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Relazione italiana dell’avv. Giovanni Spadea – Genova – 22/10/2010

“I diritti fondamentali previsti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla c.d. Carta di Nizza dopo il trattato di Lisbona nell’ordinamento italiano”

   Mi sono permesso di modificare il tema assegnatomi ritenendo opportuno vedere insieme i diritti fondamentali tutelati dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione Europea nel Trattato.

   Il tema dei diritti fondamentali ha ormai da più decenni ricevuto nelle varie giurisdizioni l’attenzione e l’interesse dei vari gradi della magistratura italiana ed altresì dell’Avvocatura che -dopo varie incertezze- hanno spinto verso il rispetto di principi generali di civiltà giuridica nei vari aspetti (ad esempio giusto processo, effettività della giustizia) e come oggetto degli obblighi interni dei  membri dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa.

   In particolare, il tema del nostro incontro è di molto interesse e di molta attualità poiché gli Stati membri dell’Unione Europea hanno aggiornato l’ordinamento comunitario del Trattato di Maastricht e di Amsterdam che aveva già proclamato, con l’articolo 6 della versione consolidata del trattato sull’Unione Europea, che i diritti dell’uomo e le sue libertà fondamentali, quale risultante ed espressione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, vengono dall’Unione “rispettati ” essendo “diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione…”; in breve, tali diritti fondamentali ex conventione dal Trattato venivano però soltanto “riconosciuti” come principi generali del diritto comunitario.

   Proprio questo principio era stato pure in seguito ribadito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea fatta a Nizza nel Dicembre dell’anno 2000 ed adottata dopo a Strasburgo nel 2007 nonchè poi recepita dal trattato di Lisbona.

   Con il nuovo articolo 6 del Trattato di Lisbona del Dicembre 2007, come meglio si vedrà tra poco, è stata portata quasi a termine la definitiva introduzione negli ordinamenti degli Stati membri sia della più articolata normativa della Carta di Nizza e sia di quella classica della Convenzione Europea, entrambe poste a tutela dei diritti fondamentali con una quasi copertura totale notoriamente applicabile alla materia penale e civile in cui è anche inclusa quella del diritto amministrativo.

   Ma questa importante novità non ha ancora avuto molta fortuna nella giurisprudenza dell’ Italia, soprattutto della Corte Costituzionale che, come nel passato, ritiene che il persistente dissidio tra norma nazionale e norma convenzionale può esser composto solo dalla Corte Costituzionale con la pronuncia di non costituzionalità della legge interna in contrasto con la norma comunitaria  o con obblighi internazionali. In sintesi, il giudice del normale processo non può, quindi,  disapplicare la norma interna in contrasto con la Convenzione Europea, ma può al massimo, se il caso lo consente, adoperare una interpretazione di adeguamento della legge interna rispetto alla Convenzione: sicchè non può applicare direttamente la Convenzione europea alla quale l’Unione europea “ aderisce”.

   Questa è, infatti, la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale: a partire dalle famose sentenze nn.348 e 349 del 2007 alla n.103 del 2008, alle successive nn.125 e 311 del 2009 e, per finire, alle nn.28, 93 e 227 del 2010 che compongono una sorte di monolito non rimovibile: quindi tale giurisprudenza, pur dopo la comunitarizzazione avvenuta con il Trattato della convenzione europea e della Carta di Nizza, continua a precludere al giudice nazionale di applicarle direttamente rispetto alla norma interna non compatibile.

   La tesi di tale giurisprudenza è che diritto comunitario (dell’Unione Europea) e diritto interno sono due sistemi “autonomi e distinti ancorché coordinati”, per cui il giudice nazionale applica il proprio diritto ed al massimo lo adegua all’altro adoperando la cosiddetta interpretazione adeguatrice.

   Orbene, la Convenzione Europea contiene -di per se stessa- obblighi convenzionali che -come ritenuto nella risalente decisione della Corte di Straburgo del 11.01.1961 dell’Austria c. Italia- sono privi del carattere classico della reciprocità ed hanno, invece, natura di obbligazioni essenzialmente oggettive, come si deduce dalle premesse della Convenzione, nelle quali è, fra l’altro, scritto che le libertà fondamentali “costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo” e che gli Stati europei sono “forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto, a prendere le prime misure adatte ad assicurare la garanzia collettiva di certi diritti enunciati nella Dichiarazione Universale” dei diritti dell’uomo.

