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Relazione italiana dell’avv. Claudio Sironi – Spira – 29/09/2017

“Le controversie tra persone giuridiche di diritto pubblico davanti al giudice amministrativo”

1. Prima di entrare nel cuore del tema, occorre partire da alcune considerazioni preliminari relative all’ordinamento italiano.
Lo Stato (inteso come amministrazione) è un soggetto giuridico che agisce per fini propri, al pari degli altri soggetti pubblici o privati, ed è tenuto al rispetto delle norme giuridiche vigenti. Lo Stato è l’ente pubblico per eccellenza.
Lo Stato non è, tuttavia, l’unico ente pubblico. Nell’ordinamento italiano vige, infatti, il principio del pluralismo della Pubblica Amministrazione per cui coesistono, accanto allo Stato, altri soggetti dotati di capacità giuridica privata e di capacità giuridica pubblica.
L’art. 11 del Codice Civile prevede, infatti, che “le province e i comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico”
L’art. 114 della Costituzione prevede, inoltre, che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Provincie, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statu, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Lo Stato è costituito, quindi, da enti pubblici territoriali così chiamati perché il territorio è l’elemento costitutivo di tali enti. Ogni punto del territorio nazionale appartiene a un solo Comune, a una sola Provincia, a una sola Regione. Per questi enti, il territorio rappresenta sia l’ambito sia l’oggetto dell’attività e ne costituisce elemento della personalità.
Gli enti territoriali sono i portatori, quindi, degli interessi generali della collettività che vive su quel determinato territorio, attraverso l’esercizio del potere autoritativo e l’emanazione di atti autoritativi, sia con riferimento all’attività organizzatoria, sia verso i terzi; l’elemento del territorio rappresenta, quindi, anche l’ambito che delimita la sfera di competenza ed efficacia dei poteri degli enti territoriali.
Alla luce di quanto sopra, appare evidente, che la Costituzione ha optato per l’adozione del principio di decentramento amministrativo (in opposizione al modello dello stato centrale) che si basa su un’organizzazione che prevede la distribuzione delle competenze decisionali tra soggetti diversi.
La distribuzione delle competenze avviene secondo il principio della sussidiarietà; in base a tale principio le funzioni politiche e amministrative dei singoli enti si intendono sussidiarie rispetto alle funzioni attribuite agli enti superiori (ad esempio, le attribuzioni del Comune sono sussidiarie rispetto quella della Regione) .
Occorre osservare, infine, che ai sensi dell’art. 1, comma 2 del D.lgs. 30 marzo 2001, “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300” (si pensi ad esempio alle Agenzie delle Entrate e le Agenzie delle Dogane).
Tale norma ha allargato notevolmente il concetto di persona giuridica di diritto pubblico. Un ente si può qualificare come pubblico soltanto quando gli sia attribuito dalla legge o da un provvedimento amministrativo, fondato su una previsione di legge, la personalità giuridica pubblica; non è sufficiente, infatti, che la persona giuridica pubblica persegua finalità rientranti tra quelle della Pubblica Amministrazione. La caratteristica delle persone giuridiche pubbliche può, quindi, essere individuata, in via preminente, dall’essere titolari di poteri pubblici, di auto-organizzazione, di certificazione e di autotutela e dall’impossibilità che i suoi compiti vengano esercitati da altri soggetti. Ciò non esclude che le persone giuridiche pubbliche (o quantomeno alcune di esse) possano svolgere anche attività privatistiche.
2. Inquadrata, in via generale, la natura degli enti pubblici, osserviamo che l’ordinamento prevede un particolare sistema per la soluzione dei conflitti tra i poteri dello Stato; tale procedura esula dall’oggetto del presente convegno, ma pare utile farne un breve accenno al fini di un migliore inquadramento della tematica in Italia.
Sul punto, in via preliminare, occorre osservare che l’art. 134 della Costituzione statuisce che la Corte Costituzionale giudica “sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni”.
Il conflitto tra poteri dello Stato insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali.
Perché sorga il conflitto tra poteri dello Stato è necessario, quindi, che esso sorga i) tra organi appartenenti a poteri diversi, ii) fra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere, iii) per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali.
Sono esclusi dalla competenza della Corte i conflitti fra poteri appartenenti a giurisdizioni diverse, in ordine all’appartenenza della potestà di decisione di una determinata questione e i conflitti fra organi appartenenti ad uno stesso potere.
Il conflitto di attribuzione può essere sollevato da un potere dello Stato; il potere è definito come una figura organizzatoria composta da un organo o da più organi fra loro funzionalmente collegati ed alla quale va riferita una sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita.
Tra i poteri dello Stato rientrano, oltre a quelli legislativo, esecutivo e giudiziario, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale.
Il conflitto deve riguardare l’attribuzione da parte di norme costituzionali; spetta alla Corte costituzionale risolvere il conflitto sottoposto al suo esame. La Corte deve dichiarare, quindi, a chi spetta l’attribuzione in contestazione e, qualora trattasi di un’attribuzione causata da atto nullo, deve annullare l’atto.
È necessario, quindi, che a fondamento del conflitto sia posta l’attribuzione da parte di una norma costituzionale .
3. Cosa succede, tuttavia, quando il conflitto sorge tra enti pubblici relativamente alla vantata lesione di un diritto soggettivo e non alla contestazione circa l’attribuzione da parte della Costituzione?
In via preliminare e generale, occorre osservare che le persone giuridiche pubbliche, come d’altronde qualunque altro soggetto privato) sono soggetti al riparto di giurisdizione tipico dell’ordinamento italiano: se si interviene per la tutela di un interesse legittimo si dovrà ricorrere al Giudice amministrativo, mentre se si intende difendere un diritto soggettivo occorrerà rivolgersi al Giudice ordinario (ciò è quanto accade quando le persone giuridiche pubbliche operano nei confronti di terzi secondo il regime privatistico).
Fatta la premessa di cui sopra, occorre capire, allora, quali sono gli strumenti, che l’ordinamento riconosce in capo agli enti pubblici, volti a dirimere controversie relative alla lesione di un proprio diritto soggettivo da parte di un altro ente pubblico.
Innanzitutto, si osserva che l’Amministrazione ha una capacità giuridica in ordine ai poteri di diritto comune meno estesa di quella attribuita alle persone fisiche, non comprendendo, ad esempio, l’idoneità ad essere titolari di situazioni strettamente collegate alla natura propria dell’individuo (diritto di famiglia); a ciò si aggiunga le numerose disposizioni che escludono la possibilità agli enti di compiere talune attività di diritto comune (contratti aleatori – o contrarre discrezionalmente con chi vogliono).
