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Relazione italiana del prof. avv. Alessandro Dario Cortesi – Menaggio – 14/9/2012

IL SINDACATO DEL POTERE AMMINISTRATIVO IN MATERIA AMBIENTALE

1.- Discrezionalità – Discrezionalità tecnica

Premetto alcune definizioni per rendere più comprensibili i ragionamenti che seguiranno.
Alcuni ideali del positivismo (che hanno trovato la massima diffusione in occasione dell’entrata in vigore del codice napoleonico) sono oggi riconosciuti come tali (delle finalità irraggiungibili, ma a cui comunque tendere): nessuno ritiene di poter scrivere più un codice o un corpo di leggi del tutto completo, immutabile, cristallizzato, non integrabile ab externo; nessuno pensa più che il giudice possa essere semplicemente la bocca della legge.
Qualsiasi testo normativo necessiterà, dunque, per trovare concreta applicazione, di un’attività interpretativa. Anche nelle ipotesi in cui il legislatore abbia conferito all’amministrazione un potere “vincolato”, anche laddove l’an, il quando, il quomodo e il quid siano stati definiti puntualmente dalla legge, all’amministrazione prima ed al giudice dopo residueranno dei problemi da risolvere.
Si pensi ai poteri vincolati per eccellenza: alla materia delle sanzioni amministrative. L’automobile che presenta solo una ruota sul marciapiede è in divieto di sosta? L’articolo del codice della strada che se ne occupa (V. artt. 6 e 7 del codice della strada, D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) richiede un’interpretazione da parte del vigile, ma non per questo si potrà dire che il legislatore abbia conferito alla polizia locale un potere discrezionale.

La discrezionalità pura attiene, viceversa, al conferimento da parte del legislatore all’amministrazione di un potere di ponderare e soppesare gli interessi in gioco al fine di individuare e perseguire l’interesse pubblico primario.

Non è, tuttavia, sempre semplice nell’ordinamento italiano distinguere il potere vincolato dal potere discrezionale perché difficilmente il legislatore lascia piena libertà all’amministrazione di determinarsi circa qualsiasi aspetto dell’esercizio del potere conferitole e ancor più di rado prevede che siano emanati provvedimenti strettamente vincolati.
Inoltre nel corso del procedimento il potere, attribuito come discrezionale, può divenire in concreto vincolato in ragione di auto-vincoli che la stessa amministrazione si sia data.

Ciò che conta perché si possa parlare di vera discrezionalità è che il legislatore abbia lasciato all’amministrazione il compito di soppesare gli interessi in gioco. Secondo una nota formula dottrinale, l’amministrazione dovrà in tal caso adottare, fra le tante possibili, la scelta che contemporaneamente enfatizzi l’interesse pubblico da perseguire dalla norma attributiva di potere e sacrifichi il meno possibile gli interessi privati dei cittadini coinvolti.
Ebbene, qualora residuino più scelte, che garantiscano il medesimo grado di soddisfazione dell’interesse pubblico e sacrifichino in ugual misura (minima) diversi interessi privati, le scelte effettuate saranno tutte legittime e l’amministrazione dovrà effettuare la scelta sulla scorta di altre considerazioni.
Sulla base della distinzione tra potere discrezionale e potere vincolato possiamo affrontare il tema delle valutazioni tecniche complesse.

Ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, D. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, art. 136, comma 1, lett. b), l’amministrazione deve apporre un vincolo su ville, giardini e parchi “che si distinguono per la loro non comune bellezza”.
Una volta qualificato un giardino come caratterizzato da bellezza non comune, non residua all’amministrazione alcuna diversa scelta: esso va sottoposto a vincolo con tutte le conseguenze che ne derivano (anche in pregiudizio del proprietario).
Ma la decisione se un parco o un giardino sia o meno bello non richiede un semplice accertamento (come potrebbe essere la verifica dell’altezza di un edificio) bensì una valutazione complessa, ovvero una scelta da adottarsi sulla base di regole o criteri tecnico-scientifici in mancanza di consenso universale della comunità scientifica di riferimento (sui criteri da applicarsi o sulle conseguenze che derivano dall’applicazione degli stessi).

Sebbene il potere conferito all’amministrazione sia quindi rigorosamente vincolato, all’amministrazione residuano importanti margini di scelta: se seleziona i fatti considerati rilevanti, e applica i criteri dettati da una determinata scuola di pensiero, giunge a determinate conclusioni, mentre se rivolge la propria attenzione al pensiero di altra scuola di pensiero, giunge a conclusioni nettamente opposte.
E in materia ambientale esistono indirizzi molto sfaccettati. Per i fautori del deep ecology movement, ad es., una palude non deve essere bonificata, ma preservata in quanto tale, poiché si deve ragionare in termini di egualitarismo biosferico, non in chiave antropocentrica.

La legislazione ambientale italiana pone il giurista spesso di fronte a dilemmi del genere e ciò, altrettanto spesso, perché la comunità scientifica non è (ancora) giunta su molti temi ad approdi definitivi (o quantomeno non è riuscita ad elaborare paradigmi sufficientemente condivisi).

Il dubbio che ci accompagnerà fino alla fine della relazione (e temo anche dopo) è se, ed entro che limiti, il giudice amministrativo possa sostituirsi alla pubblica amministrazione in ipotesi di esercizio di discrezionalità tecnica.

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2.- Esiste un diritto dell’ambiente o si tratta di un coacervo di interessi degni di protezione?

Il dubbio sull’esistenza di un vero e proprio diritto dell’ambiente penso possa ritenersi oggi superato.
Il Consiglio di Stato italiano è stato un precursore. Già con sentenza della sez. V, 9 marzo 1973, n. 253 ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere ad un’associazione ambientale.
In termini di “diritto alla salubrità dell’ambiente” già si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 6 ottobre 1979, n. 5172, di qualche mese successiva alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 20 febbraio 1979 in causa C-120/78, Cassis De Dijon.
Con la sentenza “Oli usati” 7 febbraio 1985 in causa 240/83 la Corte di Giustizia ha affermato che la tutela ambientale “costituisce uno degli scopi essenziali della Comunità”.
Nel 1987 con la sent. 28 maggio 1987, n. 210 la Corte Costituzionale ha posto le basi per riconoscere l’ambiente come valore costituzionale.

Come spesso accade, la protezione degli interessi, emersa in prima battuta in sede giudiziale – dottrinale, ha trovato poi un formale “recepimento” da parte delle istanze politiche.
Il che si è concretizzato nel rapporto Brundtland del 1987, in cui è emersa la formula di successo di “sviluppo sostenibile”; a Rio de Janeiro 1992, con l’adozione della dichiarazione sull’ambiente e lo sviluppo ed il programma Agenda 21 (ove sono espressi i principi di precauzione e di chi inquina paga), nonché a Kyoto nel 1997, con l’adozione del protocollo che ha riconosciuto la necessità di politiche attive fissando l’obiettivo della riduzione media dei gas inquinanti del 5,2% in meno rispetto alla soglia del 1990 entro il 2012 (dell’8% per l’Unione Europea).
Anche le fonti comunitarie hanno registrato un imponente sviluppo: per citare solo alcuni passaggi chiave, dalla direttiva 85/337 sulla valutazione di impatto ambientale, emanata allorquando si dubitava dell’inerenza della materia alla disciplina comunitaria, si è giunti all’Atto unico europeo del 1986, all’Accordo di Maastricht del 1992 (passaggio dal principio dell’unanimità a quello di cooperazione per le misure ambientali), fino al Trattato di Amsterdam del 1997 (inserimento dello sviluppo equilibrato e sostenibile all’art. 2 del Trattato CE e passaggio alla procedura della codecisione).

