigua.

La locuzione “merito” è  stata utilizzata come categoria giuridica in contrapposizione a “legittimità”, dunque, per evocare il riferimento a valutazioni, contenute nell’atto da sindacare, che mantengono un parametro extragiuridico, o quantomeno, che non trovano un riscontro in disposizioni giuridiche puntuali. “Merito” dunque, in una prima accezione, coincide con l’insieme delle scelte attinenti alla composizione degli interessi che solo l’amministrazione è chiamata a svolgere, e per questa ragione, dunque, non sindacabile dal giudice amministrativo se non per palese irragionevolezza. Ma “merito”, soprattutto prima delle l. n. 205/2000, significava anche   ricostruzione dei fatti posti a fondamento del provvedimento amministrativo, non sindacabile, in quanto veniva fatta coincidere con la discrezionalità amministrativa.

Tutto quanto sopra rilevato si ripercuote sulla ricostruzione della nozione ed estensione della categoria “giurisdizione di merito”[21].

Una prima ricostruzione della giurisdizione di merito, come si diceva, faceva coincidere il merito con la possibilità di ricostruire liberamente i fatti riconosciuta al giudice, il quale, attraverso la predisposizione di mezzi istruttori, ricostruiva il fatto, a prescindere da quanto risultava dal provvedimento. La possibilità di richiedere una consulenza tecnica d’ufficio era esclusa nell’ambito della giurisdizione di legittimità e di quella esclusiva, essendo limitata alla sola giurisdizione di merito. Dunque l’elemento caratterizzante della giurisdizione di merito coincideva con un pieno accesso ai fatti da parte del giudice amministrativo. Oggi, quanto a mezzi istruttori, non è più prevista alcuna distinzione tra i diversi modelli di giurisdizione, pertanto tale ricostruzione perde di attualità.

La giurisdizione di merito era definita tale, secondo un’altra ricostruzione dottrinale, ritenendo ammissibile per il giudice amministrativo conoscere oltre che dei vizi di legittimità anche di quelli di merito, ossia concernenti la convenienza dell’azione amministrativa, che non trovava parametri strettamente giuridici, ma piuttosto parametri in regole extragiuridiche.

In realtà, il giudice amministrativo ha sempre mantenuto un atteggiamento di grande prudenza rispetto alla verifica di vizi che non fossero di pura legittimità, anche se l’indagine sull’eccesso di potere lo spinge spesso a lambire il merito[22]. Questa ricostruzione, fortemente criticata da parte della dottrina,[23] è quella che più entra in rotta di collisione con il principio della divisione dei poteri. In effetti, la tutela dell’interesse pubblico, nell’ambito dell’esercizio di poteri discrezionali, spetta all’amministrazione, la sola, attraverso il rapporto di fiducia tra parlamento e governo, ad avere piena legittimazione popolare e a rispondere delle sue scelte.

Infine, vi è stato anche chi ha tentato di ricostruire, ma la ricostruzione non trova rispondenza in tutte le ipotesi di cui all’art. 134 del c.p.a., la giurisdizione di merito come quel modello di giurisdizione nel quale il giudice, oltre a farsi carico, in chiave soggettiva, della protezione del ricorrente, tiene conto dell’interesse pubblico, armonizzando la posizione del ricorrente con un interesse più generale, sostituendosi all’amministrazione. In tale ipotesi gli artt. 121, 122 e 124 c.p.a., concernenti le controversie sui contratti pubblici, costituirebbero ipotesi ulteriori e “innominate” di giurisdizione estesa al merito, in quanto la scelta di dichiarare inefficace il contratto o di determinare il risarcimento del danno sulla base della condotta della parte privata, implica il contestuale apprezzamento dell’interesse pubblico e di quello privato. Oppure, collocata al di fuori del codice, si può pensare all’ipotesi dell’azione per l’efficienza della p.a.[24], in quanto il giudice deve tenere conto delle risorse a disposizione della p.a. Ma in quest’ultima ipotesi la circostanza che nella legge delegata sia stata espunta la previsione della giurisdizione di merito, presente invece nella legge delega, dimostra che alla fine il legislatore ha voluto escludere un’ipotesi di giurisdizione estesa al merito. Inoltre il fatto che il giudice deve tenere espressamente conto delle risorse della p.a. si configura come attuazione del principio di economicità, di cui all’art. 1 della l. 241 del 1990. Vista la tassatività, necessario corollario processuale della divisione dei poteri, sono da escludere ipotesi di giurisdizione esclusiva al di fuori dei singoli casi espressamente indicati.

Oggi, in realtà, la ricostruzione prevalente identifica nella giurisdizione di merito quel modello giurisdizionale nel quale il giudice amministrativo esercita i più ampi poteri, che si spingono fino all’esercizio di poteri sostitutivi, rimanendo comunque sempre preclusa al giudice un’autonoma valutazione della convenienza, opportunità dell’atto amministrativo, al di là dei parametri di mera legittimità.

