Agatif | Relazione italiana del prof. Carlo Emmanuele Gallo – Torino, 16/10/2015
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Relazione italiana del prof. Carlo Emmanuele Gallo – Torino, 16/10/2015

Relazione italiana del prof. Carlo Emmanuele Gallo – Torino, 16/10/2015

L’ATTIVITA’ ISTRUTTORIA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO ITALIANO

 

  1. L’accertamento della situazione di fatto in relazione alla quale è richiesta la pronunzia del giudice è necessaria perché la sentenza possa essere giusta; la medesima, infatti, come è noto, deve risolvere la quaestio facti e la quaestio juris.

Può dirsi, perciò, che l’attività istruttoria è propria ed indispensabile, per qualunque giudizio, anche per quello in cui le parti non contestino il fatto: in questo caso, invero, semplicemente, l’accertamento istruttorio sarà più semplice.

Per le controversie nelle quali sia parte la pubblica amministrazione, a maggior ragione quando la medesima ha operato come autorità dotata di potere, l’accertamento del fatto comporta problemi particolari, dal momento che nell’adottare il provvedimento l’amministrazione ha individuato e definito una situazione di fatto, che spesso ha anche qualificato al fine di trarne elementi per la sua successiva determinazione.

L’assetto dei poteri istruttori del giudice quando valuta l’attività autoritativa della pubblica amministrazione è frutto, pertanto, di un’adeguata ponderazione dei vari interessi in gioco da parte del legislatore.

Quest’anno, si celebra il centocinquantenario delle leggi di unificazione amministrativa dell’Italia: tra queste leggi vi è una legge fondamentale sul nostro sistema di tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione che è la legge abolitrice del contenzioso amministrativo (legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E).

L’occasione è perciò propizia per una valutazione complessiva di questo arco temporale in relazione al problema che qui ci occupa.

  1. La legge abolitrice del contenzioso amministrativo ha previsto la soppressione dei precedenti giudici speciali che si occupavano delle controversie tra privato e amministrazione, per rimettere tutte le controversie relative a diritti al giudice ordinario, lasciando all’amministrazione, in sede di decisione dei ricorsi amministrativi, la soluzione delle altre questioni.

La legge non ha previsto alcuna limitazione in capo al giudice ordinario per quanto concerne i poteri istruttori, avendogli soltanto inibito di annullare i provvedimenti amministrativi, prescrivendo però che provvedimenti illegittimi non potessero essere applicati (il che ha dato luogo al fenomeno della disapplicazione).

Il legislatore del 1865 ha voluto, perciò, senz’altro ampliare la possibilità di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, sottoponendo quest’ultima allo stesso giudice ordinario e non prescrivendo alcuna limitazione circa l’accesso al fatto da parte del giudice ordinario medesimo, che può utilizzare tutti i poteri istruttori previsti dal Codice di procedura civile.

Quando è in questione un diritto la realtà di fatto dev’essere accertata completamente.

  1. L’istituzione di un giudice che potesse annullare i provvedimenti amministrativi, risale, invece, alla legge 31 marzo 1889, n. 5992, che ha istituito a questo scopo la IV Sezione del Consiglio di Stato.

Si tratta, in realtà, della evoluzione del sistema di tutela già previsto nel 1865, nel senso che, pur con una modificazione rilevante per ciò che concerne l’istituzione di un giudice amministrativo, il legislatore ha completato la tutela  riconosciuta al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione anche per quanto concerne posizioni soggettive diverse dal diritto soggettivo. Queste posizioni, in precedenza lasciate alla valutazione esclusivamente dell’amministrazione, vuoi in sede di decisione di ricorsi gerarchici vuoi in sede di decisione del ricorso straordinario al re, sono state, infatti, assegnate a un giudice.

Il progressivo ampliamento della tutela del cittadino aveva provocato, in precedenza, l’approvazione della legge 31 marzo 1877, n. 3761, che aveva attribuito alla Corte di Cassazione romana la valutazione delle questioni di giurisdizione in precedenza assegnate al Consiglio di Stato, e avrà un successivo completamento nel 1890 con l’istituzione delle Giunte provinciali amministrative e nel 1907 con l’approvazione di una legge migliorativa della legge del 1889 e del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, contenente il regolamento di procedura.

La legge del 1889 configura il Consiglio di Stato come un giudice sostanzialmente corrispondente alla Corte di Cassazione, attribuendo il ruolo delle sentenze di merito vuoi alle decisioni delle Giunte provinciali amministrative, per quanto concerne il contenzioso degli enti locali, vuoi alle decisioni sui ricorsi gerarchici, per quanto concerne il contenzioso nei confronti dello Stato.