Né sono mancati momenti di stallo. Nel 2009 ci si attendeva dalla Conferenza di Copenaghen una riflessione importante sui risultati ottenuti post-Kyoto ed un rilancio degli obiettivi di riduzione degli inquinanti, ma non è stato possibile e così pure nella conferenza successiva di Cancun nel dicembre 2010. Nella successiva, tenutasi a Durban nel 2011 gli Stati si sono solo impegnati a valutare un possibile nuovo accordo globale (c.d. Kyoto2) entro il 2015, che diverrà efficace a partire dal 2020.
Fortunatamente l’Europa ha dato il buon esempio adottando in tema di clima ed energia gli obiettivi 20-20-20: entro il 2020 20% di riduzione delle emissioni di gas serra nell’Unione Europea; 20% dei consumi energetici nell’Unione Europea che provengano da fonti rinnovabili; 20% di riduzione nell’uso di energia primaria rispetto alle proiezioni, da raggiungere con un miglioramento dell’efficienza energetica.
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3.- Tratti caratteristici del diritto dell’ambiente

Al diritto dell’ambiente occorre a mio avviso riconoscere piena autonomia scientifica.
La tutela dell’ambiente, infatti, non può essere intesa secondo canoni tradizionali, ma richiede l’elaborazione di categorie sue proprie.
Cerchiamo di analizzare alcune peculiarità:
1) l’interesse ad un ambiente salubre; al mantenimento di un equilibrio fra lo sfruttamento del suolo, della flora e della fauna, e la preservazione delle risorse per le generazioni future (in altre parole l’interesse alla sostenibilità dello sviluppo) è un interesse diffuso, di cui è titolare ciascun essere umano;
2) vista l’invasività della tecnologia moderna e il fenomeno del c.d. forum shopping la tutela dell’ambiente deve essere necessariamente globale: gli interventi imprudenti dell’uomo sull’ecosistema generano ricadute a migliaia di chilometri di distanza (pensiamo all’effetto serra o allo scoppio di una centrale nucleare);
3) di norma assegnare protezione ad un interesse, elevandolo al rango di diritto assoluto, significa costituire un dovere di astensione in capo ad altri soggetti, come accade per la proprietà. Nel caso del diritto dell’ambiente spesso l’affermazione di un interesse ambientale comporta qualcosa in più: preclude la soddisfazione di altri interessi antagonisti;
4) alcuni autori, riferendosi all’ambiente salubre e all’equilibrio dell’ecosistema preferiscono non parlare di diritti, ma, secondo una lettura di carattere economico, di beni che non ammettono uso esclusivo e che non si prestano ad una diversa fruizione. Altri ancora utilizzano la categoria dei c.d. commons, che permettono un impiego concorrente, ma comunque non attribuiscono diritti soggettivi. Non si tratta di un dettaglio, ma di uno degli aspetti più rilevanti di questo ramo del diritto (assieme, per chi lo ritiene necessario, al superamento della visione antropocentrica);
5) I guadagni derivanti dalle attività inquinanti sono private e locali, mentre le negatività che generano ricadono su altri, se non addirittura indistintamente sulla collettività e rappresentano rilevanti ostacoli al raggiungimento dell’equilibrio con le sole leve del libero mercato, imponendo l’intervento pubblico. Rappresentano cioè delle esternalità;
6) le conoscenze scientifiche e la tecnologia si evolvono così rapidamente che anche i meccanismi di tutela dell’ambiente debbono reggere il passo: sono soggetti a rapida (e crescente) obsolescenza (si pensi alla telefonia cellulare, agli organismi geneticamente modificati). Il diritto dell’ambiente appare sempre un cantiere aperto;
7) in materia ambientale spesso si devono affrontare rischi di cui non sono note – per la persistente incapacità della scienza a fornire risposte – né le cause, né gli effetti, soprattutto di lungo periodo. Alcuni eventi (es. scioglimento dei ghiacciai) sono in parte naturali, in parte dipendenti dall’attività dell’uomo, ma non si sa in che misura. Alcuni eventi, non manifestatisi in precedenza, potrebbero non essere nemmeno dannosi.
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4.- Il codice dell’ambiente. Gli adattamenti del procedimento amministrativo quando è coinvolto un interesse ambientale.

Oggi le comunità hanno ormai acquisito consapevolezza dell’importanza degli interessi ambientali, per cui il legislatore non conferisce alla pubblica amministrazione un potere totalmente discrezionale, essendo l’interesse ambientale considerato non dominante, ma tendenzialmente prevalente, rispetto ad altri interessi; in molti casi sono necessarie valutazioni tecniche complesse, per le quali alla risoluzione di problemi giuridici si associa l’applicazione di regole tratte da altre scienze.

Esaminando in concreto le direttive impartite dal legislatore italiano alla pubblica amministrazione bisogna rammentare le indicazioni di massima contenute nel D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (c.d. codice dell’ambiente).

Si veda in particolare l’art. 3-quater secondo cui:
“1. Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.
2. Anche l’attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione.
3. Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro.
4. La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane”.

Secondariamente bisogna notare che la presenza di un interesse ambientale autorizza parziali modifiche al procedimento amministrativo:
• le pubbliche amministrazioni devono rendere pubbliche le informazioni di carattere ambientale, diffondendo dati che permettano di conoscere lo stato effettivo dell’ecosistema;
• per la richiesta di copia dei documenti amministrativi i cittadini non devono dimostrare di avere un particolare interesse.
• quanto alla partecipazione al procedimento, sono ammesse alla presentazione di memorie, di cui l’amministrazione deve tenere conto, non solo le associazioni ambientali, come definite dalla legge, ma chiunque (cfr. gli artt. 6, 7 e 8 della Convenzione di Aarhus e la direttiva 2003/35/CE);
• quanto ai pareri, richiesti entro il termine di 20 giorni dall’amministrazione procedente, si può ordinariamente prescinderne in caso di ritardo, ma non quando si tratti di un interesse ambientale (analogamente per le valutazioni tecniche);
• con riferimento alle conferenze indette dall’Amministrazione, il motivato dissenso di quella preposta alla cura di un interesse ambientale è superabile solo con deliberazione del Consiglio dei Ministri.

I procedimenti che coinvolgono interessi ambientali sono caratterizzati da alta complessità, orizzontale e verticale, prima di tutto organizzativa, concorrendo spesso più amministrazioni al perseguimento degli interessi ambientali. Si occupano indirettamente di ambiente anche le amministrazioni preposte alla pianificazione urbanistica, all’uso del territorio, alla tutela del paesaggio, della salute pubblica, dell’acqua, dell’energia.

Non è un caso se l’art. 3-ter del D.Lgs. 152/2006 dispone che “La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”.

Quindi, riassumendo, diverse e concorrenti fonti (internazionali, comunitarie, nazionali e locali) sono interpretate da più amministrazioni, dalle attribuzioni spesso in parte sovrapponibili, con la collaborazione dei cittadini, per esercitare la funzione nel caso concreto, in seno a procedimenti almeno in parte speciali. Ovviamente in queste condizioni è difficile ricondurre la decisione finale ad una sola amministrazione. Appaiono più plausibili letture diverse, come qualla dottrinale della c.d. “coalizione decisionale”.

Il quadro si completa, poi, con un’ampia legittimazione delle associazioni (anche internazionali, anche solo locali) al ricorso davanti ai Tribunali (v. Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998; direttiva 2003/35/CE, che modifica le direttive 85/337/CEE e 96/61/CE; nonché Corte di Giustizia, sez. II, 15 ottobre 2009, n. 263, in causa C-263/08; cfr. sul punto la sentenzxa della Corte di Giustizia, sez. IV, 12 maggio 2011, in causa C-115/09 – Bund fur Umwelt und Naturschutz Deutschland, il che testimonia le difficoltà del processo tedesco, caratterizzato da un’impostazione soggettivistica ad adattarsi alla materia ambientale.