Appare evidente che l’utilizzo degli strumenti di diritto comune da parte degli enti pubblici deve essere giustificato in ragione dell’attinenza al raggiungimento delle finalità curate dall’ente.
Sul punto vige il principio dell’inammissibilità di ricorsi fra organi dello stesso ente, ma non può essere messo in dubbio che un ente pubblico possa impugnare i provvedimenti amministrativi emanati da un altro ente .
Occorre individuare, tuttavia, i limiti e le possibilità riconosciute agli enti.
Con particolare riferimento agli enti territoriali, ai fini della tutela degli interessi dei propri amministrati, deve farsi riferimento non solo all’elaborazione consolidata della giurisprudenza ma anche, come si dirà appresso, alle innovazioni normative sopraggiunte medio tempore e, soprattutto, ai nuovi profili di intervento riconosciuti ad ogni tipologia di figura soggettiva esponenziale di interessi omogenei ai sensi del decreto legislativo 20 dicembre 2009 n. 198 “Attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”.
Da un lato, vi è stata la giurisprudenza che ha ricercato un criterio di collegamento tra gli interessi, che appartengono ontologicamente a tutti i componenti di una collettività, e i meccanismi processuali, che richiedono che l’azione sia portata avanti da un ben individuato soggetto dell’ordinamento.
In questo senso, la soluzione adottata è stata quella di ricercare una serie di elementi (personalità del soggetto agente, conformità dell’azione proposta ai suoi fini statutari, collegamento stabile con l’interesse protetto, ecc.) che tendessero a dare struttura all’interesse stesso. Questo indirizzo ha permesso di incanalare entro i consolidati ambiti del processo amministrativo le nuove esigenze di tutela a cui il legislatore non aveva ancora dato una soddisfacente risposta.
Dall’altro lato, l’attribuzione della legittimazione a figure soggettive che si ponevano anche in contrasto con i soggetti pubblici, normalmente incaricati della tutela degli interessi generali della collettività, ha evidenziato come la giurisprudenza amministrativa ritenesse che tali interessi non fossero di esclusiva pertinenza dell’azione pubblica (da qui, ad esempio, è stato riconosciuto la legittimità attiva, a determinate condizioni, delle associazioni private di categoria).
In questa direzione, il richiamo alla fonte costituzionale della protezione di tali interessi ha permesso di affermare, più o meno esplicitamente, che il meccanismo tradizionale di tutela (creazione di un ente pubblico ed attribuzione allo stesso della tutela dell’interesse, inteso come canone di comportamento nella sua attività) non fosse esaustivo delle possibilità rimesse ai cittadini.
Ne deriva che, grazie al riconoscimento diretto derivante dalla Costituzione, si deve ritenere che i diritti dei cittadini in tema di tutela di interessi diffusi possano trovare modi di esercizio paralleli ed ulteriori rispetto al meccanismo tradizionale dall’attribuzione della loro cura ad un soggetto pubblico predeterminato, sia esso già esistente o costituito ad hoc.
Il secondo snodo concettuale attiene alla possibilità di riconoscere, la legittimazione ad agire a qualsiasi ente esponenziale di interessi omogenei o agli enti territoriali, in virtù del loro collegamento con la collettività, ivi stanziata, e facendo perno sull’unico cardine della rappresentatività.
La giurisprudenza amministrativa, nel tentativo di strutturare tale interesse, ha cercato di individuare una serie di elementi tali da dimostrare il collegamento tra interesse azionato e soggetto agente, enucleando una serie di principi ancora fondamentalmente validi ed applicabili che possono valere anche con riferimento alla legittimazione degli enti territoriali in ipotesi in cui gli stessi non risultino attributari, ex lege, di specifiche competenze in materia.
Anche in questo caso, l’affermazione si fonda su una serie di presupposti impliciti.
In primo luogo, va evidenziato come gli enti territoriali siano effettivamente soggetti a cui, dopo la riforma del titolo V della Costituzione, è stata assegnata la funzione di cura concreta degli interessi della collettività di riferimento. Una tale affermazione appare agevolmente riscontrabile sulla base della lettura del novellato art. 114 della Costituzione (i Comuni, le Province, le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione) e sulla previsione del principio di sussidiarietà, di cui all’art. 118 della Costituzione; tale principio affida all’ente locale più vicino ai cittadini la cura concreta di interessi.
Ne deriva, che, mentre nelle materie la cui tutela è affidata agli enti dalla legge vi è un riconoscimento normativo esplicito sulla loro legittimazione, dove tale riconoscimento manca non si vede ragione per trattare questi enti generali in maniera differente rispetto a qualsiasi associazione privata.
In secondo luogo, se è ben vero che la natura di ente territoriale consente di riconoscere per implicito la natura di soggetto di riferimento della comunità locale, ciò non esclude la permanente necessità di ricercare, in analogia con le associazioni private, gli ulteriori elementi che fondino la legittimazione. Ad un livello di maggior dettaglio, deve necessariamente rilevarsi che la decisione di agire in giudizio è espressione della volontà politica dell’ente stesso che, selezionando tra i tanti interessi ad esso non attribuiti quelli di cui vuole farsi portatore, si fa interprete della presunta volontà del corpo elettorale.
In ogni caso, l’equivalenza tra rappresentatività politica e capacità di esprimere i reali intendimenti della collettività è ancora soggetta ad alcuni dubbi; si pensi, ad esempio, alla difficoltà di ricondurre alla figura privatistica del mandato il rapporto tra elettori ed eletto e all’impossibilità logica che una competizione elettorale possa dare una precisa e coerente rappresentazione degli interessi e delle preferenze degli elettori.
Pertanto, premesso che gli enti territoriali sono, per norma costituzionale, titolari di poteri generali di tutela degli interessi rilevanti per la collettività stanziata, la loro legittimazione, per le materie non direttamente conferitegli dalla legge, va individuata secondo i criteri usuali e quelli che discendono dall’ordinamento.
In questo senso, occorre fare riferimento al citato decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198 “Attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici”.
Ai sensi dell’art. 1, infatti, “al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi”.
Emerge dal testo come la legittimazione ad agire venga correlata, per un verso, all’esistenza di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, per altro verso, alla riferibilità di tali interessi ad un soggetto titolare, ed infine, all’esistenza di una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi.
Occorre tenere presente, in ogni caso, che, mentre nel privato l’autonomia è l’esito della capacità di autodeterminazione dei fini, nel pubblico la scelta dei fini non è rimessa alla libertà dell’ente in quanto questi sono conseguenti e collegati alle sue attribuzioni, a loro volta determinate dal decisore politico. In sintesi, per i privati l’autonomia è autodeterminazione dei fini; per il pubblico i fini sono eterodeterminati dalla legge o dall’atto costitutivo dell’ente, il che fa anche dubitare che si possa parlare di autonomia privata nelle scelte amministrative (Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2010, n. 8686).