   E’ pure necessario ricordare che -secondo la Convenzione- la sentenza della Corte di norma non è di tipo annullatorio-cassatorio, bensì di natura essenzialmente accertativa-dichiarativa (confronta sentenza CEDU 13.06.1979 caso Marckx / Belgio) della violazione della convenzione da parte degli organi giudiziari dello Stato membro che è la parte resistente necessaria o il soggetto contro cui è rivolto il ricorso e quindi contro il quale è pronunciata la sentenza: infatti la Corte, quando accoglie il ricorso, dichiara nel dispositivo che vi è stata violazione di una norma della convenzione: secondo l’art.41 Convenzione “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli …” di norma stabilisce la perfetta rimozione degli effetti della accertata violazione da parte dello Stato membro o,  in mancanza, accorda alla parte lesa un’equa soddisfazione.

   La sopra cennata giurisprudenza della Corte costituzionale italiana è, con mia rispettosa opinione, non condividibile, poiché contrasta con la sua stessa finalità ultima che intende assicurare ed anche perché rallenta l’effettività della giustizia potendo  perfino far aumentare la quantità delle vertenze giudiziarie e le pronunce di condanna dello Stato.

   In breve, mi pare che tale gurisprudenza somigli più ad un muro turrito elevato a difesa della città-Stato che non ad una necessaria apertura della nuova strada costituzionale europea che persegue la giustizia effettiva senza declamazioni.

   Questa critica è, in verità, latente nella stessa legislazione italiana che talvolta segna improvvisi passi verso il “diritto europeo” e quindi va nel senso dell’unicità del sistema giuridico nell’Unione Europea che per forza deve essere quello già delineato dal Trattato di Lisbona.

   Nel senso ora indicato mi paiono da leggere non solo l’art.117, 1° comma, della Costituzione che delinea il parametro nel quadro “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” assunto dalla Corte costituzionale per giustificare la sua decisione, ma pure l’art.1 vigente della legge n.241/90 che nell’attività amministrativa stabilisce la necessaria applicazione dei “principi dell’ordinamento comunitario”, che sono oggi anche direttamente ricavabili dal Trattato, nonché il recente art.1 della legge n.104/2010 sul nuovo Processo Amministrativo che poggia sul principio europeo di effettività: “La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”, espressione di vero nuovo conio che si proietta sul globo giuridico europeo nel quale è centrale il nuovo trattato di Lisbona.

   Si comprende, dunque, di più che non si può persistere né nelle lungaggini dei processi interni e neppure nel sentirsi, infine, condannare dalla Corte di Strasburgo all’esatta ottemperanza alla sentenza, ponendo poi in essere ogni attività che sia di integrale salvaguardia e ripristino della posizione giuridica del ricorrente ritenuta dalla Corte di Strasburgo ingiustamente violata.

   In sostanza l’obbligo di conformazione a quanto ritenuto giusto e necessario dalla Corte di Strasburgo nella sua sentenza -che, all’evidenza, comprende la tendenziale eliminazione totale degli effetti della violazione dichiarata dalla stessa Corte possibilmente mediante restitutio in integrum ed anche mediante equa soddisfazione nonchè attraverso l’adozione di misure di carattere generale, e talvolta anche individuale, idonee a prevenire le stesse oppure analoghe violazioni- è attività conformativa ex post che allunga il tempo della giustizia e quindi viola il principio di effettività (vedi ad es. per un caso di specie Tribunale Amministrativo di Milano n.1370/08), poiché la sentenza della CEDU dichiara, dopo molti anni dato il suo carico di ricorsi, una violazione consumata con una sentenza interna divenuta giudicato irremovibile.

   Questa, infatti, è la situazione normale, poiché il ricorso alla CEDU segue all’esaurimento delle vie di ricorso interne e richiede pure tempo per farlo decidere.

   Ma il procedimento giudiziario italiano delineato dalla Corte costituzionale sottende una contraddizione, poiché la stessa Corte, specialmente nella sua sentenza n.28/2010- -come ha di recente anche notato Celotto- ha ben presente, come è scritto in un inciso di certo né banale e neanche disattento- che “le norme comunitarie… sono cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie nell’ordinamento italiano”. Il che -a mio modesto parere- è una giusta constatazione che diverrà più chiara allorché si terrà conto che il trattato di Lisbona permette l’accesso tanto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea quanto, alla fine, alla Corte di Strasburgo, che quindi detiene la supremazia giurisdizionale, non trattandosi di corti parallele come diverrà dopo la stipulazione dell’accordo di adesione dell’Unione Europea alla Convenzione determinando uno spazio giudiziario unico dei diritti fondamentali (vedi messaggio del Presidente Costa a questo Convegno e “Rapporto annuale 2007 ” dello stesso Presidente nonché il caso Bosphorus Airways parimenti deciso dalle due Corti).