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5.- Il sindacato

Debbo ora rispondere all’interrogativo circa i potere riconosciuto ai Tribunali sull’esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione.
La discrezionalità, anche quella tecnica, secondo un risalente insegnamento della dottrina italiana tuttora tramandato dalla giurisprudenza, rappresenterebbe un limite alla cognizione da parte del giudice. Ciò in quanto negli ordinamenti democratici è vigente il principio della separazione dei poteri (che trova, fra le altre, le proprie radici nell’opera De l’esprit des lois, di CHARLES DE SECONDAT, BARONE DE LA BRÈDE ET DE MONTESQUIEU).

Tali affermazioni richiedono peraltro un approfondimento.
La separazione dei poteri è una conquista del costituzionalismo che deve essere salvaguardata. Ma non è la separazione in quanto tale a rappresentare una garanzia per i cittadini, quanto la dottrina della rule of law, dei c.d. checks and balances: ogni potere è infatti espressamente chiamato a controllare gli altri e nessuno è esente dall’applicazione della legge (legibus solutus).

Il problema si pone, a mio avviso, in altri termini.
Di fronte alla discrezionalità, che si esercita attraverso la graduazione di diversi interessi pubblici e privati per il perseguimento di quello affidato all’Amministrazione procedente, le scelte effettuate dall’amministrazione non possono essere sostituite da quelle del giudice.
Pensiamo alla scelta di pianificazione urbanistica di rendere edificabile un terreno agricolo. Verificato che tale scelta si è sviluppata entro i confini di un giusto procedimento, il giudice non può adottare la scelta opposta.
Nè avrebbe senso preferire la valutazione del giudice a quella dell’amministrazione, essendo questa espressione del principio di rappresentatività (ed anche per salvaguardare l’indipendenza della magistratura).

Analoghe considerazioni sembrerebbero valere per la discrezionalità tecnica e sono tuttora attuali nella giurisprudenza del Consiglio di Stato e di numerosi Tribunali amministrativi.
Anche in pronunce assai recenti il Consiglio di Stato ha precisato che il giudizio tecnico-discrezionale “non è sindacabile nel merito, se non per macroscopico travisamento dei fatti e per illogicità nei presupposti o nelle considerazioni conclusive”.
Si tratta di un controllo ab extrinseco, che analizza il procedimento seguito dall’amministrazione e valuta se sussistano vizi nel processo formativo della volontà, ma non scende a controllare la congruità della scelta tecnica adottata.

Pensiamo per un momento alla scelta sull’incommerciabilità della costata fiorentina per il pericolo di diffusione del morbo della mucca pazza. L’amministrazione aveva allora adottato una scelta precauzionale, in funzione di una motivazione scientifica e per il principio di precauzione (better safe than sorry). Il giudice, qualora avesse ritenuto infondata detta motivazione, accogliendo le tesi di alcuni scienziati secondo i quali il rischio di contagio era insussistente, lo avrebbe fatto non per ragioni giuridiche, ma per un proprio giudizio di maggiore attendibilità di quest’ultima opinione. E alcuni autori e parte rilevante della giurisprudenza non ritengono che possa spingersi a tanto.

Non si tratta tuttavia di una posizione univoca; altra parte della giurisprudenza sembra, infatti, propensa ad un controllo funditus della scelta effettuata dall’Amministrazione.

Secondo il T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 1 giugno 2012, n. 991 “la scelta tecnica è controllabile dal Giudice Amministrativo anche attraverso la verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto al criterio adoperato ed al procedimento applicativo”; secondo il T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 2 marzo 2012, n. 180 “In riferimento alla procedura di valutazione per la selezione di docenti universitari le valutazioni della Commissione costituiscono espressione dell’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica, o meglio costituiscono valutazioni tecniche. Si tratta di valutazioni pienamente controllabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l’aspetto più strettamente tecnico. Infatti, tramontata l’equazione discrezionalità tecnica-merito insindacabile, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo”.
In questo senso anche Cons. Stato Sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 707: “La discrezionalità tecnica della p.a., o meglio l’insieme delle valutazioni tecniche che la costituiscono, è pienamente valutabile dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità che sotto l’aspetto più strettamente tecnico, ben essendo consentito un sindacato non limitato al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’Autorità amministrativa, ma mirante alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio, sez. I, 19 aprile 2010, n. 7452).
Come si vede la giurisprudenza italiana è oggi divisa e non è ancora chiaro quale sarà l’indirizzo che prevarrà.

La soluzione che appare oggi ancora minoritaria potrebbe, peraltro, prevalere. Analizzando le sentenze della Corte di giustizia e del Tribunale di I grado dell’Unione Europea, quando esaminano atti nazionali in grado di vulnerare il diritto comunitario, si apprezza immediatamente con quanta incisività la formazione della volontà amministrativa è assoggettata a verifica (cfr. ad es. Tribunale di I grado delle Comunità europee, sez. III, 11 settembre 2002, in causa T-70/99, Alpharma Inc. vs. Consiglio dell’UE).

Riassumendo quanto suesposto, esistono in Italia diverse tipologie di sindacato del giudice amministrativo:
• un controllo completo sugli accertamenti tecnici (con dominio delle scienze esatte), sui fatti e sull’interpretazione data ai concetti giuridici a contenuto indeterminato;
• un controllo meramente formale ed esterno per le ipotesi di potere discrezionale, tale da valutare in ogni caso il rispetto dei principi di completezza dell’istruttoria, di logicità e pertinenza della valutazione, di imparzialità, di proporzionalità e di motivazione.
Quello della discrezionalità tecnica è un istituto di confine e rispetto a questo quello dei confini dei poteri del giudice amministrativo rimane un tema aperto.

Due ultime riflessioni sul punto.

In primo luogo, condivido i dubbi espressi da taluni Autori sulla compatibilità con l’art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo quanto alle norme italiane e tedesce sulle mere irregolarità formali, come tali non rilevanti ai fini dell’annullamento del provvedimento amministrativo impugnato.
La correttezza del procedimento è, infatti, l’unica garanzia per il cittadino, cosicché una lettura estensiva delle ipotesi di irregolarità determinerebbe un depotenziamento, quando non addirittura il venir meno, di una tutela effettiva. Direi di più: la norma italiana mi pare in diretto contrasto, fra l’altro, con la convenzione di Aarhus, essendo la partecipazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia, un valore in sé. Almeno quando sono coinvolti interessi ambientali di tale articolo dovrebbe darsi quindi un’interpretazione conforme alle fonti internazionali.

In secondo luogo, se il controllo del giudice si può estendere, come credo, alla congruità del valutazione tecnica effettuata, occorrerebbe che maturassero delle linee guida in merito alla decisione che deve essere assunta dall’amministrazione circa la soluzione verso la quale indirizzarsi.
Il punto è stato approfondito negli Stati Uniti e si sono messi in evidenza tre possibili approcci:
• il c.d. least feasible approach (Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso American Textile Manifactures Institute Inc. vs. Donovan, 452, U.S. 490; Tribunale di I grado delle comunità europee sent. Alpharma Inc. cit.): la salute pubblica ha la prevalenza rispetto a qualsiasi considerazione economica;
• La significant-risk doctrine (Corte Suprema, nel caso Industrial Union Department vs. American Petroleum Institute, 1980, 448, U.S. 607). Secondo questo diverso indirizzo prevenire il verificarsi di un rischio si traduce in una spesa, in termini assoluti e comparativi. Le risorse utilizzate per prevenire il rischio x non sono più disponibili per prevenire il rischio y. Giacché le risorse non sono illimitate e non permettono quindi di prevenire qualsiasi rischio, occorre valutare, secondo il miglior materiale probatorio disponibile e secondo la valutazione dell’uomo ragionevole, quale sia un grado accettabile di rischio e oltre quale soglia un rischio non lo sia.
• Il bilanciamento costi – benefici: secondo il giudice Powell nel caso sopra indicato, la valutazione del rischio significativo deve essere svolta proprio sulla scorta di un’analisi economica dei costi e dei benefici.