4. Al fine di valutare gli aspetti concreti di precedentemente illustrato, passiamo ora ad esaminare un paio di casi.
Un Comune ha impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale il provvedimento con il quale la Provincia (ente territoriale superiore al Comune) aveva deciso l’aumento della quota a lei spettante della tassa rifiuti. Ebbene, in tale occasione, con la sentenza Tar Lazio, sez. II, 6 agosto 2014, n. 8748, il Giudice amministrativo ha statuito che, ferma la legittimazione attiva delle amministrazioni locali in giudizio, al fine di tutelare gli interessi collettivi della propria comunità, ciò non esclude la permanente necessità di ricercare, in analogia con quanto avviene per le associazioni private, gli ulteriori elementi che fondino la legittimazione, laddove si tratti di materie non direttamente conferite agli enti territoriali dalla legge.
In particolare, il Giudice amministrativo ha rilevato che “la sussidiarietà in senso verticale attiene al riparto delle competenze e delle funzioni pubbliche secondo un criterio di prossimità al cittadino destinatario, nel rispetto delle norme costituzionali e ordinarie; nessuna norma attribuisce ai Comuni la legittimazione ad impugnare tributi, tariffe o altre imposizioni economiche gravanti sui singoli residenti, così come è impraticabile ogni riferimento alla rappresentanza politica; a sua volta, la sussidiarietà in senso orizzontale depone in senso contrario alla soluzione affermata, dal momento che essa è finalizzata a promuovere e sostenere i cosiddetti corpi intermedi, le associazioni spontanee dei cittadini per la realizzazione e tutela dei loro interessi e non certamente per sostituirsi e sovrapporsi ad essi”.
Ne deriva, nel ragionamento del Tar che l’interesse collettivo della comunità comunale non può coincidere con l’interesse individuale dei soggetti di cui è composta la categoria dei cittadini utenti del servizio (nella specie quello della raccolta rifiuti), perché questo è perseguibile direttamente dal soggetto che ne è titolare esclusivo.
L’interesse diffuso o collettivo trascende il singolo cittadino per riferirsi alla comunità nel suo complesso, esso è di tutti e di nessuno singolarmente considerato, come l’interesse alla tutela dell’ambiente o dei beni archeologici, al governo del territorio, il diritto alla salute e simili; esso, sebbene riferibile ad una categoria di soggetti (i componenti la comunità locale), deve trascendere i singoli interessi, non potendo rappresentare la sommatoria di interessi individuali, che sono individualmente tutelabili.
Con riferimento, quindi, al caso concreto, dove la determinazione della tariffa spetta al Comune, in collaborazione con la Provincia, l’atto di determinazione dei costi sopportati dalla Provincia rappresenta un segmento procedimentale che si inserisce in un più ampio e complesso procedimento di formazione della tariffa, la cui delibazione è affidata alla competenza concorrente dei due enti locali ed il cui esito finale è l’elaborazione dell’importo tariffario che grava su ogni singolo utente.
Il Tar conclude, quindi, che le amministrazioni non sono in posizione di contrapposizione, ma concorrono, ognuna per il suo specifico ambito di attribuzione, alla determinazione dell’importo tariffario finale, ciò che conduce a ritenere il difetto di legittimazione a ricorrere in capo all’amministrazione comunale (si veda anche, TAR Campania, sez. I, 25 luglio 2011, n. 3973; Consiglio di Stato, sez. V, 3 maggio 2012, n. 2540).
L’eventuale impugnazione della tariffa spetterebbe, infatti, ai singoli cittadini o alle associazioni di categoria se esistenti.
In un’altra fattispecie, il Giudice amministrativo ha riconosciuto la legittimità attiva di alcuni Comuni che avevano impugnato il provvedimento finale con il quale il Ministero dello sviluppo economico, d’intesa con le Regioni di appartenenza dei Comuni ricorrenti, aveva autorizzato un soggetto privato a eseguire le operazioni di ricerca di idrocarburi gassosi e solidi sui loro territori. In particolare, i Comuni lamentavano l’omesso invito alla partecipazione al procedimento di autorizzazione.
Nel corso del giudizio, il Ministero ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso introduttivo proposto dai Comuni interessati sul presupposto del difetto di interesse perché gli stessi non avrebbero indicato una lesione specifica e concreta degli interessi specifici da loro rappresentati.
Con la sentenza 7 giugno 2017, n. 2757, il Consiglio di Stato ha rilevato che la norma in materia nel prevedere “una partecipazione obbligatoria al procedimento delle amministrazioni locali interessate, delinea una ipotesi di legittimazione e di interesse ad agire “ex lege” e attribuisce agli enti locali l’interesse a ricorrere che si afferma mancante, laddove prevede il coinvolgimento delle amministrazioni locali nel procedimento in discussione, senza che necessitino requisiti ulteriori. Legittimazione e interesse discendono cioè, “ex lege”, dalla previsione di partecipazione al procedimento delle amministrazioni locali, e dalla riscontrata violazione di detta previsione”. Il Giudice amministrativo ha anche osservato che, in ogni caso, “la legittimazione si desume in via diretta dalla qualità, dell’amministrazione locale, di ente esponenziale delle collettività di riferimento” e che, nella fattispecie, “in definitiva, non può farsi questione di una carenza di interesse ad agire delle amministrazioni comunali ricorrenti in primo grado, sulla falsariga di quanto prospettato dalle appellanti, a causa della omessa dimostrazione di una lesione concreta e attuale di un interesse specifico in capo ai comuni medesimi”.
5. In conclusione, possiamo affermare che la legittimazione ad agire degli enti pubblici, in particolare, quella degli enti locali, si basa sulla presenza dei seguenti elementi fondamentali: i) la tutela di un interesse collettivo che ii) per sua natura deve essere generale e non attributivo di una legittimazione attiva del singolo cittadino, iii) dal fatto che tale interesse collettivo riguardi la comunità presente sul proprio territorio e, ovviamente, iv) qualora non sia la legge a riconoscere espressamente in capo all’ente la tutela di un determinato interesse legittimo proprio (e non, come detto, del singolo).
Da quanto sopra, esposto, appare altresì evidente che, al di fuori delle specifiche competenze della Corte Costituzionale in tema di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (ipotesi che non riguarda l’oggetto del presente convegno), l’ordinamento italiano non prevede competenze o procedimenti particolari nel caso in cui i ricorrenti siano persone giuridiche di diritto pubblico, rispetto a soggetti privati (singoli o collettivi). Gli enti pubblici possono ricorrere al Giudice amministrativo, per la tutela dei propri interessi legittimi, al pari del privato tenendo presente la verifica della presenza degli elementi che costituiscono al loro legittimazione attiva; tale valutazione spetterà, certamente, caso per caso, al Giudice amministrativo.
Claudio Sironi