Un dato è certo: nell’ordinamento italiano la tendenza degli ultimi anni è verso una progressiva riduzione delle ipotesi di giurisdizione di merito a favore dell’espansione della giurisdizione esclusiva. In effetti, venuta meno la distinzione tra i diversi modelli giurisdizionali ai fini della piena fruizione dei mezzi istruttori, non sembra avere più molto senso mantenere questa tipologia di giurisdizione, soprattutto se si accoglie comunque la tesi che il giudice non può sindacare l’opportunità del provvedimento. Nel codice del processo amministrativo, probabilmente in ossequio alla tradizione, si è mantenuta la categoria, che però ormai è svuotata di contenuto, anche in considerazione del fatto che la giurisdizione generale di legittimità garantisce un penetrante controllo sull’esercizio del potere e che molti principi, quale quello dell’economicità, e ora della buona fede, sono divenuti parametri di carattere legislativo (art. 1, l. n. 241 del 1990).

Le  ipotesi dell’art. 134 c.p.a., che sono di stretta interpretazione, nelle quali il giudice esercita poteri sostitutivi, a parte il caso del giudizio di ottemperanza, sono piuttosto marginali. Esse  riguardano: gli atti e le operazioni in materia elettorale, attribuiti alla giurisdizione amministrativa (vi sono, infatti, anche competenze del giudice ordinario concernenti ad es. l’elettorato passivo e attivo); le sanzioni pecuniarie, la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo (le ordinanze ingiunzione, di cui alla l. n. 689 del 1981, sono conosciute dal giudice ordinario), comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti e quelle previste dall’art. 123 c.p.a.; le contestazioni sui confini degli enti territoriali; la classificazione delle opere cinematografiche per la visione dei minori di cui al decreto legislativo attuativo della delega di cui all’art. 33 della legge 14 novembre 2016 n.220.

4.1. Il giudizio di ottemperanza come ipotesi più rilevante

L’ipotesi certamente più importante, che compare tra quelle di giurisdizione di merito, ma che è al tempo stesso anche giurisdizione esclusiva, visto che si pronuncia sui diritti nascenti dal giudicato, è data dall’ottemperanza[25], ossia dall’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo e/o ordinario (e atti equiparati, quali i lodi arbitrali, ad es.) qualora l’amministrazione non abbia dato attuazione al giudicato.

Nel termine di prescrizione decennale[26], l’interessato si rivolge al giudice amministrativo che ha emanato la sentenza rimasta inattuata (TAR o Consiglio di Stato) il quale, accertato che il comando contenuto nella sentenza è rimasto ineseguito, ordina all’amministrazione di provvedere, entro un certo termine, dando precise istruzioni. La procedura dell’ottemperanza rientra nei riti speciali, oggetto di una disciplina semplificata, in camera di consiglio. Di norma, il giudice si serve di un “commissario ad acta”, cioè di un soggetto terzo, solitamente appartenente all’amministrazione, il quale in veste di ausiliario del giudice e non di organo straordinario dell’amministrazione[27] esegue gli ordini del giudice e adotta tutti i provvedimenti del caso. I provvedimenti del “commissario ad acta” vengono impugnati davanti al giudice dell’ottemperanza, oppure davanti ad altro giudice amministrativo (nell’ipotesi in cui siano i terzi ad impugnare i suoi provvedimenti). Tutta l’attività posta in essere dal commissario si giustifica in funzione dell’esecuzione del giudicato e, non come solitamente avviene allorché vi sia espressione di poteri pubblici, nel perseguimento di un pubblico interesse. Ne consegue che le regole fondamentali dell’attività del commissario sono la pienezza e l’effettività della tutela anche alla luce degli artt. 6 e 13 CEDU. In quanto ausiliario del giudice, viene negata in radice ogni forma di immedesimazione organica tra amministrazione inadempiente e commissario ad acta.

I provvedimenti che il “commissario ad acta” adotta possono avere anche contenuto discrezionale. Va però ulteriormente  precisato che, come affermato dalla sentenza del Cons. Stato, A.P., n. 8 del 2021, l’attività amministrativa del commissario ha una natura diversa rispetto a quella posta in essere dall’amministrazione, in quanto è finalizzata a tutelare non un generico interesse pubblico, ma l’interesso specifico connesso all’effettività della tutela, in nome della quale e solo in nome della quale sono riconosciuti poteri sostitutivi al giudice[28]. In tale ipotesi si accetta come “male minore” la violazione del principio della separazione dei poteri, in quanto è in gioco il principio fondamentale dell’effettività della tutela, alla luce del quale un ordine del giudice non può rimanere inattuato in uno Stato di diritto.

Una volta nominato il commissario, l’amministrazione non perde  il potere di provvedere, che, invece, continua a sussistere sino a quando il commissario non si pronunci, rendendo nulli o quantomeno inefficaci gli eventuali atti successivi a quelli adottati dal commissario.