   L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona non consente più, per mio modesto parere, di continuare nella tesi della Corte costituzionale del distinto ed autonomo sistema che viene da essa coordinato in via di giudizio di legittimità costituzionale, ovviamente se e quando la relativa questione viene “proposta” dal giudice comune in via incidentale.

   All’incontrario della nostra giurisprudenza costituzionale l’ordinamento comunitario voluto dal Trattato di Lisbona permette di dare già oggi potere applicativo della Convenzione Europea e della Carta di Nizza a tutela dei diritti fondamentali al giudice del singolo processo che, se del caso, può addirittura rivolgersi alla Corte di Lussemburgo per la corretta interpretazione di questo aspetto giuridico.

   Ma se la Convenzione non fosse ritenuta direttamente applicabile -quale diritto comunitario- nello Stato italiano pur avendo essa carattere vincolante per gli Stati aderenti o perchè manca nell’ordinamento giuridico italiano un meccanismo legislativo generale idoneo a renderla applicabile, cioè non bastando la legge di ratifica e di esecuzione come già ritenuto da Cassazione a Sezioni Unite 06.05.2003 n.6853, il contrasto con le disposizioni del Trattato europeo sarebbe di imminente dichiarazione, posto che già molti giudici (di merito e di legittimità) hanno indirizzato le decisioni interne sulla necessità di rispettare la convenzione (disapplicazione o interpretazione adeguatrice della norma interna) per rispetto dell’art.6 del Trattato di Lisbona.

   E’, dunque, mia opinione che con l’entrata in vigore del Trattato si configura l’esistenza nell’ordinamento italiano del meccanismo legale che permette la penetrazione nell’ordinamento nazionale della Convenzione europea e della Carta di Nizza, per cui gli organi di giustizia interna possono persistere nella giurisprudenza di riconoscimento in Italia dell’efficacia diretta della Convenzione come interpretata dalla Corte Europea: infatti, la tesi più aperta della giurisprudenza comune sull’efficacia diretta della convenzione non può subire arretramento per via delle sentenze nn.348 e 349/07 e delle altre citate della Corte costituzionale, poiché il giudice interno deve ritenersi sottoposto al disposto dell’art.101 Costituzione che lo ritiene sottoposto solo alla legge, per cui con la legge di ratifica e di esecuzione le norme del trattato sono tali da produrre effetti diretti nell’ordinamento interno degli Stati membri. Questo è, a mio parere, il senso dell’introduzione nell’Unione Europea del Trattato di Lisbona, posto che l’articolo 6, n. 3, prevede: “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

   In base a tale disposizione, i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione sono divenuti diritto dell’Unione Europea, sicché i giudici nazionali sono, ancor prima dell’accordo di adesione ex  art. 6, n.2, tenuti ad applicare direttamente le norme della Convenzione, attribuendo così effetti diretti alla propria sentenza e conformando in tal modo l’ordinamento italiano alle reali esigenze declamate dal diritto europeo nonché risparmiandolo dalle sentenze della Corte di Strasburgo che talvolta hanno prodotto il temuto sfondamento del muro protettivo eretto proprio dalla Corte costituzionale (confrontare ad esempio il tema dell’indennità di espropriazione).

   Quella della Corte costituzionale mi pare anche una tesi inadeguata ai tempi odierni, potendo leggersi nella Costituzione italiana non fantasticherie, ma disposizioni fondamentali, anche utili per la diretta applicazione, secondo le quali la Repubblica Italiana “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (art.2), assicura “il pieno sviluppo della persona umana” (art.3), “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” , cioè “la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art.11) e, comunque, rispetta “i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art.117), tra i quali ultimi rientrano di certo quelli contratti da ultimo con il Trattato di Lisbona inclusa la Convenzione che la “Risoluzione A4-0278/97 del Parlamento europeo sui rapporti fra il diritto internazionale, il diritto comunitario e il diritto costituzionale degli Stati membri” voleva adempiuta proprio perché “una completa ed efficace tutela giudiziaria dei diritti fondamentali costituisce una caratteristica essenziale di qualsiasi comunità di diritto,…”.  

   Si deve poi aggiungere che la tesi della Corte Costituzionale è nel 2010 rimasta anche insensibile alla cosiddetta “Carta di Nizza” approvata dal Consiglio europeo nel 2000 ed ora facente parte del Trattato di Lisbona ove si legge: “La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione europea e dai trattati comunitari, dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.