Relazione tedesca Spira – Prof. Dr. Ulrich Stelkens – 29/9/2017

Rechtsstreitigkeiten zwischen juristischen Personen des Öffentlichen Rechts vor dem Verwaltungsgericht,

Univ.-Prof. Dr. Ulrich Stelkens

Einführung

Entscheidung von Rechtsstreitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts

– war schon vor 1949 eine klassische Aufgabe der Verfassungsgerichtsbarkeit, deren Zuständigkeit nach 1949 (auch) in dieser Hinsicht erheblich ausgebaut wurde;

– war auch schon vor 1949 eine klassische Aufgabe der Verwaltungsgerichtsbarkeit, die aber erst nach 1949 zu ihrer vollen Entfaltung kam;

– ist eine Aufgabe, die daneben auch von den Gerichten anderer Gerichtszweige wahrgenommen wird, insbes. von der ordentlichen Gerichtsbarkeit (v. a. in Staatshaftungssachen und im Rahmen anderer Sonderzuständigkeiten) und den Sozialgerichten (insbes. in Bezug auf Ausgleichsansprüche zwischen Sozialleistungsträgern).

Verwaltungsgerichtsordnung (VwGO) § 40

(1) Der Verwaltungsrechtsweg ist in allen öffentlich-rechtlichen Streitigkeiten nichtverfassungsrechtlicher Art gegeben, soweit die Streitigkeiten nicht durch Bundesgesetz einem anderen Gericht ausdrücklich zugewiesen sind. Öffentlich-rechtliche Streitigkeiten auf dem Gebiet des Landesrechts können einem anderen Gericht auch durch Landesgesetz zugewiesen werden..

(2) Für vermögensrechtliche Ansprüche aus Aufopferung für das gemeine Wohl und aus öffentlich-rechtlicher Verwahrung sowie für Schadensersatzansprüche aus der Verletzung öffentlich-rechtlicher Pflichten, die nicht auf einem öffentlich-rechtlichen Vertrag beruhen, ist der ordentliche Rechtsweg gegeben; dies gilt nicht für Streitigkeiten über das Bestehen und die Höhe eines Ausgleichsanspruchs im Rahmen des Artikels 14 Abs. 1 Satz 2 des Grundgesetzes. Die besonderen Vorschriften des Beamtenrechts sowie über den Rechtsweg bei Ausgleich von Vermögensnachteilen wegen Rücknahme rechtswidriger Verwaltungsakte bleiben unberührt.

Entscheidung von Rechtsstreitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts

– nimmt in der Tätigkeit deutscher Verwaltungsgerichte durchaus eine bedeutsamen Stellenwert ein (allerdings: keine Statistiken, aus denen sich der Anteil derartiger Streitigkeiten an der Gesamtbelastung der Verwaltungsgerichte entnehmen ließe)

– wird dennoch vielfach als eher „zweckwidrige“ Inanspruchnahme der Verwaltungsgerichtsbarkeit gesehen, deren eigentliche Aufgabe es ist, den Einzelnen vor Verwaltungswillkür zu schützen.

I. Verfassungsrechtlicher Rahmen für verwaltungsgerichtliche Streitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts

1. Der Verfassungsrechtsstreit als Vorbild für verwaltungsgerichtliche Streitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts

2. Kernauftrag der Verwaltungsgerichtsbarkeit: Schutz des Einzelnen

II. Arten verwaltungsgerichtlicher Streitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts

1. Verfassungsrechtsstreit als Vorbild …  

Verfassungsgeschichtliche Tradition einer „Staatsgerichtsbarkeit“ I

Art. 76 der Verfassung des Deutschen Reichs vom 16. April 1871:  Streitigkeiten zwischen Bundesstaaten und Verfassungsstreitigkeiten innerhalb der Bundesstaaten werden vom Reichsrat entschieden.

– Streitigkeiten zwischen Bundesstaaten (nicht zwischen Reich und Bundesstaaten)

– Verfassungsstreitigkeiten innerhalb der Bundesstaaten = Insbesondere Streitigkeiten zwischen Parlament und (oft monarchischer) Regierung

– Reichsrat: Politisches Organ mit Übergewicht von Preußen

Verfassungsgeschichtliche Tradition einer „Staatsgerichtsbarkeit“ II

Art. 19 der Verfassung des Deutschen Reichs vom 11. August 1919 (sog. Weimarer Reichsverfassung – WRV):

Über Verfassungsstreitigkeiten innerhalb eines Landes, in dem kein Gericht zu ihrer Erledigung besteht, sowie über Streitigkeiten nichtprivatrechtlicher Art zwischen verschiedenen Ländern oder zwischen dem Reiche und einem Lande entscheidet auf Antrag eines der streitenden Teile der Staatsgerichtshof für das Deutsche Reich, soweit nicht ein anderer Gerichtshof des Reichs zuständig ist.