Vista la centralità del ruolo dell’esperto, la giurisprudenza americana si è incaricata anche dell’accesso di tale figura nel giudizio. Per lungo tempo ha adottato il c.d. Frye Test (dal caso Corte Suprema Frye vs. United States 8 D.C. circ. 1923) secondo cui è utilizzabile in giudizio solo la tesi di uno scienziato che abbia ricevuto general acceptance nella comunità scientifica di riferimento. Tale test, ritenuto ingiustamente penalizzante per le impostazioni più innovative e comunque inutile a dirimere le ipotesi in cui le conoscenze scientifiche sono ad uno stadio embrionale, è stato sostituito settant’anni dopo dal c.d. Daubert test (dalla sentenza della Corte Suprema Daubert vs. Marrel Daw Pharmaceuticals Inc., 509, 113, Ct., 1993), che è considerata la base della Rule 702 del Federal Rule of Evidence. Secondo tale regola: “A witness who is qualified as an expert by knowledge, skill, experience, training, or education may testify in the form of an opinion or otherwise if: […] (b) the testimony is based on sufficient fact or data; (c) the testimony is the product of reliable principles and methods; and (d) the expert has reliably applied the principles and methods to the facts of the case” (v. sito internet federalevidence.com).
E secondo una successiva sentenza [Moore v. Ashland Chemical Inc., 151 F.3d 269 (5th Cir. 1998)], il giudizio di affidabilità deve essere condotto in funzione:
1) della sottoposizione a test (attuale o potenziale);
2) della sottoposizione a peer review e a pubblicazione della teoria;
3) dell’esistenza di conosciuti o potenziali margini di errore;
4) della sottoposizione a standard e controlli;
5) in funzione del grado di accettazione nell’ambito della comunità scientifica di riferimento.

Ebbene, è interessante notare come tali modelli d’oltreoceano abbiano trovato riscontro nell’ordinamento comunitario.
La chiave di lettura è quella dell’interpretazione del principio di precauzione, che così torna a manifestare tutta la sua centralità nella fase di gestione del rischio.
Si esamini la Comunicazione della Commissione Europea sul principio di precauzione Bruxelles, 2 febbraio 2000, COM (2000)1.
Secondo tale comunicazione, in tanto ha senso impiegare il principio, in quanto si sia identificato con precisione un rischio. Sin dalle prime battute occorre avviare una valutazione scientifica di tale rischio, la più completa possibile, con acquisita consapevolezza del grado di incertezza scientifica.
Solo sulla base di queste premesse, qualora tale rischio non possa essere considerato accettabile, è necessario adottare scelte, con il coinvolgimento di “tutte le parti interessate, quanto più precocemente e quanto più ampiamente possibile”.
Occorre in particolare adottare delle misure:
• proporzionali rispetto al livello prescelto di protezione;
• non discriminatorie;
• coerenti con misure analoghe già adottate;
• basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici). Sempre secondo la comunicazione occorre valutare anche l’efficacia e l’accettabilità da parte del pubblico delle possibili azioni e tenere conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui la protezione della salute ha la precedenza sulle considerazioni economiche.
• soggette a revisione alla luce di nuovi dati scientifici e
• in grado di attribuire correttamente la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.

Un’adeguata valorizzazione del principio di precauzione così applicato potrebbe permettere anche al giudice nazionale di operare il controllo sulle valutazioni tecniche complesse, ancorando l’eventuale intervento sostitutivo su più solide basi, rispetto a quelle di un’isolata consulenza tecnica d’ufficio.

Villa Vigoni, 14 settembre 2012
Avv. Prof. Alessandro Cortesi

Relazione francese della dott.ssa Bènedicte Folsched – Menaggio – 14/9/2012

Pouvoir d’appréciation de l’administration et contrôle juridictionnel en droit de l’environnement

traduzione della relazione francese a cura dell’avv. Alessandro Dario Cortesi

Emergence, au niveau mondial, d’une conscience écologique depuis une vingtaine d’années (Déclaration de Rio 1992 sur la « diversité biologique »). Slogan « sauvons la planète » ! (quitte à supprimer l’homme, responsable de tous les maux ! cf. un maire de la Réunion a autorisé récemment la chasse au requin bouledogue sur le territoire maritime de sa commune à la suite d’une énième attaque de cet animal sur des surfeurs depuis 2011, dont 3 mortelles : une association écologique l’a accusé de « surfer de façon démagogique et politicienne sur la mort de la dernière victime »…)

Principe de l’environnement sain consacré à peu près partout, c’est-à-dire dans toutes les Constitutions, ce qui n’implique pas qu’on puisse l’invoquer, notamment devant le juge constitutionnel. La Cour européenne des droits de l’homme a admis, par le biais de l’article 8 de la Convention, que le droit à un environnement sain constitue un droit fondamental. Droit subjectif mais pas le thème de ce jour qui est « Pouvoir d’appréciation de l’administration et contrôle juridictionnel en droit de l’environnement » et pose une seule et même question : le contrôle de la légalité interne des décisions administratives en la matière par le juge administratif, juge de prédilection en droit de l’environnement, car ce droit est un des meilleurs exemples de la notion d’intérêt général (s’étend aux générations futures). Or le juge administratif français classé parmi les premiers en Europe pour la facilité d’accès au juge et pour le nombre d’annulations prononcées… Quelle est l’étendue du pouvoir d’appréciation de l’administration et, par suite, le degré de contrôle du juge ?

1/ Contrôle des motifs de droit très étendu en raison de la pléthore de textes invocables

  • Conventions internationales : le Conseil d’État (CE) distingue, selon la formulation des stipulations, celles qui ont un effet direct et les autres. (Ex. convention de Berne de 1979 sur la conservation de la vie sauvage sans effet direct ; idem plusieurs stipulations de la convention d’Aarhus de juin 1998 sur l’accès à l’information, à la justice en matière d’environnement).
  • Textes communautaires (surtout directive « Oiseaux » 2 avril 1979 et directive « Habitats » 21 mai 1992). Cette dernière protège notamment le scarabée pique-prune, à l’origine du blocage (pendant 6 ans) d’un projet d’aménagement autoroutier…

Beaucoup d’exemples en matière de fixation des dates d’ouverture et de fermeture de la chasse aux oiseaux de passage (oies cendrées, rieuses, et des moissons !) et au gibier d’eau, ou d’autorisations d’abattage de loups, espèce protégée.

Ces litiges peuvent poser de difficiles questions de fait mais il n’est pas toujours, voire pas souvent, nécessaire de recourir à l’expertise si le juge peut se fonder sur une question de droit, laquelle a souvent été tranchée par Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) :

Ex. l’autorisation d’abattage de 4 loups dans les Alpes, alors qu’est contesté le nombre de loups sédentarisés en France (40 ?), ne porte pas atteinte à la conservation du loup dans son « aire de répartition naturelle », car celle-ci doit, conformément à ce qu’a jugé la CJUE, s’interpréter largement, donc en l’espèce, cette aire doit inclure les Alpes italiennes, où sont présents plusieurs centaines d’animaux (CE N° 271670 Association Ferus 26 avril 2006).

De même la CJUE a interprété strictement la directive oiseaux en posant le principe de « protection complète » des espèces pendant la période de vulnérabilité, ce qui implique l’interdiction de l’échelonnement des dates d’ouverture de la chasse, sauf si l’État rapporte la preuve que l’échelonnement est compatible avec le principe de « protection complète » (CE 345350, Association France Nature Environnement 23 décembre 2011).