Questa dell’ottemperanza, come si diceva, è un’ipotesi del tutto peculiare perché si inquadra nell’ambito dell’azione esecutiva, dunque presuppone che a monte vi sia già stata attività di amministrazione attiva, sindacata dal giudice, e dunque si tratta di dare attuazione al risultato del sindacato giurisdizionale.

Il codice del processo amministrativo ha riservato una particolare attenzione alle due Fasi eventuali del processo amministrativo: la fase cautelare e quella dell’ottemperanza, che più di ogni altra   costituiscono un indice di effettività della tutela nel nostro ordinamento.

Purtroppo nel  sistema  italiano molte sentenze rimangono inattuate, pertanto, il ricorso all’ottemperanza appare assai frequente, e contribuisce a rafforzare l’idea dell’amministrazione italiana come “muro di gomma”. A quanto sembra, la possibile insorgenza di responsabilità disciplinare non spaventa il funzionario inadempiente, né la possibilità che l’amministrazione ha di rivalersi sul funzionario responsabile qualora all’amministrazione sia stato richiesto il risarcimento dei danni per la mancata attuazione del giudicato.

Anche nel nostro ordinamento sono previste, su richiesta di parte, le penalità di mora per ogni giorno di ritardo che si verifichi nell’esecuzione del giudicato, all’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a, le quali, però, incontrano un limite di carattere generale, ossia che non siano manifestamente inique o non sussistano altre ragioni ostative. L’applicazione di tali misure è molto limitata: pertanto, a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti, non riesce ad esercitare una funzione di pungolo per l’amministrazione ad adempiere al giudicato, senza contare il rischio che poi tali somme vadano a ricadere nella fiscalità generale.

Come si è già detto, è piuttosto difficile trovare un minimo comun denominatore tra l’ottemperanza e le altre ipotesi di cui ai numeri 1-4 del’art. 134 c.p.a.[29]. Ad es., in materia di contestazione sui confini, non si comprende che tipo di valutazioni concernenti l’opportunità debbano essere fatte. Lo stesso dicasi per le operazioni elettorali: siamo sempre nell’ambito di valutazioni di pura  legittimità, che non involgono l’apprezzamento dell’interesse pubblico.

4.2. La giurisdizione estesa al merito sugli atti e le operazioni elettorali.

Dopo aver ribadito il carattere della tassatività ed eccezionalità delle ipotesi di giurisdizione di merito, va precisato che il contenzioso elettorale riguarda le operazioni elettorali concernenti il rinnovo degli organi elettivi dei Comuni, delle Province, delle Regioni e l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia (art. 126 c.p.a.).

Le controversie concernenti la regolarità di tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all’ emanazione dei comizi elettorali (art. 130 c.p.a.) appaiono connotate dal carattere vincolato delle operazioni svolte dal giudice. Tali operazioni, infatti, nella gran parte dei casi possono risolversi nella verifica circa il numero complessivo delle schede recuperate nei plichi, raffrontato a quello delle schede affidate alla sezione, oppure nella  verifica delle schede scrutinate prive di bollo e/o firme. In tali ipotesi la decisione del giudice amministrativo non potrebbe non configurarsi come vincolata, non residuando spazio per valutazioni concernenti l’opportunità amministrativa.

Il giudice nell’ambito di tale giurisdizione, qualora si siano verificate delle illegittimità nella conta dei voti e/o altro, si sostituisce all’amministrazione esercitando un potere di correzione di verbali elettorali ecc. sempre nei limiti della domanda attrice. In questo caso, la previsione della giurisdizione di merito si giustifica proprio  e soltanto per permettere al giudice rapidi interventi correttivi e non certo  per autorizzarlo ad effettuare valutazioni attinenti alla convenienza dell’azione amministrativa.

4.3.  Le controversie sulle sanzioni  amministrative pecuniarie.

In queste ipotesi, la previsione della giurisdizione di merito, dunque il riconoscimento di un sindacato giurisdizionale pieno sulle sanzioni amministrative pecuniarie, risulta essere coerente con i principi affermati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, ove il controllo esercitato dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di primo grado sugli atti della Commissione è da sempre improntato al riconoscimento di competenze di “merito” del giudice per quanto attiene alla rideterminazione del quantum sanzionatorio.

L’art. 134 c.p.a. permette al giudice amministrativo di fare ciò che di norma compete al giudice ordinario ai sensi dell’art. 23 della l. n. 689 del 1981 in tema di sanzioni pecuniarie irrogate mediante ordinanze-ingiunzione. La legge 24 novembre 1981, n. 689 stabilisce, infatti, che il giudice ordinario, dotato di giurisdizione per decidere dell’opposizione ad un’ordinanza-ingiunzione che irroghi una sanzione pecuniaria, può rigettare l’opposizione, ponendo a carico dell’opponente le spese del procedimento, o accoglierla, annullando in tutto o in parte l’ordinanza o modificandola anche limitatamente all’entità della sanzione. Il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 134 c.p.a., non si limita a valutare il provvedimento sanzionatorio in sé e per sé, ma conosce anche l’intera pretesa punitiva; dunque da giudice dell’atto diventa giudice del rapporto. Questa particolare estensione dei poteri del giudice[30] si giustifica alla luce della considerazione che le sanzioni hanno natura afflittiva e punitiva, pertanto  si impone  la necessità di garantire una forma di tutela giurisdizionale equiparata a quella del giudice penale[31] .