Verfassungsgeschichtliche Tradition einer „Staatsgerichtsbarkeit“ III

Art. 19 WRV umfasste:

– Zwischenländerstreitigkeiten

– Erstmals: Bund-Länderstreitigkeiten

– Mit „Verfassungsstreitigkeiten innerhalb eines Landes“ Streitigkeiten zwischen Landesparlament und Landesregierung und sonstige „Organstreitigkeiten“ Klagen von Kommunen gegen Gesetze, die sie in ihrem Recht auf kommunale Selbstverwaltung beeinträchtigten

– Nicht: Organstreitigkeiten auf Reichsebene

Verfassungsgeschichtliche Tradition einer „Staatsgerichtsbarkeit“ umfasst damit

– Föderale Streitigkeiten: Streitigkeiten zwischen Bund und Ländern sowie zwischen Ländern

– Organstreitigkeiten: Streitigkeiten zwischen den obersten Staatsorganen des Bundes / der Länder über ihre sich aus der Bundes- bzw. Landesverfassung ergebenden wechselseitigen Rechte und Pflichten

– Kommunale Verfassungsbeschwerden: Insbesondere Kontrolle der Bundes- oder Landesgesetzgebung auf ihre Vereinbarkeit mit der Garantie kommunaler Selbstverwaltung auf Antrag einer Kommune

„Staatsgerichtsbarkeit“ vor dem Bundesverfassungsgericht

Grundgesetz Art. 93 (1)

Das Bundesverfassungsgericht entscheidet:

1. über die Auslegung dieses Grundgesetzes aus Anlaß von Streitigkeiten über den Umfang der Rechte und Pflichten eines obersten Bundesorgans oder anderer Beteiligter, die durch dieses Grundgesetz oder in der Geschäftsordnung eines obersten Bundesorgans mit eigenen Rechten ausgestattet sind;

3. bei Meinungsverschiedenheiten über Rechte und Pflichten des Bundes und der Länder, insbesondere bei der Ausführung von Bundesrecht durch die Länder und bei der Ausübung der Bundesaufsicht;

4. in anderen öffentlich-rechtlichen Streitigkeiten zwischen dem Bunde und den Ländern, zwischen verschiedenen Ländern oder innerhalb eines Landes, soweit nicht ein anderer Rechtsweg gegeben ist;

4b. über Verfassungsbeschwerden von Gemeinden und Gemeindeverbänden wegen Verletzung des Rechts auf Selbstverwaltung nach Artikel 28 durch ein Gesetz, bei Landesgesetzen jedoch nur, soweit nicht Beschwerde beim Landesverfassungsgericht erhoben werden kann;

Verfassungsgeschichtliche Tradition einer „Staatsgerichtsbarkeit“ führte zur Erkenntnis,

– dass auch Streitigkeiten über Kompetenzen und Befugnisse der einzelnen „Staatsuntergliederungen“ Rechtsstreitigkeiten sind,

– über die Gerichte entscheiden können und sollen

– und die damit nicht (allein) mit Mitteln der Politik zu lösen und zu entscheiden sind,

– weil dies der Sicherung des (verfassungs-)gesetzlich (ausgewogen) ausgestalteten Kompetenzgefüges dient.

Mittelbare Folge: Anerkennung der Existenz „öffentlich-rechtlicher Streitigkeiten nichtverfassungsrechtlicher Art“ i. S. des § 40 Abs. 1 Satz 1 VwGO zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts.

2. Kernauftrag der Verwaltungsgerichtsbarkeit: Schutz des Einzelnen

Grundgesetz Art. 19 (4): Wird jemand durch die öffentliche Gewalt in seinen Rechten verletzt, so steht ihm der Rechtsweg offen. Soweit eine andere Zuständigkeit nicht begründet ist, ist der ordentliche Rechtsweg gegeben. […].

 Wird heute als „Systementscheidung“ verstanden:

– Verwaltungsgerichte dienen hiernach v. a. dem – effektiven – Individualrechtsschutz.

– Ausweitung der Zuständigkeiten der Verwaltungsgerichte auf alle (auch nicht individualschützende) öffentlich-rechtlichen Rechtsstreitigkeiten durch § 40 VwGO ist nicht verfassungsrechtlich geboten (aber auch nicht verfassungsrechtlich untersagt).

Was bedeutet die von Art. 19 Abs. 4 GG getroffene Systementscheidung für den Individualrechtsschutz für unser Thema?

– Verwaltungsgerichte dienen vornehmlich dem Grundrechtsschutz

– Juristische Personen des öffentlichen Rechts und ihre Organe und Behörden können sich niemals (bei keiner ihrer Tätigkeiten) auf den Schutz von Grundrechten berufen (BVerfG, 1 BvR 699/06 v. 22.2.2011, Abs. 48 ff. = BVerfGE 128, 226, 245 ff.; BVerfG (K), 2 BvR 470/08 v. 19.7.2016, Abs. 30 = NJW 2016, 3153 Abs. 30) Ausnahmen bei Rundfunkanstalten und Universitäten, bei denen aus den Grundrechten der Rundfunkfreiheit bzw. der Forschungs- und Lehrfreiheit Selbstverwaltungsrechte hergeleitet werden

– Dies schließt nicht aus, dass jPöR einfachrechtlich (z. B. in den Enteignungsgesetzen) dieselben Rechtspositionen gewährt werden, wie sie Privaten als Folge ihrer Grundrechtsträgerschaft gewährt werden – dann wird ihnen auch i.d.R. Rechtsschutz gewährt wie Privaten.

1. Verwaltungsgerichtliche Organstreitigkeiten

– Erste Entscheidungen der Verwaltungsgerichte über sog. „Kommunalverfassungsstreitigkeiten“ schon in den 1950er Jahren: Gegenstand: Konflikte zwischen Bürgermeister und Gemeinderat oder interne Gemeinderatskonflikte (z. B. über Tagesordnung, Ausschluss von Ratsmitgliedern)

– Ausgangsidee: Rechtsbeziehungen zwischen Organen einer juristischen Person des öffentlichen Rechts sind öffentlich-rechtlich geregelt und können damit zu öffentlich-rechtlichen Streitigkeiten i. S. des § 40 Abs. 1 VwGO führen.

– Leitbild: Verfassungsgerichtlicher Organstreit

– Heute herrschende Meinung: Rechtsschutzgarantie des Art. 19 Abs. 4 GG erfasst derartige Streitigkeiten nicht, so dass Rechtsweg für derartige Streitigkeiten nur einfachrechtlich garantiert ist.

In der Praxis betreffen derartige Streitigkeiten nicht mehr nur Kommunen, sondern auch Sozialversicherungsträger, Selbstverwaltungskörperschaften der Wirtschaft, Universitäten etc…

Mittlerweile gibt es solche Streitigkeiten auch auf der Ebene der Staatsverwaltung, etwa zwischen Behördenleitung und Gleichstellungsbeauftragten und ähnlichen Beauftragten über deren Mitwirkungsrechte

2. (Rechts-)Aufsichtsstreitigkeiten

– Jede Maßnahme einer Kommune unterliegt (zumindest) einer staatlichen Rechtsaufsicht a posteriori, die in konkreten einseitigen Rechtsaufsichtsmaßnahmen (Beanstandung oder Aufhebung kommunaler Beschlüsse, Anordnung kommunaler Maßnahmen oder ihre Durchführung im Wege der Ersatzvornahme) münden kann

– Als Rechtsaufsichtsmaßnahmen in diesem Sinne gelten ferner Genehmigungsvorbehalte für Satzungen, Verträge etc.