  • Charte de l’environnement de 2004 intégrée dans la Constitution en 2005 : elle élève au niveau constitutionnel les 4 principes figurant déjà dans le code de l’environnement, notamment principe de précaution et principe pollueur-payeur. Cette constitutionnalisation n’est pas originale en soi par rapport aux autres pays. Ce qui l’est, c’est la forme : texte qui est un pendant de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789 (pour les droits civils et politiques) et du Préambule à la Constitution de 1946 (pour les droits économiques et sociaux). La « 3ème étape du pacte républicain » en ce début de 21ème siècle est la préoccupation pour la protection de la planète. 7 considérants pour le préambule et 10 articles (aspect symbolique des chiffres).

Pleine valeur normative de la Charte (cf. CE Commune d’Annecy 297931 3/1/2008) (car même si un principe constitutionnel trop général ne peut servir de base à la reconnaissance d’un droit subjectif au profit d’un particulier, il peut toujours être invoqué contre un acte réglementaire.)

Cette constitutionnalisation de principes déjà applicables en vertu de la législation antérieure a permis l’abandon de la jurisprudence (de 2005) qui excluait l’application, en matière d’urbanisme, du principe de précaution en vertu du principe d’indépendance des législations (CE 19/7/2010, 328687, Les Hauts de Choiseul ; 30/1/2012, 344992, Orange).

  • Code de l’environnement + code de l’urbanisme, code forestier… + loi du 19 juillet 1976 sur les installations classées, c’est-à-dire celles qui peuvent présenter des dangers ou des inconvénients pour la commodité du voisinage, ou pour la santé, la sécurité, la salubrité publiques

2/ Contrôle des motifs de fait également très large :

La règle en matière d’environnement est le contrôle normal, l’exception le contrôle restreint. En outre, le droit de l’environnement est le terrain privilégié du contrôle de bilan.

A/ Contrôle normal ou « entier »

Il y a contrôle normal, ou « entier », c’est-à-dire sanction de toute erreur d’appréciation de l’administration sur la qualification juridique des faits, quand le pouvoir décisionnaire de l’administration est encadré par des conditions légales dont le juge peut vérifier le respect.

  • sur le classement des sites naturels (le site présente-t-il un intérêt justifiant le classement ? les parcelles classées ont-elles un caractère pittoresque ? contrôle de la délimitation du périmètre)
  • ou sur le classement des « forêts de protection », c’est-à-dire les forêts, quels que soient leurs propriétaires, situées à la périphérie des grandes agglomérations, dont le maintien s’impose, soit pour des raisons écologiques, soit pour le bien-être de la population. Se pose alors le problème de l’atteinte au droit de propriété des propriétaires de forêts privées : le moyen tiré de la violation de l’article 1er du premier protocole additionnel de la convention européenne des droits de l’homme est opérant, le juge va donc opérer un contrôle de proportionnalité : le classement apporte-t-il des limites à l’exercice du droit de propriété qui seraient disproportionnées au regard du but d’intérêt général poursuivi ?
  • contrôle entier sur les mesures envisagées pour compenser les effets dommageables d’un projet (ex. ligne TGV) sur des sites Natura 2000
  • en matière d’installations classées, le préfet peut, en fonction des circonstances particulières, renforcer les mesures édictées par le ministre. Contrôle entier du juge sur ces prescriptions complémentaires imposées par le préfet (par ex. pour l’exploitation d’une décharge d’ordures ménagères, mesures destinées à prévenir les risques de pollution liés à la nature de certains déchets dangereux —poussières d’aciéries— entreposés dans cette décharge : CAAP 99PA00854 Société Vendrand 24 février 2005).

B/ Contrôle d’erreur manifeste d’appréciation ou contrôle restreint

 

Le contrôle restreint, qui ne sanctionne que l’erreur manifeste d’appréciation, est privilégié dans les matières présentant un degré élevé de technicité ou encore si la disposition applicable est trop générale (ex. Charte : Article 8 « L’éducation et la formation à l’environnement doivent contribuer à l’exercice des droits et devoirs définis par la présente Charte » ; Article 9 « La recherche et l’innovation doivent apporter leur concours à la préservation et à la mise en valeur de l’environnement » ; Article 10 « La présente Charte inspire l’action européenne et internationale de la France ».) ou si l’on veut laisser à l’administration le maximum de liberté (ex. pouvoir des collectivités locales en matière d’urbanisme).

  • en matière de zonage d’un plan local d’urbanisme (PLU) : ex. zone à urbaniser au lieu de zone naturelle
  • en matière d’autorisation de mise sur le marché (AMM) de produits phytosanitaires : le ministre de l’agriculture a-t-il commis une erreur manifeste dans l’appréciation des risques de l’insecticide Gaucho sur les abeilles en abrogeant l’AMM de ce produit ? Non, car selon un texte d’origine communautaire, en présence d’un quotient de danger d’exposition supérieur à 50 (il était ici de plus de 15 000), le ministre est tenu de retirer l’autorisation sauf s’il est prouvé que les effets de l’utilisation du produit en cause sur les abeilles sont « acceptables », ce qui n’était pas le cas. Dès lors, est écartée l’argumentation tirée de la violation du principe de précaution selon laquelle le ministre n’aurait pas tenu compte du fait que l’utilisation de pesticides de surface moins efficaces et plus polluants aurait des incidences plus graves sur l’environnement que celles liées à l’utilisation de produits systémiques (CE 28/4/2006 269103).
  • Principe de précaution (article 5 Charte) dont le champ d’application a tendance à s’étendre (l’environnement, la santé, la sécurité du consommateur), ce qui s’explique certes par la multiplication des risques (noter la dimension subjective de l’angoisse, plus grande pour un risque potentiel, ex. antennes relais, que pour un risque réel, ex. tabac), mais aussi par la frilosité de nos sociétés à l’égard du risque. On veut aujourd’hui être assuré sur tout !

En France c’est surtout dans le domaine de la santé (plus que de l’environnement) que le principe de précaution est invoqué.

Application intéressante en matière d’urbanisme (antennes relais) : un maire (autorité d’urbanisme) refuse à la société Orange l’installation d’une antenne de téléphonie mobile en raison notamment du caractère incertain des effets des ondes électromagnétiques. Le CE confirme l’application du principe de précaution en matière d’urbanisme. Mais il censure l’administration faute pour elle d’avoir établi la présence « d’éléments circonstanciés faisant apparaître, en l’état des connaissances scientifiques, des risques, même incertains, de nature à justifier le refus ». Qu’entendre par éléments circonstanciés ? Bien vague. Condition impossible. Mais on voit bien le souci du CE d’éviter une mise en œuvre trop systématique du principe de précaution, applicable en cas de risques incertains, jusqu’à devenir un principe de paralysie. Enfin, comme en matière de permis de construire où le principe étant la liberté de construire, le contrôle est dissymétrique : il est entier pour un refus d’autorisation, restreint pour une autorisation. (344992, 20 janvier 2012, Soc. Orange)

  • Principe de conciliation

L’administration doit souvent prendre en compte plusieurs intérêts qu’il faut concilier.

Ex. loi du 4 janvier 1993 relative aux carrières : les schémas départementaux des carrières prennent en compte « l’intérêt économique national, les ressources et les besoins en matériaux du département et des départements voisins, la protection des paysages, des sites et des milieux naturels sensibles, la nécessité d’une gestion équilibrée de l’espace, tout en favorisant une utilisation économe des matières premières » : en refusant d’inscrire dans un schéma départemental des carrières un site classé, le préfet n’a pas commis d’erreur manifeste d’appréciation (CAAP 01PA03394 Société SAGED 9 mars 2006).