Sebbene i poteri siano molto ampi, ma non tali da permettere una rideterminazione della sanzione secondo equità, il giudice amministrativo, di fatto,  ha dimostrato di applicare un forte “selfrestraint”, cercando di ingerirsi  il meno possibile nel rapporto punitivo.

Per quanto riguarda le sanzioni irrogate dalle Autorità indipendenti (A.I.), la giurisdizione di merito del giudice amministrativo si estende essenzialmente all’entità della sanzione, con la possibilità di rideterminazione diretta della stessa, anche attraverso l’individuazione di diversi criteri di calcolo[32].

Il giudice amministrativo italiano ha progressivamente esteso il suo sindacato sulle sanzioni irrogate dalle A.I., soprattutto dopo la sentenza “Menarini” della Corte di Strasburgo[33], che ha richiesto, come noto, una “full jurisdiction” nei confronti dei provvedimenti sanzionatori delle A.I. La previsione di una “full jurisdiction[34], che presuppone un’analisi di tutti gli elementi di fatto e di diritto posti dall’amministrazione a base della sua decisione, volta a verificare la fondatezza, esattezza e correttezza delle scelte amministrative, costituisce una sorta di “continuum” tra procedimento amministrativo e giurisdizionale. Ciò si pone in contrapposizione al principio della divisione dei poteri, in quanto permette al giudice di sostituire le sue valutazioni a quelle fatte dall’amministrazione. Senza dubbio l’attribuzione al giudice amministrativo, investito di giurisdizione di merito, anche del potere di rideterminare l’entità della sanzione pecuniaria irrogata, va pesantemente a incidere sulla potestà sanzionatoria delle A.I., certamente tra gli strumenti più incisivi di cui sono munite. Il giudice amministrativo, tuttavia, ha mostrato un atteggiamento di grande rispetto per le decisioni delle A.I. Infatti, laddove ha proceduto alla rideterminazione delle sanzioni irrogate dalle Autorità, in particolare, dall’AGCM, si è limitato a mitigare e non a inasprire la sanzione prevista, ricalcolandola perlopiù  mediante  gli stessi parametri già utilizzati dall’Autorità.

La Corte di Cassazione italiana, tuttavia, ha costantemente ribadito che anche in tema di sanzioni delle A.I. il sindacato del giudice amministrativo non può spingersi fino a divenire sostitutivo[35]. Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato certamente il sindacato del giudice amministrativo è più esteso che sugli altri atti delle A.I., ma questo si deve alla particolare natura degli atti sanzionatori, anche se nel nostro ordinamento si sconta la mancanza di una definizione univoca di atti sanzionatori.

In ogni caso, l’inserimento di un controllo di “full jurisdiction” costituisce il punto di arrivo più avanzato e di più decisa deroga rispetto al principio della separazione dei poteri, giustificabile solo alla luce della natura punitiva-afflittiva delle sanzioni.

4.4. Le  contestazioni sui confini tra enti territoriali.

Si tratta di controversie tra enti territoriali (Comuni, Province e Regioni) limitrofi  sorte in quanto tali enti  reclamino che una medesima porzione territoriale rientri nei loro confini.

La giurisdizione di merito comporta che il giudice, con un tratto di penna, possa rideterminare i confini, sulla base di una mera ricognizione dei confini esistenti, mantenendo come riferimento i più recenti documenti che abbiano con certezza definito i confini medesimi, senza l’intervento di  valutazioni ulteriori. Il giudice, dunque, non gode di poteri costitutivi. Anche in questo caso, il giudice non esercita valutazioni che implichino apprezzamenti dell’interesse pubblico, ma si limita a riportare quanto ricavabile da mappe, cartografie, ecc.