L’ampliamento della tutela nei confronti del cittadino, sconta, dal punto di vista dei poteri istruttori, una differenziazione significativa rispetto a quanto stabilito nel Codice di procedura civile.

Se, infatti, le Giunte provinciali e amministrative utilizzavano il più ampio accesso al fatto, il giudice amministrativo d’appello, o talvolta in unico grado, e cioè il Consiglio di Stato, si veniva conferito uno strumentario a livello di istruzione probatoria diverso da quello proprio del giudice civile ed indubbiamente più limitato: non era prevista la possibilità, per esempio, si assumere testimoni, né la possibilità di disporre perizie o consulenze tecniche d’ufficio che dir si voglia (la consapevolezza di avere istituto un sistema istruttorio più limitato emerge dal fatto che lo stesso Regolamento di procedura, all’art. 27, per la giurisdizione di merito ammetteva l’utilizzazione di tutti i mezzi istruttori previsti dal Codice di procedura civile).

La limitazione dei mezzi istruttori è dipesa non tanto dalla configurazione del Consiglio di Stato come giudice di legittimità in senso proprio, quasi fosse una Corte di Cassazione, quanto dalla volontà di lasciare indenne l’amministrazione rispetto al controllo del giudice amministrativo sulla ricostruzione del fatto da questa compiuto (si pensi, per esempio, alla rilevanza del fatto nei procedimenti disciplinari, del quale il giudice non ha mai conosciuto).

Questo tipo di atteggiamento era frutto dell’applicazione rigorosa del principio di separazione dei poteri, da un lato, e, dall’altro, del riconoscimento di un ruolo sempre più significativo all’amministrazione pubblica quale soggetto che regola l’attività dei cittadini.

In quegli anni, infatti, aveva cominciato a diffondersi una funzione più incisiva dell’amministrazione nell’attività economica, a fronte dell’affermarsi di un inizio di stato sociale e comunque di rivolgimenti anche tecnologici rilevanti (la generalizzazione della rivoluzione industriale e le prime forme di intensa urbanizzazione).

  1. La tendenza inaugurata nel 1889 è proseguita nei decenni successivi, aiutata, dal punto di vista della ricostruzione degli istituti giuridici, dalla qualificazione dell’attività dell’amministrazione come di un’attività diversa da quella dei privati e della generalizzazione del provvedimento amministrativo come espressione di autorità.

Il provvedimento amministrativo come espressione di autorità non era certamente estraneo alla sistematica accolta dal legislatore del 1865, come è confermato dal fatto che in quello stesso anno (con la legge n. 2359) era stata approvata la legge che disciplinava l’espropriazione per pubblica utilità, distinguendo tra controversie di carattere indennitario, affidate al giudice ordinario, e controversie diverse, relative all’individuazione dell’opera da realizzare e alla sua localizzazione, non attribuite ad alcun giudice.

E’ però a partire dalla fine dell’800 che si afferma in modo più netto il ruolo del provvedimento amministrativo come espressione di un potere diverso da quello attribuito dai privati, e del quale deve giudicare un giudice particolare, appunto il Consiglio di Stato, che incontra nei confronti della valutazione di questo provvedimento dei limiti, derivanti dalla necessità di utilizzare soltanto i criteri di legittimità.

Il giudice amministrativo, nei decenni successivi, ha svolto la sua attività nell’ambito di quanto affidatogli in modo efficace, attraverso una elaborazione sempre più articolata dei vizi di legittimità, segnatamente dell’eccesso di potere, e attraverso una dissezione sempre più precisa del provvedimento amministrativo al fine di esaminarne attentamente la conformità alla legge sia pure spesso dal punto di vista formale.

Il legislatore non è più intervenuto in merito, pur avendo istituto alcune ipotesi di giurisdizione esclusiva, e cioè di giurisdizione anche su diritti affidata al giudice amministrativo (quale per esempio la materia del pubblico impiego, affidata tutta al giudice amministrativo con il risultato, anche, di sottrarla al giudice ordinario).

I successivi decenni della prima metà del ‘900 sono da questo punto di vista dei decenni nei quali l’incremento della tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione non si è avuto se non attraverso l’opera della giurisprudenza; il legislatore è rimasto sostanzialmente inerte in tutto questo periodo, cosicchè l’intervento della giurisprudenza, anche laddove audace, per esempio con l’estensione del giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo o con il riconoscimento della possibilità di contestazione entro il termine di prescrizione dell’atto paritetico, non ha potuto fare molto.