Extension de ce principe avec la Charte (article 6) : « Les politiques publiques doivent promouvoir un développement durable. A cet effet, elles concilient la protection et la mise en valeur de l’environnement, le développement économique et le progrès social. »

Mais pour être accueilli, le moyen tiré de la violation de cet article doit être étayé précisément en fait et en droit, le juge procédant à un bilan coût-avantages.

Car qui dit « conciliation » (et non « intégration » de la préoccupation environnementale) dit absence de hiérarchisation entre les différents intérêts publics en jeu. D’où la prudence du juge qui ne fera pas systématiquement prévaloir cette préoccupation et se bornera à un contrôle restreint. (ex. au regard de l’intérêt urgence d’une autoroute destinée à communications transversales au sein de l’Europe, l’atteinte aux intérêts que l’association s’est donnée pour mission de défendre paraît des plus limitées : faiblesse des incidences, en particulier sur le « râle des genêts » — oiseau migrateur connu pour son cri nocturne « crex crex » ;  urgence non établie CE 309286 10/10/2007 ordonnance de référé).

Le bilan coût-avantages opéré en matière de déclaration d’utilité publique (DUP), c’est-à-dire les décisions affirmant que l’expropriation d’un immeuble est d’utilité publique, offre un terrain propice à la mise en œuvre du principe de conciliation pour une meilleure prise en compte de la protection de l’environnement.

C/ Contrôle de bilan

Depuis l’arrêt Ville Nouvelle-Est de 1971, une opération ne peut être déclarée d’utilité publique que si les atteintes à la propriété privée, le coût financier et éventuellement les inconvénients d’ordre social ou l’atteinte à d’autres intérêts publics ne sont pas excessifs par rapport à l’intérêt qu’elle présente. En matière de DUP, on fait donc la balance entre l’utilité publique d’un projet d’équipement public et les inconvénients de l’opération = théorie du bilan avantages/inconvénients. L’utilité publique d’un projet de grande infrastructure routière par ex. peut se heurter à d’autres intérêts publics tels que préservation du service public hospitalier, sécurité des personnes et lutte contre les nuisances sonores, l’a     tteinte à l’environnement en sorte que le bilan devient négatif.

Mais deux limites au contrôle du juge : 1/ l’utilité publique s’apprécie d’un point de vue global :  le juge ne peut donc contrôler la pertinence du choix d’une solution technique plutôt que d’une autre pour la réalisation d’une portion de l’opération projetée (ex. tranchée ouverte ou tranchée couverte pour le passage d’une ligne ferroviaire sur telle portion) ; 2/ le bilan s’effectue au vu de l’ensemble des caractéristiques techniques telles qu’elles ont été arrêtées : le juge ne peut donc contrôler la pertinence du choix retenu par rapport à d’autres tracés. Ceci reste un choix discrétionnaire, une question d’opportunité administrative et non un élément de la légalité de l’opération.

Concrètement, le contrôle de l’utilité publique d’une opération suit trois étapes :

1/ L’opération présente-t-elle bien une utilité publique, en ce qui concerne son but et les besoins qu’elle entend satisfaire ?

2/ Est-il nécessaire, pour réaliser cette opération, de recourir à l’expropriation envisagée ? Sur ce point, le juge ne peut apprécier l’opportunité qu’il y aurait eu à exproprier d’autres terrains que ceux qui ont fait l’objet de la DUP. Mais en revanche, il lui appartient de rechercher si les terrains possédés par la collectivité expropriante auraient permis de réaliser l’opération dans des conditions équivalentes : contrôle normal sur ce point : le juge vérifie que, compte tenu des autres possibilités qui s’offraient à la collectivité expropriante, l’expropriation n’était pas inutile.

3/ Si oui, le projet ne comporte-t-il pas des inconvénients excessifs, notamment, pour le sujet qui nous intéresse, en matière environnementale ?

En revanche, une DUP n’a ni pour objet ni pour effet d’imposer à son bénéficiaire la réalisation de ces travaux. Le maître d’ouvrage dispose d’un pouvoir d’appréciation sur ce point et il n’appartient pas au juge administratif de se prononcer sur les inconvénients allégués de la décision de l’autorité administrative rejetant la demande un tiers  tendant à ce que des travaux déclarés d’utilité publique soient engagés (CE 2003-10-29 235812 238659 Comité de défense des riverains du tronc commun A4-A86).

Trois exemples de contrôle de bilan dans lesquels est mis en avant l’intérêt public qu’est la protection de l’environnement :

  • Projet d’implantation d’une ligne électrique à 400 000 volts entre Manosque et Nice (gorges du Verdon).

1/ Il permet de sécuriser et de renforcer le transport de l’électricité dans la partie du réseau située en région Provence-Alpes-Côte d’Azur. Dans cette mesure, cette opération revêt un intérêt public.

2/ Toutefois, ce projet traverserait sur près de cinq kilomètres le site des gorges du Verdon classé en raison du caractère exceptionnel du paysage et de l’environnement naturel. Les zones traversées par cette ligne électrique sont en outre protégées en tant  qu’ « espaces remarquables » du littoral et de la montagne. Enfin, abritant des espèces animales et végétales protégées, elles ont été intégrées dans le réseau des sites Natura 2000. L’ensemble de la région affectée par le projet présente ainsi un intérêt environnemental exceptionnel que les différents régimes de protection locaux, nationaux et communautaires ont pour objet de préserver. Il en résulte que les atteintes graves portées par le projet à ces zones d’intérêt exceptionnel excèdent l’intérêt de l’opération et sont de nature à lui retirer son caractère d’utilité publique.

(CE 288108, 10 juillet 2006 Association interdépartementale et intercommunale pour la protection du lac de Sainte Croix, des lacs et sites du Verdon) :

  • Inversement, la réalisation de la ligne ferroviaire à grande vitesse TGV Tours-Bordeaux : « il ressort des pièces des dossiers que les atteintes à la propriété privée, très circonscrites, le coût économique du projet, qui se situe dans la moyenne des projets de ce type, et les atteintes portées à l’environnement ne sont pas, eu égard à l’importance de l’opération et compte tenu notamment des mesures prises afin de réduire les effets dommageables pour la faune et les nuisances, notamment acoustiques, pour les riverains, de nature à retirer au projet son caractère d’utilité publique » (CE 330256 28 mars 2011)
  •  Contournement autoroutier de Strasbourg : les inconvénients effectifs de cette opération ne peuvent être regardés comme excessifs par rapport à l’intérêt qu’elle présente ; « dès lors, doit être écarté le moyen tiré de ce que le décret attaqué n’aurait pas concilié la protection et la mise en valeur de l’environnement, le développement économique et le progrès social, comme le requiert l’article 6 de la Charte de l’environnement » (CE 314114 Association Alsace Nature du 17/3/2010).

Les annulations de DUP sont rares surtout quand il s’agit de grandes opérations d’intérêt national. Car le contrôle de l’utilité publique sous forme de bilan se situe toujours aux confins de l’appréciation d’opportunité. Et la protection de l’environnement est l’un des intérêts publics les plus exposés au risque de subjectivité.

 

Conclusion :

 

Pouvoirs du juge

1/ Pouvoir de réformation (plein contentieux) si prévu par un texte, ce qui est le cas pour les installations classées, les déchets, l’eau. Le juge en fait cependant un faible usage, préférant, après annulation de la décision, renvoyer le requérant devant l’administration (manque d’expertise technique et souhait de ne pas s’immiscer dans le pouvoir de l’administration  d’appréciation en opportunité).