   Mi pare, dunque, che la nostra Corte costituzionale -se ne avrà occasione- non possa più non riesaminare la problematica dell’adempimento del Trattato comportante la necessaria e regolare conformazione dell‘ attività giurisdizionale alle norme stipulate e che sono penetrate nell’ordinamento interno (primario, secondario ed amministrativo), rendendo inapplicabili le norme in contrasto con la convenzione e con la Carta di Nizza.

   Mi rendo conto del diverso trattamento ricevuto dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione con l’art.6 del vigente Trattato dell’U.E. –ratificato e reso esecutivo con legge n.130/08- ma è però chiaro che è stata superata la precedente dizione secondo la quale ”L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Infatti oggi il Trattato prevede, anzitutto, che “L’Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea… che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”; in secondo luogo, prevede che “L’Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”; ma, in chiusura, soprattutto dispone che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione Europea …,  e risultanti dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.

   Si tenga pure conto di una dichiarazione aggiunta relativa “a disposizioni dei trattati” ove è scritto che “la Carta dei diritti fondamentali… ha forza giuridicamente vincolante”, nonché del protocollo n.2 relativo all’art.6 paragrafo 2 ove è precisato che “l’accordo relativo all’adesione dell’Unione Europea… deve garantire che siano preservate le caratteristiche specifiche dell’Unione e del diritto dell’Unione”.

   La situazione prodotta dal Trattato sugli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione mi sembra, quindi, ben diversa da quella delineata dalla nostra Corte costituzionale con la sopra vista giurisprudenza, che già è stata contraddetta dalla Corte di Giustizia U.E. con la sentenza 27.10.2009 in C-115/08, secondo cui “Con riferimento ai principi generali del diritto comunitario, il giudice nazionale è tenuto a conferire alla legge nazionale che è chiamato ad applicare un’interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del diritto comunitario, con l’avvertenza che se una simile applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione la cui applicazione … condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario”: pare, dunque, corretto ritenere che l’ordinamento interno debba adeguarsi al diritto comunitario, inclusa la parte della tutela dei diritti dell’uomo sanciti all’articolo 6 del Trattato.

   In buona sostanza, mi sembra che il problema della tutela dei diritti fondamentali abbia ricevuto dal Trattato una previsione rinforzata, in quanto per i cittadini dell’U.E. è già offerta – cioè prima dell’adesione dell’Unione europea alla Convenzione – la tutela secondo la Carta di Nizza che ha lo stesso valore giuridico dei trattati, per cui è oggi da ritenere direttamente applicabile dal giudice nazionale in quanto di valore giuridico pari a quello del trattato sull’U.E.: vale a dire il giudice interno applica in via immediata il diritto comunitario e “disapplica all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale” (così pure la Corte di Giustizia C.E. 18.07.2007 n.119 e la sua più recente giurisprudenza 28.01.2010 n.406 e 19.01.2010 n.555 che ribadiscono il dovere del giudice nazionale di disapplicare la norma interna in contrasto con norma superiori, per di più senza necessità di proporre alla Corte di Giustizia europea una questione pregiudiziale sull’interpretazione del principio da applicare in concreto).

   Lo stesso deve, inoltre, dirsi secondo la disposizione contenuta nell’art.6, n.3 del Trattato che –come già visto e come risulta pure dal secondo “considerando” del protocollo n.24– anche i diritti previsti dalla Convenzione europea“fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”, sicché essi vanno tutelati dal giudice nazionale come per quelli stabiliti dalla Carta di Nizza, cioè direttamente disapplicando la norma interna in contrasto con la disposizione convenzionale e, dunque, senza dover più sollevare per incidens la questione di legittimità costituzionale.

   Il problema della tutela resta, quindi, aperto per i soggetti non cittadini di uno Stato membro dell’U.E. ed appartenenti ad uno Stato sottoscrittore della convenzione europea.  Anche in tal caso, ma ancora per poco tempo, il giudice ordinario – quello amministrativo è già tenuto ad agire in modo conforme agli obblighi comunitari e convenzionali (c.d. diritto europeo sopra citato) –  potrebbe già oggi attuare direttamente l’art. 6, n.3 che si uniforma alle pregevoli norme costituzionali qualificanti il tasso di democrazia e civiltà  dello Stato.

   Infatti, in caso diverso, si riprodurrebbero quasi i mali odierni di giustizia tardiva, mentre il sistema giudiziario italiano –che ex art.101 Costituzione si basa sui giudici che sono “soggetti soltanto alla legge”- e non già sul precedente giudiziario anche se di autorevoli gerarchie giudiziarie- potrebbe direttamente emettere decisioni giurisdizionali che diano soluzione corretta, efficace e rapida in conformità alla Corte di Strasburgo ed a quella di Lussemburgo; potere da ritenere sia per quanto detto ed anche perché il giudizio della Corte costituzionale è dalla legge italiana previsto come giudizio incidentale – cioè sorge nell’ambito di un altro processo – che rappresenta, ad un tempo, una soluzione eventuale ed altresì, dati i precedenti citati, almeno di dubbio utile esito, e, per di più, di lunga attesa.