– Rechtsaufsichtsmaßnahmen, die die Kommune für rechtswidrig hält, können innerhalb bestimmter Fristen von den Kommunen unter Behauptung einer Verletzung ihres Selbstverwaltungsrechts gerichtlich angegriffen werden. Nach Fristablauf werden Rechtsaufsichtsmaßnahmen bestandskräftig.

– Für den Rechtsschutz der Kommune gelten i.d.R. die allgemeinen Regeln der VwGO über die Anfechtungsklage

Ähnliche Grundsätze gelten auch in Bezug auf die Rechtsaufsicht gegenüber anderen Trägern der mittelbaren Staatsverwaltung (Sozialversicherungsträger, Selbstverwaltungskörperschaften der Wirtschaft, Universitäten etc…)

Wichtig: Soweit die Kommunen oder andere Selbstverwaltungsträger (z. B. im Gefahrenabwehrrecht) staatliche Aufgaben wahrnehmen, gibt es gegenüber staatlichen Aufsichtsmaßnahmen i.d.R. keinen Rechtsschutz, da insoweit die Selbstverwaltungsgarantie nicht greift.

Wichtig: Die Länder unter stehen keiner vergleichbaren Rechtsaufsicht durch den Bund. Streitigkeiten zwischen Bund und Ländern betreffend die Ausführung von Bundesgesetzen sind i.d.R. verfassungsrechtliche Streitigkeiten, über die das Bundesverfassungsgericht entscheidet

3. Streitigkeiten wegen Inanspruchahme juristischer Personen des öffentlichen Rechts aus Normen, die „an sich“ Pflichten von Privaten begründen

Streitigkeiten als Folge einer Inanspruchnahme einer juristischen Person aus Normen, die an sich auf das „Staat-Bürger-Verhältnis“ zugeschnitten sind:

– Abgaben- und Steuerpflichten juristischer Person des öffentlichen Rechts;

– Enteignung einer juristischen Person des öffentlichen Rechts im „normalen“ Enteignungsverfahren

– Verpflichtung einer juristischen Person des öffentlichen Rechts aus baurechtlichen, umweltrechtlichen, straßen(verkehrs-)rechtlichen, gefahrenabwehrrechtlichen Vorschriften;

– Gewährung einer Finanzhilfe/Subvention an eine juristische Person des öffentlichen Rechts nach allgemeinen Regeln, die auch für private Subventionsempfänger gelten

– Beteiligung einer juristischer Person des öffentlichen Rechts als Bieter in einem Vergabeverfahren ….

Hauptprobleme in diesen Fällen:

Wann ist eine juristische Person des öffentlichen Rechts eigentlich als aus allgemeinen, an sich auf das Staat-Bürger-Verhältnis zugeschnittenen Normen als verpflichtet anzusehen – und wann gelten (nur) besondere (ggf. ungeschriebene) verwaltungsorganisationsrechtliche Regeln?

Wann ist eine juristische Person des öffentlichen Rechts der „Hoheitsgewalt“ einer anderen juristischen Person des öffentlichen Rechts wie ein „normaler Bürger“ unterworfen?

Gelten bei der Anwendung der „an sich“ auf das Staat-Bürger-Verhältnis zugeschnittenen auf juristische Personen des öffentlichen Rechts im Hinblick auf deren fehlende Grundrechtsfähigkeit Besonderheiten?

4. Streitigkeiten zwischen gleichgeordneten juristischen Personen des öffentlichen Rechts

 Streitigkeiten über die Anwendbarkeit und Auslegung von Vorschriften, die speziell die Abgrenzung von Zuständigkeiten und die Finanzbeziehungen zwischen einzelnen juristischen Personen des öffentlichen Rechts regeln:

Beispiele:

Streitigkeiten im Infrastrukturrecht: Hat eine Gemeinde Anspruch auf Beteiligung des Bundes und des Landes an den Kosten, die dadurch entstehen, dass die kommunale Entwässerungsanlage auch das Niederschlagswasser aufnehmen muss, das von einem komplexen Kreuzungsbauwerk abfließt, an dem sich eine Land- und eine Bundesstraße mit einer kommunalen Straßenbahn kreuzen?

Streitigkeiten aus vertraglichen Regelungen zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts (z. B. zur Gründung eines Zweckverbands)

Streitigkeiten über die Anwendbarkeit und Auslegung von Vorschriften, die speziell die Abgrenzung von Zuständigkeiten und die Finanzbeziehungen zwischen einzelnen juristischen Personen des öffentlichen Rechts

– werden grundsätzlich als Streitigkeiten zwischen „gleichgeordneten“ Verwaltungsträgern verstanden, auch wenn z. B. eine Kommune ein Land oder den Bund verklagt: Keine allgemeine Hierarchie in der deutschen Verwaltung;

– sind oft indirekte Folge einer „Herabzonung“ von Verwaltungsaufgaben auf die kommunale Ebene, weil sich dann neue Fragen der Abgrenzung der (Finanzierungs-)Zuständigkeiten stellen;

– häufen sich in Zeiten „knapper Kassen“ und allgemeiner Sparmaßnahmen – paradoxerweise, weil sie die Kosten des Verwaltungsvollzugs insgesamt (um die Kosten des Rechtsstreits) erhöhen, ohne die öffentlichen Mittel insgesamt zu mehren.

Fazit

– Die Verwaltungsgerichte werden durch Rechtsstreitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts in durchaus nennenswerter Weise belastet.

– Rechtsstreitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts unterscheiden sich von „normalen“ Streitigkeiten zwischen Bürger und Verwaltung erheblich, auch weil oft nur schwer zugängliches, schlecht „erschlossenes“ Recht anwendbar ist.

– Rechtsstreitigkeiten zwischen juristischen Personen des öffentlichen Rechts sind oft indirekte Folge schlecht gemachter Verwaltungsreformen und strikter Sparpolitik.

– Generell sollte mehr über Möglichkeiten eines „Rückschnitts“ derartiger Streitigkeiten zu Gunsten „verwaltungsinterner“ Streitlösungsmechanismen nachgedacht werden.

Relazione francese Spira

Le droit local : D’où vient-il ? En quoi consiste-t-il ? Quel est son intérêt et son avenir ?