2/ Pouvoir d’annulation (recours pour excès de pouvoir), donc choix binaire entre annulation ou rejet. Toutefois, la possibilité d’annulation partielle permet une quasi réécriture de l’acte attaqué (cas de l’annulation d’un décret de classement de site en tant qu’il ne comprend pas telle parcelle : Ventes de Nonant).

3/ Evolution possible et souhaitable de jurisprudence sur la question du choix initial entre plusieurs tracés d’un projet d’équipement public ou celle de savoir si un autre tracé n’aurait pas présenté des avantages supérieurs ou des inconvénients moindres par rapport au projet retenu ? Le rapporteur public dans l’affaire du 28/3/2011 (TGV Tours-Bordeaux) estimait que cette question devrait « quitter la sphère de l’opportunité administrative pour devenir un élément de la légalité de l’opération ». Ce serait d’autant plus justifié que le juge contrôle déjà que l’étude d’impact a suffisamment expliqué les raisons pour lesquelles le projet présenté a été retenu de préférence à d’autres. Mais il ne pourrait s’agir que d’un contrôle restreint.

Deux problèmes subsistent, affectant l’étendue du contrôle du juge : le temps qu’il peut consacrer à une affaire (encombrement des juridictions), la technicité de la matière face à l’absence de spécialisation ou de formation du juge.

D’où la question : faut-il des juridictions spécialisées en matière environnementale, comme en Suède (c’est une exception en Europe) ? Idée séduisante mais dangereuse car en fait les préoccupations environnementales doivent être présentes dans toutes les autres politiques publiques (énergie, urbanisme, santé…), donc dans tous les contentieux. Et l’expert ne doit pas se substituer au juge. Bien d’autres contentieux sont techniques (ex. responsabilité médicale) et le juge se débrouille quand même très bien.

Ex. l’administration de la preuve : en France, c’est à chaque partie de prouver ce qu’elle avance. Dans l’affaire du Clémenceau (porte-avion destiné à la casse, rempli d’amiante, que la France souhaitait transférer à l’étranger pour désamiantage et démolition), il fallait déterminer quelle quantité d’amiante était présente à bord (déchet dangereux si quantité supérieure à 0, 1%). Or expertise impossible (bateau proche des côtes indiennes). Mais le juge a pu facilement se forger sa conviction (faiblesse de la position de l’administration qui n’avait pas fait évaluation préalable, qui produisait au dossier des pièces avec des chiffres très différents dont une lettre du cabinet du ministre donnait le chiffre précis de 22 tonnes soit 0,099% !).

Il est certain, en tout cas, s’agissant particulièrement du principe de précaution, que l’émotion collective n’est pas bonne conseillère (cf. affaire du gaz de schiste, où la loi du 13 juillet 2011 interdisant la technique de la fracturation hydraulique pour l’exploration et l’exploitation a été adoptée par l’Assemblée nationale le 11 mai 2011 avant la remise des rapports d’expertise !) et qu’il convient de raison garder (cf. résolution parlementaire récemment votée à l’unanimité sur la démarche à adopter consistant à identifier l’émergence du risque c’est-à-dire vérifier si l’alerte est plausible, puis identifier un référent qui va organiser une expertise scientifique indépendante et étendue à l’aspect humain — aspects économiques et sociaux—, en comparant les risques par rapport aux avantages.)

Pas de vie sans risques ! cf. Woody Allen : « la vie est une maladie sexuellement transmissible constamment mortelle » ! Si on veut éviter tout risque et sauver la planète, ne pas faire d’enfants : « si tu aimes tes gosses, ne les mets pas au monde : c’est une poubelle » lançaient en mai dernier des militants de la dénatalité…

 

Relazione tedesca del dott. Jürgen Weißmann – Menaggio – 14/9/2012

Verwaltungsgerichtliche Überprüfung von technisch geprägten Behördenentscheidungen im Umweltrecht
Jürgen Weißmann, Richter am Verwaltungsgericht Potsdam

Wird jemand durch die öffentliche Gewalt in seinen Rechten verletzt, so steht ihm der Rechtsweg offen. So klar steht es in der deutschen Verfassung(1). Gleichwohl unterliegt die verwaltungsgerichtliche Überprüfung von technisch geprägten Behördenentscheidungen gewissen Einschränkungen in tatsächlicher und rechtlicher Hinsicht.

Ein Einfallstor für Einschränkungen können unbestimmte Rechtsbegriffe wie die sogenannten Technikklauseln sein, von denen der Gesetzgeber im Umweltrecht häufig Gebrauch macht. Bei den Technikklauseln handelt es sich um drei verschiedene Formulierungen des Gesetzgebers: 1. den Regeln der Technik, 2. dem Stand der Technik und 3. dem Stand der Wissenschaft. Nach einer sogenannten Dreistufentheorie(2) sind die drei Technikklauseln nicht inhaltsgleich. Zur Einhaltung der Regeln der Technik sind geringere Anforderungen zu erfüllen, als zur Einhaltung des Standes der Technik, welcher selbst hinter den höchsten Ansprüchen des Standes der Wissenschaft zurückbleibt. Der Gesetzgeber trägt mit den unterschiedlichen Klauseln unterschiedlich hohen Gefahrenpotentialen Rechnung. Im Gesetz zur Ordnung des Wasserhaushalts(3) spricht der Gesetzgeber deshalb nur von den allgemein anerkannten Regeln der Technik, im Gesetz zum Schutz vor schädlichen Umwelteinwirkungen durch Luftverunreinigungen, Geräusche, Erschütterungen und ähnliche Vorgänge(4) , dem Bundesimmissionsschutzgesetz, bereits von dem Stand der Technik und im Gesetz über die friedliche Verwendung der Kernenergie und den Schutz gegen ihre Gefahren(5) , dem Atomgesetz, schließlich von dem Stand von Wissenschaft und Technik und normiert damit die höchsten Anforderungen. Trotz dieser Einordnung der Technikklauseln in eine formale Hierarchie bleiben die Technikklauseln schwer oder gar nicht bestimmbar. Es sind sogenannte unbestimmte Rechtsbegriffe, deren Besonderheit darin besteht, daß sie stillschweigend auf außerrechtliche sogenannte technische Normen, technische Empfehlungen und technische Anleitungen verweisen(6).

Soweit es sich dabei um solche Regelwerke handelt, die von privaten Vereinen oder anderen Stellen, die keinen öffentlich-rechtlichen Status besitzen, verfasst sind, findet durch diese Regelwerke keine Einschränkung der gerichtlichen Überprüfung statt. Unter solche privaten Regelwerke, an die das Gericht nicht gebunden ist, fallen rund zweihundert(6) als Normen, Empfehlungen, Anleitungen und Richtlinien bezeichnete Werke, die beispielsweise das Deutsche Institut für Normung (DIN), der Verein Deutscher Ingenieure (VDI), der Verband Deutscher Elektrotechniker (VDE), der Technische Überwachungsverein (TÜV) oder die Deutsche Naturstein Akademie (DENAK)(7) erlassen haben. Das Oberverwaltungsgericht Lüneburg(8) hat 1998 zu einer Richtlinie, die der Verein Deutscher Ingenieure zum Zwecke der Emissionsminderung bei der Haltung von Hühner aufgestellt hat, ausgeführt, dass die Richtlinie zwar nicht schon Kraft ihrer Existenz die Qualität von anerkannten Regeln der Technik besitze und auch keine Bindungskraft für die Verwaltung oder die Gerichte entfalte, jedoch eine brauchbare Entscheidungshilfe für die Beurteilung luftverunreinigender Stoffe aus der Hühnerhaltung darstelle. Im Jahre 2007 hat das Bundesverwaltungsgericht(9) ausgeführt, dass eine Richtlinie des gleichen Vereins zum Zwecke der Emissionsminderung bei der Haltung von Schweinen ein bloßes Regelwerk sei und keine Rechtsquelle darstelle. Vielmehr enthalte die Richtlinie technische Normen, die auf den Erkenntnissen und Erfahrungen von Sachverständigen beruhten und insoweit die Bedeutung von allgemeinen Erfahrungssätzen und antizipierten generellen Sachverständigengutachten hätten. Ihre Auslegung sei als solche keine Rechtsanwendung, sondern Tatsachenfeststellung. Nach dieser Rechtsprechung bleibt die Letztentscheidungsmacht in der Hand des Gerichts, weil das jeweils einschlägige technische Regelwerk des Privaten widerlegt werden kann, beispielsweise durch ein von dem Gericht eingeholtes Gutachten. Da zudem Beweisanträge substantiiert(10) sein müssen, verpflichtet die schlichte Behauptung, ein bestimmtes privates Regelwerk sei falsch, das Gericht nicht, ein Gutachten hierüber einzuholen. Somit dient das private Regelwerk dem Richter insoweit als Hilfe, als es ihn in einer Vielzahl von Fällen von der Einholung eines Gutachtens eines Sachverständigen entbinden kann.