4.5   I provvedimenti di  classificazione delle opere cinematografiche per la visione dei minori

La giurisdizione di merito, ai sensi dell’art. 134 , primo comma, lett. e) ha ad oggetto i provvedimenti di classificazione  delle opere cinematografiche ( e audiovisive).Va precisato che  nel testo originario la disposizione faceva espresso riferimento alle controversie in materia di diniego di nullaosta alla proiezione ed esportazione delle pellicole cinematografiche, ai sensi  dell’art. 8 e dell’art. 11  della l. 21 aprile 1962. Tale legge, successivamente abrogata dal d.lgs. 203/2017, stabiliva che la proiezione in pubblico dei film e l’esportazione all’estero dei film nazionali  era sottoposta al nullaosta, rilasciato con decreto dell’allora Ministero del turismo e dello spettacolo, su parere conforme o previo esame del film da parte di speciali Commissioni di primo e di secondo grado,  costituite da magistrati, pedagoghi, esperti di cinematografia, nonché esponenti delle categorie interessate dalle valutazioni demandate alle commissioni stesse. Il giudice amministrativo, in quanto investito di giurisdizione estesa al merito, poteva  ripercorrere le valutazioni rilasciate dalle Commissioni, visionare le pellicole e sostituire le proprie valutazioni a quelle effettuate dall’Amministrazione nella concessione o nel diniego di nullaosta o nella revoca dell’esclusione dei minori dagli spettacoli. Il parametro di riferimento per il rilascio del nulla osta era estremamente ampio,  soprattutto non facilmente identificabile a priori,  in quanto si doveva accertare  che la pellicola non provocasse turbamento nel pubblico più giovane.  I giudici hanno sempre utilizzato in modo ampio i loro poteri cognitori e decisionali, prendendo visione diretta della pellicola e decidendo anche in modo difforme dall’amministrazione. Il giudizio del giudice amministrativo non interessava, e tuttora non interessa,  i profili meramente artistici dell’opera, né la tutela del buon costume, ma riguardava e riguarda  sostanzialmente la protezione dei soggetti minori, come si diceva[36]. Il nuovo sistema introdotto con il d.lgs. 203/2017 ha inteso  bilanciare maggiormente l’interesse del minore a  essere preservato dalla visione di pellicole inadatte alla sua  non ancora raggiunta maturità,  con la libera manifestazione del pensiero, anche sotto forma artistica, valorizzando la responsabilità degli imprenditori del settore [37], senza però privare la pubblica amministrazione di un  significativo potere di controllo e sanzionatorio. In sostanza con la riforma sono   gli imprenditori del settore che propongono la classificazione delle opere cinematografiche a seconda dell’età del pubblico di riferimento,  classificazione che viene però controllata dall’amministrazione, con l’ausilio di  una speciale commissione ministeriale ( l. 81/2019),che esprime un parere vincolante,  le cui funzioni sono sostanzialmente riconducibili alla vecchia disciplina della l.161/1962. Il perimetro della giurisdizione di merito, anche dopo la riforma  è  decisamente  ampio in quanto, come in passato, può prendere visione diretta della pellicola e ri valutare con la massima ampiezza i fatti esaminati dall’amministrazione, giungendo anche a soluzioni difformi, rimanendo comunque sempre  escluso il giudizio sul pregio artistico dell’opera.

Ci si chiede a questo punto se, visto l’oggetto della valutazione del giudice, ossia la valutazione delle possibili conseguenze psicologiche della pellicola sulla psicologia di soggetti in formazione,[38] i minori, appunto, meglio non sarebbe stato prevedere un diverso giudice.

  1. I poteri sostitutivi in caso di silenzio-inadempimento su attività vincolata art. 117 c.p.a.

Al di fuori della giurisdizione di merito, ma nell’ambito di quella esclusiva, si colloca un altro caso importante di sostituzione del giudice all’amministrazione, di norma attraverso “un commissario ad acta”.

Si tratta delle ipotesi in cui l’amministrazione, sulla quale grava il dovere di provvedere, viola tale dovere e dunque l’interessato  non può ottenere – a causa del mancato esercizio del potere – il bene della vita al quale aspira. Questi  entro un anno dalla data prevista per la conclusione del procedimento, investe il giudice amministrativo della cognizione del silenzio-inadempimento che si forma[39], silenzio dotato di mero valore fattuale, per chiedere al giudice di pronunciarsi sulla illegittimità del silenzio tenuto dalla p.a. Qualora siano in gioco solo poteri vincolati e non siano necessari (ulteriori) incombenti istruttori, il giudice può sostituirsi all’amministrazione silente, direttamente o attraverso un commissario ad acta, come si diceva. In tale ipotesi, il giudice non effettua valutazioni concernenti la convenienza del provvedimento amministrativo, in quanto è chiaramente stabilito che sono in campo solo poteri vincolati, dei quali si lamenta il mancato esercizio. Per far valere tale tipo di silenzio, da tenere ben distinto dalle ipotesi di silenzio significativo – con valore di atto tacito di assenso (silenzio-assenso) o di diniego (silenzio-diniego) – viene previsto dal c.p.a. un rito semplificato che si conclude con una sentenza in forma semplificata.

In questo caso, “l’intrusione” nei confronti dell’amministrazione è più ridotta rispetto al caso dell’ottemperanza, in quanto trattandosi di poteri vincolati e non dovendosi svolgere (ulteriore) attività istruttoria, l’amministrazione non è privata del suo potere di contemperare l’interesse primario con quelli secondari. Potere che, peraltro, potrebbe tardivamente esercitare. Anche in questo caso il commissario ad acta, scelto solitamente all’interno dell’amministrazione, si configura come ausiliario del giudice (art. 21 c.p.a.); dunque, ancora una volta, la sua è un’attività di mera esecuzione di una sentenza di accertamento dell’inadempimento e di condanna a provvedere nel senso indicato dal giudice, a tutela del principio dell’effettività della tutela.