   Ma questo sistema non mi parrebbe attuativo di un trattamento paritario dato che il modulo di procedimento è diverso a seconda che si giudichi un cittadino comunitario o un non comunitario pur applicando lo stesso diritto.

   In conseguenza, mi pare che la conclusione da trarre, anche per il tempo non lungo di definizione dell’accordo di adesione dell’UE alla Convenzione, sia quella già stabilita in molti casi dalla giurisprudenza interna da vari organi giurisdizionali e che parrebbe auspicata da recenti leggi, dalla significativa apertura della Corte Costituzionale allorché ha parlato di norme comunitarie “cogenti e sovraordinate alle leggi ordinarie”, dalla Corte di Cassazione (Sezioni Unite – 06.05.2003 n.6852, idem 29.12.2006 n.27619; Sezione III – 02.02.2010 n.2352 secondo cui “la filonomachia della Corte di Cassazione include anche il processo interpretativo di conformazione dei diritti nazionali e costituzionali ai principi non collidenti ma promozionali del Trattato di Lisbona e della Carta di Nizza che esso pone a fondamento del diritto comune Europeo”), dal Consiglio di Stato (Sezione IV – 30.11.2007 n.6124 secondo cui i diritti della Convenzione “hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno”, idem 04.02.2008 n.303; idem 02.03.2010 n.1220 che a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha ritenuto di fare applicazione diretta dei principi di effettività della tutela giurisdizionale secondo gli articoli 6 e 13 della Convenzione; Sezione VI – 03.03.2010 n.1241 che afferma la primazia del diritto comunitario e del dovere di disapplicazione di qualsiasi norma interna incompatibile con la normativa comunitaria vincolando in tal senso il giudice nazionale) sia pure con un recente revirement (Consiglio di Stato, Sezione VI, 15.06.2010 n.3760 che segue la giurisprudenza della Corte Costituzionale), da magistrature ordinarie (Corte d’Appello di Firenze, Sezione penale, 14.07.2006 che ritiene il giudice nazionale obbligato a disapplicare la norma interna in contrasto con la Convenzione; Tribunale Civile di Pistoia 23.03.2007 che ha ritenuto la disapplicazione di norme interne contrarie alla Convenzione), e dai Tribunali Amministrativi Regionali (Lazio, Sezione II bis, 18.05.2010 n.11984 che a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la prevista adesione dell’unione alla Convenzione Europea ha ritenuto immediatamente operante negli ordinamenti nazionali le norme sui diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione come principi interni al diritto dell’unione; Sardegna 31.01.2008 n.83; Lombardia – Brescia 11.08.2007 n.716 secondo cui i giudici nazionali applicano i principi individuati dalla Convenzione oltre che le norme di diritto interno e comunitario).

   Per attuare questo più celere procedimento non occorrono ulteriori regole processuali, ma solo un consapevole nuovo indirizzo della giurisprudenza costituzionale che non può escludere l’applicazione diretta da parte del giudice nazionale delle norme della Convenzione Europea e della Carta di Nizza in quanto – con l’incorporazione nel Trattato – sono divenute norme “cogenti e sovraordinate” alle leggi ordinarie nazionali, come non pare la Corte costituzionale abbia più tenuto in debita considerazione con la recente sentenza 24.6.2010, n.227 facente seguito alla 28.01.2010 n.28 che sembrava pronta ad un’inversione del proprio consolidato indirizzo della necessaria  dichiarazione d’illegittimità cstituzionale della norma interna  contrastante con quella della convenzione, ritenendo così quasi inabile il giudice comune a disapplicare la norma non conforme a quella della convenzione per come  interpretata  dalla  Corte di Strasburgo o da quella del Lussemburgo.

   In definitiva è mia opinione che la tutela dei diritti fondamentali nell’ambito dell’Unione Europea o nell’ambito dell’area del Consiglio d’Europa (che oggi include 47 Stati) con il sopravvenuto Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 01.12.2009, abbia trovato la definitiva ed uniforme sistemazione nel senso che il Giudice nazionale ha potere per disapplicare direttamente la norma interna in contrasto con il Trattato di Lisbona o comunque con la Convenzione, dovendo questo Giudice comportarsi in ossequio al principio irrinunciabile del giusto processo e della effettività.