Le droit local alsacien-mosellan présente différentes facettes : c’est d’abord du « droit objectif », c’est à d’une un ensemble de règles juridiques concrètes qui règlent divers aspects de la vie régionale. Mais c’est aussi un objet de représentation collective pour les habitants des trois départements concernés, la notion de droit local recouvrant des idées, des attentes, des mythes ou des visions révélatrices de la perception que les Alsaciens ont de leur identité. Enfin c’est un sujet de discussion sociale et politique sur l’organisation souhaitable des territoires concernés du point de vue de l’autonomie régionale, de la démocratie et de la subsidiarité.

Son histoire

• Le droit local est né avec le rattachement de l’Alsace et de territoires lorrains à l’Allemagne en 1871. A ce moment les autorités allemandes ont maintenu dans ces territoires incorporés au nouveau Reich l’essentiel de la législation française qui y était en vigueur. Progressivement cependant, le nouveau droit allemand constitué après la création du Reich a été développé et introduit dans le Land Elsass-Lothringen comme dans les autres Länder allemands. Par ailleurs, l’Allemagne étant un pays fédéral, le Land Elsass-Lothringen disposait d’un pouvoir législatif propre lequel a permis de développer une législation « provinciale », c’est-à-dire des règles spécifiques à ce Land. Pendant ce temps, des lois françaises maintenues en vigueur en Alsace-Lorraine, par exemple les lois sur les cultes, ont été abrogées ou modifiées en France.
• En 1918, les autorités françaises ont décidé de maintenir en vigueur, après le retour de l’Alsace-Lorraine à la France, les lois qui y étaient en vigueur antérieurement, mais seulement à titre provisoire et en prévoyant une introduction progressive du droit français. Le droit français a effectivement été introduit au coup par coup.
• En 1924 sont intervenues deux grandes lois d’introduction de la législation civile et commerciale. Mais la même année, le projet d’introduire les lois sur la séparation de l’Eglise et de l’Etat et sur l’abrogation de l’enseignement religieux s’est heurté à une très vive résistance des populations des trois départements. Aussi, « l’unification législative a-t-elle été remise à plus tard.
• Supprimé après 1940 par le régime nazi, le droit local a été remis en vigueur dans le cadre du « rétablissement de la légalité républicaine » en 1944. Mais de la libération au début des années 1980, beaucoup de lois locales ont été supprimées à l’occasion de la modernisation du droit français.
• En 1985, avec les progrès de l’idée régionale et à l’occasion d’une prise de conscience que le droit local méritait lui aussi d’être modernisé et promu a été créé l’institut du droit local alsacien mosellan qui a suscité une meilleure connaissance et une meilleure gestion du droit local.
• Mais en 2011, une décision du Conseil constitutionnel, tout en reconnaissant à l’existence du droit local le caractère d’un « principe fondamental reconnu par les lois de la république » a réaffirmé son caractère transitoire et a fortement limité ses possibilités d’évolution.

Sa composition :

4 éléments
– lois françaises maintenues en vigueur après 1871 et abrogées dans le reste de la France (notamment lois sur les cultes)
– lois fédérales allemandes maintenues en vigueur après 1918 (code professionnel, parties du code civil, etc.)
– lois alsaciennes-lorraines maintenues en vigueur après 1918 (droit communal, droit de la chasse, cadastre, etc.)
– lois françaises particulières à l’Alsace-Moselle adoptées après 1918 (loi de modernisation du livre foncier, etc.)
Toutes ces composantes sont considérées comme du droit français quelques soit leur origine, leur langue de rédaction, leur modalité de promulgation.

Son contenu

Un ensemble de règles juridiques particulières à l’Alsace-Moselle.
• Le régime des cultes:
Les collectivités publiques sont libres de subventionner les activités religieuses et de disposer des signes religieux dans les lieux publics. Certains cultes connaissent des statuts particuliers précisant leurs rapports avec les pouvoirs publics (aides matérielles en échange d’un droit de contrôle). Existence de facultés de théologie.
• Le statut scolaire d’Alsace-Moselle
L’école doit offrir un la possibilité d’un enseignement religieux
• Le régime de l’artisanat
Les professions artisanales relèvent d’une définition particulière et peuvent être regroupées en corporations. La Chambre des métiers a un statut spécial. Des règles particulières concernent l’apprentissage et la taxe d’apprentissage
• Le droit local du travail
Deux jours fériés spécifiques (vendredi saint et Saint Etienne), règles spéciales pour le repos dominical et les jours fériés, maintien du salaire en cas d’empêchement de travailler, règles particulières pour le préavis de fin de contrat de travail. Règles particulières pour la clause de non concurrence.
• La législation sociale
Régime local d’assurance maladie. Organisation d’une aide sociale locale à la charge des communes. Régime spécial des accidents en agriculture. Possibilité d’obtenir une faillite civile.
• La chasse
La location de la chasse est organisée par les communes. Règles particulières d’indemnisation dés dégâts de la chasse.
• Les associations
Les associations de droit local possèdent la pleine capacité juridique. Elles sont créées par inscription au tribunal d’instance. Système particulier de la reconnaissance de la mission d’utilité publique. Régime particulier pour les associations coopératives.
• La publicité foncière
Le livre foncier informatisé garantit un accès facilité aux informations relatives aux propriétés immobilières et en accroit la fiabilité. Le cadastre offre des informations et des garanties améliorées concernant les limites cadastrales.
• La justice
Les tribunaux d’instance ont des compétences élargies. Les chambres commerciales des tribunaux de grande instance sont organisées selon le principe de l’échevinage. Règles spéciales concernant les émoluments et la postulation pour les avocats. Non vénalité des charges des notaires et huissiers. Règles particulières de procédure civile, notamment en voie d’exécution immobilière, procédure sur titre, arbitrage. Compétences particulières des notaires : partage judicaire, certificat d’héritier.
• Le droit communal
Les grandes communes on une plus grande autonomie budgétaires. Règles spéciales de convocation et de fonctionnement du conseil municipal. Règles spéciales de sanction ou de démission d’office de conseillers municipaux manquant d’assiduité. Pouvoirs de police particuliers pour le Maire, notamment en matière d’urbanisme et économique. Existence d’une taxe des riverains.
• Divers
Règles particulières en matière de droit des assurances, de droit de l’eau ; droit des débits de boisson ; registre commercial, etc.