Come affermato dal Consiglio di Stato[40], il commissario ad acta nelle due ipotesi del silenzio inadempimento e dell’ottemperanza presenta  la medesima natura e la sua nomina non priva l’amministrazione del potere di provvedere tardivamente, ovviamente tenendo conto di quanto statuito nella sentenza del giudice amministrativo.

  1. Conclusioni.

Da quanto sopra  descritto, sebbene in alcune ipotesi, fortemente eterogenee,  il giudice amministrativo possa arrivare a sostituirsi all’amministrazione, ad oggi, complessivamente, il suo intervento è sempre stato piuttosto guardingo e rispettoso della riserva di amministrazione, limitandosi ad un controllo esterno, tendenzialmente  poco invasivo sull’uso del potere.

Il principio di effettività della tutela, in alcune particolari circostanze, indicate tassativamente dalla legge, si pone indubbiamente in conflitto con il  principio della divisione dei poteri che nella sua assolutezza, peraltro, è già stato contestato da tempo, anche se non eroso dall’interno. Difficile stabilire quale dei due possa essere sacrificato e in che misura.

Il sistema italiano, come si è accennato, ha scelto di potenziare il ruolo del giudice amministrativo, fin dalla fase cautelare per arrivare poi a quella  dell’ottemperanza, ma senza contestualmente imporre all’amministrazione, anche attraverso un rafforzamento della responsabilità dei funzionari, l’adozione di migliori modelli di azione sotto il profilo qualitativo e quantitativo.

Si auspica che i fondi europei che arriveranno al nostro Paese in attuazione del PNRR aiutino l’amministrazione a meglio svolgere la sua funzione, che rimane una funzione di esecuzione della volontà legislativa mediante la composizione dei diversi interessi in gioco.

L’intervento sostitutivo del giudice amministrativo dovrebbe rimanere confinato a casi eccezionali,  soprattutto laddove la nozione di “merito” non abbia significato univoco, e considerato una patologia  del sistema, in quanto l’amministrazione, la sola dotata di legittimazione democratica, si dimostra  incapace di  esercitare il potere nei modi e nei tempi previsti,  dovendosi, invece, potenziare altri strumenti, quale quello delle penalità di mora ( astreinte).Non è un caso che, in sistemi dove l’amministrazione è più efficiente, i poteri sostitutivi in capo al giudice amministrativo siano poco diffusi o addirittura sconosciuti. Dunque, l’auspicio è che l’apparato amministrativo, con interventi strutturali e organizzativi, sia messo in condizione si svolgere la funzione esecutiva  con efficacia e qualità.

* La pubblicazione della presente relazione è stata anticipata sulla Rivista AMBIENTEDIRITTO.IT, che si ringrazia.

 

[1] Tutela giurisdizionale che, a parte gli artt. 6 e  13  CEDU, trova i suoi capisaldi nell’Art 47 della Carta  dei diritti fondamentali della Unione Europea, “Carta di Nizza” ( 2000/C 364/01), in www.europarl.europa.eu, ove si legge che “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole d un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge”.

 

[2] Per una ricostruzione del principio della divisione dei poteri rimane fondamentale la voce di G. SILVESTRI, Poteri dello stato (divisione dei), in Enc. Giur., XXXIV, Milano, Giuffrè, 1985, 670 ss. Per la dimensione comparata, cfr. G. BOGNETTI, La divisione dei poteri, Giuffrè, II ed., 2001, passim. Sui rapporti tra divisione dei poteri e sindacato sull’attività amministrativa, cfr. F. CORTESE, Amministrazione e giurisdizione. Poteri diversi o poteri  concorrenti?, in P.A. persona e amministrazione, 2018, 12, 100 ss.

[3] Sulla natura  e le prerogative del giudice amministrativo, cfr. A. POGGI, Magistratura ordinaria e giudici speciali (Contributo ad una ricostruzione sistematica del Titolo IV della Costituzione), Torino, 1992

[4] Per un attento esame dei principi costituzionali relativi alla giustizia amministrativa,  e relativa giurisprudenza e dottrina, si rinvia a V.FANTI in  P.M. VIPIANA,V.FANTI,M.TRIMARCHI, a cura di, Giustizia amministrativa, 2019, Cedam Wolters Kluwer Italia, 2019 , 24 ss.

[5] Si legga in particolare la sentenza della Corte costituzionale n. 177 del 1973, in cortecostituzionale.it.