  1. La situazione è mutata in relazione al nuovo clima provocato prima dall’entrata in vigore della Costituzione del 1948 poi dall’affermazione, a livello politico, di un nuovo orientamento, costituito dai governi di centro sinistra, cioè dai governi nei quali oltre alla democrazia cristiana e al partito repubblicano era presente il partito socialista.

Dopo una lunga riflessione della comunità scientifica e professionale, alla quale non ha fatto seguito una partecipazione così consapevole da parte del mondo politico, è stata approvata la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 che ha istituto in ogni regione i Tribunali Amministrativi Regionali quali giudici di primo grado, con competenza generalizzata su tutti gli atti amministrativi sia dello Stato che delle altre autorità pubbliche.

Al giudice il legislatore non ha attribuito poteri particolari, e, in materia istruttoria, non ha attribuito la possibilità di disporre di nuovi mezzi di prova; pure a fronte degli interventi della letteratura che aveva proposto in più occasioni l’istituzione di un giudice istruttore, il legislatore così non ha disposto, dichiaratamente per evitare le lungaggini che il giudice istruttore aveva provocato nel processo civile, assegnando la competenza istruttoria, quale organo monocratico, al presidente (generalizzando così un sistema che era già stato previsto avanti il Consiglio di Stato ma soltanto in ipotesi particolari o sull’accordo delle parti).

Il contenzioso, dopo il 1971, è esploso, dal punto di vista numerico, ma l’attività istruttoria non è stata poi così innovativa come ci si poteva aspettare.

Soltanto con la legge 28 gennaio 1977, n. 10, il legislatore ha previsto che il giudice amministrativo potesse disporre perizie, ma unicamente in materia edilizia.

La Corte Costituzionale, a sua volta, con la sentenza n. 146 del 1987 ha consentito, in materia di pubblico impiego, l’assunzione di tutti i mezzi di prova ammessi dal processo del lavoro.

Il giudice amministrativo, però, non ha mai utilizzato le nuove possibilità (per il vero nemmeno troppo stimolato dagli avvocati) un po’ per abitudine mentale, un po’ perché questo avrebbe costretto ad altri ritmi nella conduzione degli uffici.

  1. Un’ulteriore evoluzione della giustizia amministrativa si è avuta alla fine del ‘900, a seguito della crisi dei rapporti tra politica e amministrazione conseguenti alle indagini penali sulla corruzione ed all’affermazione di un nuovo ruolo della dirigenza amministrativa, in linea, addirittura, con un’ipotesi di revisione costituzionale.

E così da un lato è stato incrementato il ruolo del giudice amministrativo, con l’aumento del numero delle materie di giurisdizione esclusiva, dall’altro è stato previsto un incremento dei poteri istruttori con la legge n. 205 del 2000.

Questa legge ha infatti previsto in via generale la possibilità per il giudice amministrativo di disporre consulenze tecniche d’ufficio, di disporre cioè di uno strumento che poteva consentire di fare compiere da parte di un soggetto esterno quelle valutazioni nella realtà anche di fatto che altrimenti erano rimaste appannaggio esclusivo dell’amministrazione. Ma in concreto poco è mutato.

  1. Una profonda modificazione dell’ordinamento complessivo si è avuta con l’approvazione del Codice del processo amministrativo, nel 2010, nel quale i poteri istruttori del giudice amministrativo, in tutte le ipotesi in cui ha giurisdizione, sono stati equiparati a quelli del giudice civile.

Le uniche limitazioni sono state l’una introdotta su richiesta del Consiglio di Stato e cioè la limitazione della testimonianza all’assunzione  per iscritto, l’altra, su richiesta viceversa del Governo, alla limitazione della possibilità di ricorrere alla consulenza tecnica d’ufficio, ammessa soltanto “se indispensabile”.

Il Codice, nonostante la legge delega avesse previsto l’istituzione del giudice istruttore, non ha seguito quest’orientamento, continuando ad attribuire il potere istruttorio al Collegio oppure, in alternativa, soltanto al Presidente.

Questo modo di procedere ha condotto, in realtà, salve limitate esperienze, all’intervento istruttorio soltanto del Collegio in sede d’udienza.

  1. Fin dal 1889, la difficoltà del ricorrente di acquisire gli elementi istruttori a sostegno delle sue domande e la posizione di disparità esistente sul terreno sostanziale per il ricorrente e l’amministrazione, titolare del potere, ha condotto il giudice amministrativo ad individuare, sulla scorta di una conforme opinione della letteratura, una particolare regola di giudizio, che limita l’onere della prova a carico del ricorrente all’onere di un principio di prova, e cioè di una credibile rappresentazione della realtà, attribuendo viceversa al giudice la possibilità di disporre d’ufficio i mezzi di prova che reputi necessari per l’accertamento della verità, sia pure, ovviamente, nell’ambito di quanto il ricorrente ha contestato.