Ses limites

Le droit local n’est pas un modèle. Il comprend différends éléments de faiblesse :
– Ce n’est pas un véritable « droit local » mais un droit national d’application territoriale. Les instances compétentes pour le faire évoluer sont, sauf exception, le Parlement et le Gouvernement. Les populations et les élus de la région peuvent seulement exprimer des souhaits ou protester contre des atteintes.
– Selon la jurisprudence du Conseil Constitutionnel (décision « SOMODIA » de 2011), le droit local n’est qu’une dérogation provisoire au principe de l’unité législative. Il ne peut évoluer que dans le sens d’un rapprochement avec le droit général.
– Les caractéristiques qui précèdent font du droit local une législation statique. L’Institut du droit local préconise au contraire que ce doit local puisse évoluer et s’adapter aux besoins des populations concernées. Mais les modifications du droit local sont complexes, lents et limitées.
– C’est un droit marginal, hétérogène et disparate : moins de 5% de la législation, des ilots de droit local perdu dans un océan de droit général sans lien de fond entre eux, un résidu de l’histoire et non un ensemble cohérent et organisé.
– Ce droit local tend à être « mythifié » : 90 % de la population (selon les sondages d’opinion) et la majorité des élus y sont favorables ; mais peu le connaissent et s’engagent pour lui ; c’est un objet d’incantation plutôt qu’un choix éclairé et actif.
– Le droit local un ersatz d’autonomie locale ? En 1924, un marchandage implicite a eu lieu : gardez votre droit local, mais renoncez à l’autonomie locale. Le droit local est une sorte de concession de l’Etat pour que les notables locaux taisent leur revendication.
– En raison de ce qui précède, le droit local ne s’est guère dégagé de la culture centralisatrice : les demandes pour développer le droit local sont peu nombreuses : même lorsqu’il offre des marges de manœuvre pour inventer des solutions régionales originales, cela n’est guère utilisé, sauf quelques exceptions.

Pourquoi être attaché au droit local ?

• Le droit local offre divers avantages pratiques (protection sociale, solidarité, sécurité juridique) et des solutions techniques (livre foncier) mieux élaborés que le droit général ou des modalités offrant un surcroit d’autonomie (droit communal, fermetures dominicales). S’il est bien utilisé, le droit local peut être un outil juridique pratique et efficace au service de la communauté régionale. Mais la population rabaisse souvent cette législation à un ensemble de petits privilèges : 2 jours fériés supplémentaires, une meilleure indemnisation des dépenses de soins, des curés et pasteurs payés par l’Etat, etc. Mais ce n’est pas ça la valeur du droit local.
• Le droit local ce n’est pas un « avoir » mais un « être » !l constitue une expression de l’identité régionale, un témoignage de son passé, une illustration de la situation de l’Alsace entre traditions juridiques et culturelles à la fois allemandes et françaises. Parce qu’il est lié à une reconnaissance de la personnalité de l’Alsace et de la Moselle, il a acquis une fonction emblématique
• Malgré son caractère disparate, le droit local est aussi une illustration assez fidèle des mentalités et traditions de la région. Il a une sorte de philosophie sous-jacente du droit local, une vision de la société dans les principales dispositions du droit local : Par exemple, le droit local des cultes exprime une autre sensibilité par rapport à la religion et la spiritualité que le laïcisme et le rationalisme français. le droit local social illustre la préférence locale pour la sécurité et la solidarité. D’autres domaines plus juridiques expriment le souci de la précision, de la clarté et de l’efficacité.
• Mais ce qui est le plus intéressant dans le droit local, c’est l’idée même de droit local : comme dans la plupart des autres pays européens, une région comme l’Alsace et la Moselle doit pouvoir mettre en valeur sa conscience d’elle même et ses caractères propres en développant des solutions juridiques qui correspondent à sa situation particulière. L’idée de droit local, c’est l’adaptation du droit à la réalité socioculturelle d’un territoire particulier, c’est-à-dire la remise en cause de l’uniformité normative au profit de la démocratie locale et de la subsidiarité.
• En d’autres termes, le plus intéressant n’est pas le droit local existant, mais la perspective de pouvoir développer un droit régional dans les domaines ou existe une spécificité régionale. Si le droit local actuel peut faire pâle figure quand à son domaine, il peut être une prémisse d’un véritable droit régional qui s’appliquerait aux domaines ou nous avons d’outils juridiques régionaux : la promotion de la langue régionale, l’enseignement de la culture et de l’histoire de la région, la coopération transfrontalière, l’organisation du territoire alsacien et mosellan, etc., autant de domaines ou le droit local n’existe pas (ou guère) mais devrait exister.

Quel avenir pour le droit local ?

On perçoit dès lors que le droit local n’aura un avenir que dans le cadre d’une France véritablement régionalisée et, disons le mot, fédéralisé, en ce qu’elle accepte la diversité culturelle et juridique de ses territoires.
Pour que le droit local puisse devenir un droit régional, il est nécessaire de disposer d’une autorité régionale investie du pouvoir de le faire évoluer. Mais cela suppose l’existence d’une entité régionale adaptée à la gestion de ce droit. La suppression de la région Alsace a barré la perspective d’une telle évolution du droit local vers un tel droit régional. En ce sens la réforme régionale a privé le droit local d’une perspective d’avenir.
Par ailleurs, le droit local ne peut évoluer que s’il est inscrit dans la Constitution. L’interprétation de la Constitution par le Conseil constitutionnel tend à une vision de plus en plus uniformisant de notre système politique : la diversité territoriale des ormes est perçue comme une rupture d’égalité. La promotion des trajectoires locales ne peut n’est pas reconnue d’intérêt général.

Le droit local se trouve donc devant la perspective suivante :

– une disparition plus ou moins lente. Alors que le droit général se transforme rapidement, le droit local vieillit. Morceaux après morceaux, ses composantes son contestées ou abandonnées. Les menaces se multiplient malgré les paroles apaisantes de responsables politique. Une illustration de ces menaces est fournie par les risques qui pèsent sur le régime local d’assurance maladie : à défaut d’avoir adapté celui-ci au nouveau contexte national, il est devenu défavorable pour les salariés alsaciens. L’enseignement religieux fait lui aussi l’objet d’attaques régulières.
– L’inscription dans un vrai projet régional. Ceci implique la reconnaissance de pouvoirs normatifs à des autorités régionales représentatives dans le cadre d’une vraie démocratie locale. Dans ce cadre, le droit local pourrait être « rapatrié », c’st à dire confié à des autorités locales, au lieu de relever du pouvoir central et « redéployé », c’est-à-dire étendu à des domaines nouveaux et structurants pour le développement des territoires concernés. Si diverses initiatives dans ce sens peuvent être prises dans le cadre du droit actuel, on ne fera pas à terme l’économie d’un aménagement constitutionnel.

On voit que l’avenir du doit local est étroitement lié à celle du pouvoir local et de la démocratie régionale.