[6] Sul principio dell’ apparenza, come  interpretato dalla Corte di Strasburgo, mi sia permesso il rinvio a V.PARISIO, Pubblici servizi e funzione di garanzia del giudice amministrativo, Milano, Giuffrè,2003,52 ss

[7] Per la nozione di discrezionalità rimane fondamentale la ricostruzione di M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, 1939, passim; la voce di A. PIRAS, Discrezionalità amministrativa, in Enc. Dir., vol. XIII, 1964, 65 ss. e F.G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pub., 2000, 1045 ss. per la nozione di discrezionalità come “rebus necessaro”  “invariante” dll’azione amministrativa, cfr. G. MORBIDELLI, Separazione tra politica e amministrazione e discrezionalità amministrativa, in Munus, 2021, 1

[8] Sulla nozione di discrezionalità in contrapposizione all’autonomia privata, cfr. A. PIOGGIA, Giudice e funzione amministrativa, Milano, 2004, 94 ss., nonché A. ORSI BATTAGLINI, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. proc., 1988, 39 ss.. Si veda anche il forum sulla discrezionalità amministrativa, sul sito dell’AIPA, www.aipda.org

[9] Sul punto rimane fondamentale lo studio di L. BENVENUTI, La discrezionalità amministrativa, 1986, passim.

[10] Per la prospettiva  storica che si accompagna a tale evoluzione, cfr. S.MANNORI e B.SORDI, Storia del diritto amministrativo, Bari Laterza, 2001, 360ss.

[11] Sul punto, cfr. L. BENVENUTI, op. cit.

[12] Sulle difficoltà che il controllo sui concetti giuridici indeterminati comporta, cfr. S.COGNETTI, Profili sostanziali della legalità amministrativa. Indeterminatezza della norma e limiti della discrezionalità, Milano. Giuffrè, 1993.

[13] Sul controllo giurisdizionale in tema di autorizzazioni paesaggistiche, cfr. Cons. St. sez.VI,30.3.217 n. 1451 , Id. 4 giugno 2015 n. 2751  e Id. 25.2,2013 n.1129 , tutte in www.giustizia-amministrativa.it

[14] Cons. Stato, sez. IV, 09 aprile 1999, n. 601, in Foro.it, 2001, III, 11 ss. con nota di A. TRAVI.

[15] Sul punto, cfr. D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, Cedam, 1995 e   B.MARCHETTI, La discrezionalità della P.A., in Diritto amministrativo e Corte costituzionale, a cura di M.DUGATO, G.DELLA CANANEA, ESI, 2007,342ss.

[16] Sul punto, mi sia concesso il rinvio, anche per la dottrina e giurisprudenza  a V.PARISIO, Controle juridictionnel des actes des Autorités indépendentes: un bref apercu    in www.federalismi.it,  10 ottobre 2018,

[17] Cfr. Cons. Stato, parere del 30 novembre 2020, n. 1958, in giustizia-amministrativa.it.

[18] Cfr. Corte cost., sentenze nn. 204 del 2004, 19 del 2006 e 235 del 2010 in cortecostituzionale.it.

[19] Sul punto, cfr. S. PERONGINI, Diritto processuale amministrativo, a cura di G.P: CIRILLO e S.PERONGINI, Torino, Giappichelli, 2020, 60ss..

[20] Cfr. Cons. Stato, A.P., n. 2 del 2016 e n. 5 del 2015, in www. giustizia-amministrativa.it.

[21] Si rinvia a A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2021, 384 ss. per un’attenta ricostruzione delle diverse teorie proposte per inquadrare la giurisdizione di merito ; M.CLARICH, Manuale di giustizia amministrativa, Bologna, il Mulino 2020, 237 ss. e a P.VIPIANA, in  V.FANTI in  P.M. VIPIANA,V.FANTI,M.TRIMARCHI, a cura di, Giustizia amministrativa, 2019, Cedam Wolters Kluwer Italia, 2019 ,105

[22] Si veda C. CALABRO’, La discrezionalità amministrativa nella realtà d’oggi. L’evoluzione del sindacato giurisdizionale sull’eccesso di potere, in Cons. Stato, 1992, 1567 ss.

[23] Si legga A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, cit.Torino,  221

[24] Sui caratteri dell’azione per l’efficienza della p.a., cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 agosto 2022, n. 7493, in www.giustizia-amministrativa.it.

[25] Si veda C.E. GALLO, Ottemperanza, in Enc. Dir. Annali, Milano, 2008; P.M. VIPIANA, Contributo allo studio del giudicato amministrativo, Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, Milano, 1990; A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2021, 223 ss.; Id., L’esecuzione della sentenza, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2003, 4644 ss.; 317 ss.; M. CLARICH, L’effettività della tutela nell’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 1998, 528 ss.; Id., Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989; B. MARCHETTI, Il giudicato amministrativo e il giudizio di ottemperanza, in R. CARANTA (a cura di), Il nuovo processo amministrativo: commentario sistematico, diretto da R. CARANTA, Bologna, 2010, p. 842 ss. In giurisprudenza sui caratteri di  detto giudizio, ex plurimis, TAR, Lazio, Roma, sez. III, 08 agosto 2022, n. 11098 e Id., sez. I bis, 18 aprile 2019, n. 5054, in www.giustizia-amministrativa.it.