Il Codice non ha modificato questa regola, che vale sempre quando l’amministrazione è titolare di un potere e che non vale invece quando il cittadino dispone di un diritto soggettivo, poiché, in questo caso, si ritiene che l’accesso al fatto gli sia più agevole (la regola non vale neppure quando il cittadino sollevi delle eccezioni o delle questioni preliminari, rispetto alle quali non abbia difficoltà alla acquisizione del materia occorrente per sostenere la propria testi).

  1. Alla luce del percorso compiuto dal legislatore, dalla giurisprudenza e dalla letteratura, i problemi attualmente sul tappeto possono essere individuati: 1) nella effettiva possibilità per il giudice di compiere gli accertamenti in fatto occorrenti per la definizione di questioni complesse; 2) nella aderenza dei mezzi istruttori disponibili alla esigenza indicata; 3) nella sussistenza di un apparato organizzativo che consenta una tempestiva verifica della situazione di fatto.

Quanto alla prima esigenza, l’assetto dei poteri istruttori consente al giudice una effettiva possibilità di accertamento della situazione di fatto: il giudice dispone invero di tutti i mezzi di prova previsti dal Codice di procedura civile, che sono quelli che, normalmente, permettono a questo giudice di verificare quella che è la realtà sulla quale deve decidere.

Il giudice amministrativo, generalmente interpreta in modo ampio la sua possibilità di intervento a mezzo di verificazioni e di consulenze e da questo punto di vista il fatto è diventato un elemento sul quale l’amministrazione non può sperare di sottrarsi alla verifica in sede giurisdizionale, anche quando disponga di poteri discrezionali. Questo vale sia per l’amministrazione in genere che per le amministrazioni che sono dotate di particolari competenze in materia tecnica, quali le autorità indipendenti, posto che rispetto ad esse il giudice amministrativo è molto spesso particolarmente incisivo. Non mancano, ovviamente, situazioni in relazione alle quali il giudice individua una limitazione alla possibilità di sindacato che può essere più o meno condivisa: può essere richiamata a questo proposito una recente sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto di non poter sindacare una valutazione dell’Autorità antitrust laddove individuava il concetto di mercato rilevante, ritenendola valutazione spettante al potere discrezionale di questa autorità. Non pare che sia così, posto che la definizione di mercato rilevante è una definizione che può essere compiuta sulla base dell’utilizzazione delle scienze economiche ed aziendalistiche, e che perciò può essere ripercorsa in sede giurisdizionale, pur con la doverosa prudenza che occorre allorché alle valutazioni di un apparato amministrativo appositamente dedicato vengono contrapposti i giudizi di un singolo tecnico, pur qualificato.

Piuttosto, il Giudice amministrativo appare poco incline a conoscere direttamente la realtà di fatto, attraverso, per esempio, i chiarimenti, che potrebbero consentire l’interrogatorio libero delle parti (e chiarimenti in forma orale sono stati da sempre assunto anche dal Consiglio di Stato), o mediante l’audizione delle parti nei riti speciali (per esempio nel rito sull’attività anche sindacale della P.A.). La stessa assunzione dei testimoni in forma scritta non può essere intesa come una regola rigida, essendo evidente che siffatto modo di assunzione non rende immediata l’efficacia della prova; deve perciò ammettersi l’assunzione in altra forma nel caso in cui questo sia considerato utile. In via interpretativa, la disposizione secondo la quale la prova testimoniale è sempre assunta in forma scritta a’ sensi del Codice di procedura civile può essere intesa nel senso che l’assunzione in forma scritta dev’essere disciplinata a’ sensi del Codice civile, non che l’assunzione non possa essere effettuata se non in forma scritta.

È pur vero che l’assunzione diretta dei fatti in giudizio non è detto che soddisfi del tutto l’esigenza di genuinità, ma un approccio non meramente cartaceo alle circostanza è sicuramente utile.

Il Giudice può poi disporre di tutti i mezzi di acquisizione istruttoria documentale che ritiene utili, in quanto l’art. 64, al terzo comma, non limita il potere di acquisizione alla Pubblica Amministrazione, dal momento che un potere di acquisizione ben più ampio è stabilito al secondo comma dell’art. 63, anche d’ufficio.