[26] Sul termine decennale per introdurre l’azione di ottemperanza, cfr. Cons. Stato, A.P., 04 dicembre 2020, n. 24, in giustizia-amministrativa.it. Si legga inoltre il commento all’art. 134  c.p.a  di G.AVANZINI in Commentario breve al Codice del processo amministrativo, Cedam, 2021,1090 ss. a cura di G. FALCON, F. CORESE e B.MARCHETTI.

[27] Sulla natura del commissario ad acta è intervenuto il Cons. Stato, A.P., con la sentenza n. 8 del 2021 in www. gustizia-amministrativa.it.

[28] M. LIPARI, L’effettività della tutela tra cognizione e ottemperanza, in federalismi.it, 2010, ove si chiarisce che in   sede   di   ottemperanza, si riscontra l’ampiezza massima dei poteri del giudice, il quale può adottare determinazioni altrimenti ritenute inammissibili in fase di cognizione e F.CORTESE, Corso di diritto processuale amministrativo, Le Monnier Università, 35-36

[29] Per la dottrina e la giurisprudenza relativa alle diverse ipotesi contemplate nell’art. 134 c.p.a, si legga il commento alla disposizione redatto  da G.AVANZINI, in Commentario breve al Codice del processo amministrativo, a cura di G. FALCON, F. CORESE e B.MARCHETTI, Cedam, 2021,  1090 e M.TRIMARCHI, in  P.M. VIPIANA,V.FANTI,M.TRIMARCHI, a cura di, Giustizia amministrativa, 2019, Cedam  Wolters Kluwer Italia 2019, 468 ss

[30] Cfr. G.AVANZINI, in Commentario breve al Codice del processo amministrativo, cit.1091.

[31] Sul punto, cfr. la sentenza della Corte cost. n. 63 del 2019, in cortecostituzionale.it.

[32] Sul punto, cfr. F. PATRONI GRIFFI, Il sindacato del giudice amministrativo sugli atti delle autorità indipendenti,  in www. giustizia-amministrativa.it, 2017; A. PAJNO, Il giudice delle autorità amministrative indipendenti, in Dir. proc. amm., 2004, 3, 617 ss.; F. MERUSI, Giustizia amministrativa e autorità amministrative indipendenti, in Dir. amm., 2002, 2, 18 ss.; A. TRAVI, Autorità per l’energia elettrica e giudice amministrativo, in F. DONATI, Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Torino, 2007, 4. In giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 novembre 2008, n. 5841, in Foro amm.-C.D.S., 2008, 11, 3127 ss. e TAR Campania, Napoli, sez. III, 01 dicembre 2008, n. 20715, in Foro amm.-T.A.R., 2008, 12, 3414 ss.

[33] Corte EDU,sez.II,  27 settembre 2011, n. 43509/08, in www.giustizia.it.

[34] Si veda, in merito a detto sindacato, F. GOISIS, La full jurisdiction sulle sanzioni amministrative: continuità della funzione sanzionatoria v. separazione dei poteri, in Dir.  amm., 2018, 26, 1, 13 ss.

[35] Per l’esclusione di un controllo sostitutivo sulle valutazioni, cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 1013/2014. Su detta sentenza, si veda R. CHIEPPA, Judicial review on antitrust decisions: Q&A, in Italian Antitrust Review, 2015, 1, 153 ss., ove si legge pure che il controllo sulle autorità indipendenti tende oggi verso un modello comune a livello europeo nel quale il principio di effettività è associato alle specificità del litigio.

 

[36] Sul punto, cfr.  G. AVANZINI, in Commentario breve  cit. 1094 e Cons. Stato, n. 840 del 2019 in www. giustizia-amministrativa.it.

[37] Sul punto, cfr. G. AVANZINI, op. ult.cit.1094

[38] Cfr. G.AVANZINI, op, ult. Cit. 1095

[39] Per il giudizio sul silenzio-inadempimento e il rito speciale di cui all’art. 117 c.p.a., anche per dottrina e giurisprudenza,  cfr. A. CALEGARI, Commento all’art.  31 sez. I e all’art. 117 del codice del processo amministrativo, in Commentario breve al Codice del processo amministrativo, a cura di G. FALCON, F. CORESE e B.MARCHETTI ,Cedam, 2021, , pp.333 ss e 933 ss. In giurisprudenza, da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 2022, n. 1737 e TAR Lazio, Roma, sez. V, 01 luglio 2022, n. 9009 in www.giustizia-aministrativa.it. Sull’obbligo di provvedere, cfr. TAR Veneto, sez. II, 26 luglio 2021, n. 973, in  www.giustizia-amministrativa.it. Peraltro va ricordato che, con la modifica dell’art. 34 c.p.a., introdotta dal secondo correttivo al codice del processo amministrativo,  il giudice amministrativo,   nelle  sole ipotesi di attività vincolata e in assenza di attività istruttoria, nell’annullare un provvedimento  espresso di diniego può  ordinare all’amministrazione di adottare il provvedimento  cui il ricorrente aspira.

[40]  Cfr. Cons. Stato, A.P., n. 8 del 2021, cit.