Quanto alla seconda questione, i mezzi che il Codice predispone sono adeguati alle esigenze istruttorie del giudice amministrativo, purché il medesimo li utilizzi facendo tesoro dell’esperienza del giudice ordinario. Il problema si pone soprattutto per l’utilizzazione delle verificazioni e delle consulenze tecniche d’ufficio. Il giudice amministrativo dev’essere attento nel disporre di questi mezzi istruttori sia per quanto concerne la formulazione dei quesiti da porre al verificatore e al consulente, sia per quanto concerne l’individuazione del verificatore e del consulente.

La formulazione dei quesiti infatti è indispensabile perché la risposta dell’esperto sia adeguata e la scelta dell’esperto medesimo è indispensabile perché la risposta sia imparziale. Il giudice amministrativo, viceversa, molto spesso in questa materia si esprime con affermazioni di carattere generale che non sono corrispondenti all’esigenza istruttoria. Significativo è che la legge Madia (e cioè la legge di riforma della pubblica amministrazione 7 agosto 2015, n. 124) preveda per il giudizio avanti la Corte dei Conti, per esempio, che i consulenti tecnici d’ufficio debbano essere individuati in albi appositamente predisposti. In questo modo, vi potrà essere una maggiore oculatezza nella scelta del consulente.

Per quanto concerne la terza questione, l’attribuzione sempre e comunque al Collegio del potere istruttorio se è garanzia di una maggiore ponderazione è certamente ostacolo a una tempestiva disposizione del mezzo istruttorio ed ostacolo anche ad un controllo più puntuale dell’attività, per esempio, del verificatore e del consulente che viceversa è indispensabile per la corretta assunzione del fatto.

Mentre le decisioni sulle questioni di diritto possono essere affrontate sul Collegio o possono essere anche assunte rapidamente sulla scorta delle cognizioni tecniche delle quali il giudice amministrativo indubbiamente dispone, l’accertamento del fatto richiede soprattutto scrupolo ed attenzione nonché approfondimento; richiede perciò tempo e vicinanza alla realtà. Il Collegio non può disporre né del tempo né della vicinanza dalla realtà necessaria, a meno che non si voglia impegnare ben più di quanto ora non succede nello svolgimento della funzione giurisdizionale. La scelta di istituzione di un giudice istruttore, prevista dalla legge delega, sarebbe stata, perciò, da questo punto di vista opportuna. Poiché il Codice non l’ha voluta compiere, l’alternativa è quella di ricorrere alla possibilità, che dal Codice viceversa è prevista, che il Presidente deleghi uno dei componenti del Tribunale (o della Sezione, anche del Consiglio di Stato) all’attività istruttoria. Il Presidente dovrebbe, perciò, o nominare uno o più magistrati delegati stabilmente allo svolgimento dell’attività istruttoria, per esempio per gruppi di materie (suddivisione suggerita dal Consiglio di presidenza per quanto concerne l’assegnazione delle cause) oppure nominare con molto anticipo il giudice relatore ed affidare al medesimo l’attività istruttoria occorrente, in modo che vi possa essere quell’attenzione, quell’approfondimento e quella cura che sono indispensabili perché il fatto venga compiutamente acquisito in giudizio. Purtroppo non è questo l’atteggiamento che viene normalmente seguito ed è questa, invece, una esigenza che dovrebbe essere tenuta presente.

Così procedendo, la causa giungerebbe all’udienza comunque istruita e non vi sarebbe alcuna ragione di critica alla previsione contenuta nell’art. 65, secondo comma, del Codice, che nello stabilire che quando l’istruttoria è disposta dal Collegio questi provveda con ordinanza con la quale contestualmente fissa la data della successiva udienza di trattazione del ricorso, sembra ipotizzare che la causa giunga in udienza non istruita. In questo caso, invece, il differimento dell’udienza sarebbe tutto sommato eccezionale, e si verificherebbe soltanto nell’ipotesi in cui si debba disporre una consulenza tecnica o una verificazione: anche in questo caso, però, gli adempimenti specifici relativi a questo mezzo di prova ben potrebbero essere delegati dal Collegio ad uno dei giudici, segnatamente al relatore).

  1. Confrontando gli aspetti positivi con gli aspetti negativi dell’esperienza istruttoria del giudice amministrativo è evidente che i primi sono nettamente prevalenti, soprattutto alla luce dell’evoluzione più recente: e ciò comporta che la garanzia di tutela giurisdizionale che il giudice amministrativo appresta ai cittadini non possa che essere considerata soddisfacente quanto alla qualità. Per quanto concerne la quantità, tenuto conto del carico presente, evidentemente uno sforzo eccezionale da parte dei giudici attualmente in servizio, al di là di quanto non prescriva il Consiglio di Presidenza, è senz’altro auspicabile!

(Relazione predisposta per il Convegno AGATIF del 16 ottobre 2015, in Torino)