Ebenfalls ohne Bindungswirkung für den Verwaltungsrichter sind lediglich beratende oder empfehlende Entscheidungen von Gremien, beispielsweise die Empfehlungen, die die bei dem Bundesumweltministerium gebildeten Kommissionen für Reaktorsicherheit und für Strahlenschutz geben. Die Satzungen der Strahlenschutz- und der Reaktor-Sicherheitskommissionen verdeutlichen dies. Dort(11) heißt es jeweils, dass die Kommission als Ergebnis ihrer Beratungen naturwissenschaftliche und technische Empfehlungen oder Stellungnahmen an das Bundesministerium beschließt und keine rechtlichen Bewertungen trifft.

Neben den technischen Regelwerken Privater und bloß beratenden bzw. empfehlenden Entscheidungen bei der Verwaltung angesiedelter Gremien gibt es Regelwerke der Behörden selbst, sogenannte Verwaltungsvorschriften. Das sind abstrakt-generelle Regelungen, die von übergeordneten Instanzen oder Vorgesetzten an nachgeordnete Behörden oder Bedienstete innerhalb der Verwaltung erlassen worden sind, um einen gleichmäßigen Gesetzesvollzug in eine bestimmte Richtung sicherzustellen. Man kann drei Arten von Verwaltungsvorschriften unterscheiden: 1. ermessenslenkende Verwaltungsvorschriften, 2. norminterpretierende einfache Verwaltungsvorschriften und 3. normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften.

Ermessenslenkende Verwaltungsvorschriften sind behördeninterne Anweisungen von übergeordneten Personen oder Stellen über die Fragen, ob und wie ein Entscheidungsspielraum eines Gesetzes in bestimmten Fällen auszuüben ist. Norminterpretierende Verwaltungsvorschriften sind solche, die – ebenfalls behördenintern – dem Sachbearbeiter vorgeben, wie ein bestimmter Gesetzestext auszulegen ist. Während sich also ermessenslenkende Verwaltungsvorschriften auf die Rechtsfolgen von solchen Gesetzen beziehen, die den Behörden Ermessen eröffnen, beziehen sich die norminterpretierende und normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften auf Tatbestandsmerkmale, also die Voraussetzungen der Gesetze. Normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften unterscheiden sich von nominterpretierenden Verwaltungsvorschriften dadurch, dass normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften ein besonderes Aufstellungsverfahren mit vielen Beteiligten aus unterschiedlichen Lagern durchlaufen, von dem noch die Rede sein wird.

Die Verwaltungsvorschriften der ersten beiden Kategorien, also ermessenslenkende und norminterpretierende Verwaltungsvorschriften, entfalten grundsätzlich nur Bindungswirkung innerhalb der Verwaltung, während die normkonkretisierenden Verwaltungsvorschriften unter bestimmten Voraussetzungen anders als private Regelwerke grundsätzlich nicht durch Gerichtsgutachten widerlegt werden können und für das Gericht verbindlich sind. Hauptbeispiele im Umweltrecht sind die als Verwaltungsvorschriften auf Bundesebene erlassenen Technischen Anleitungen Luft und Lärm, kurz TA Luft und TA Lärm genannt.

Kritiker halten normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften mit derartiger Wirkung unter einem verfassungsrechtlichen Blickwinkel für problematisch, weil das Rechtsstaatsprinzip und das Demokratieprinzip verlangten, dass der demokratisch legitimierte Gesetzgeber die wesentlichen Entscheidungen selbst (in Gesetzesform) treffe. Die Verwaltung habe nur eine abgeleitete, schwache demokratische Legitimation und dürfe deswegen nicht mit zu viel Entscheidungsgewalt ausgestattet sein.(12) Dennoch werden heute die als Verwaltungsvorschriften ergangenen Technischen Anleitungen, in denen gesetzliche Standards im Bereich des Umweltrechts konkretisiert werden, faktisch ähnlich wie Gesetze angewendet. Als ich mit dem Studium der Rechte begonnen hatte, das war vor fast 30 Jahren, hatte man die Dinge noch etwas anders gesehen. Damals war das Bundesverwaltungsgericht(13) noch davon ausgegangen, dass es sich bei den als Verwaltungsvorschriften erlassenen Technischen Anleitungen lediglich um sogenannte antizipierte Sachverständigengutachten handeln würde, welche – durch Einholung eines Sachverständigengutachtens durch das Gericht – widerlegbar seien. Das Bundesverwaltungsgericht hat diese Auffassung zunächst für das Atomrecht(14) und später im Bereich des Immissionsschutzrechts(15) aufgegeben. Die Technischen Anleitungen seien nicht nur norminterpretierende Verwaltungsvorschriften, die auf einen gleichmäßigen Gesetzesvollzug gerichtet seien, sondern enthielten darüber hinaus generalisierende tatsächliche Feststellungen und Wertungen. Die Grenzwerte in den Technischen Anleitungen drückten nicht nur technisches Fachwissen aus, sondern zugleich einen politischen Kompromiss zwischen Staat, Wissenschaft und Wirtschaft. Dieser Kompromiss wird unter Mitwirkung der beteiligten Kreise gefunden. Diese sind im Immissionsschutzrecht beispielsweise Vertreter der Wissenschaft, der Betroffenen, der beteiligten Wirtschaft, des beteiligten Verkehrswesens und der für den Immissionsschutz zuständigen obersten Landesbehörden.(16) Durch dieses besondere Aufstellungsverfahren soll eine gewisse Gewähr dafür entstehen, daß ihr Inhalt richtig ist.

In einem Urteil des Verwaltungsgerichtshofs Baden-Württemberg(18) aus dem Jahre 2011 liest sich die Heranziehung einer normkonkretisierenden Technischen Anleitung so:

“Als Verwaltungsvorschrift, die zur Durchführung des Bundesimmissionsschutzgesetzes …(17) nach Anhörung der beteiligten Kreise erlassen wurde, enthält die TA Luft nicht nur grundsätzlich verbindliche Regelungen, Festlegungen und Vorgaben für die mit Genehmigungen befassten Verwaltungsbehörden (vgl. Nr. 1 Satz 3 TA Luft), sondern konkretisiert auch unbestimmte Rechtsbegriffe des Gesetzes durch generelle, dem gleichmäßigen und berechenbaren Gesetzesvollzug dienende Standards, die entsprechend der Art ihres Zustandekommens in hohem Maße wissenschaftlich-technischen Sachverstand und allgemeine Folgenbewertungen verkörpern. Die TA Luft ist mit dieser Funktion auch im gerichtlichen Verfahren beachtlich.”

Bevor eine normkonkretisierende Verwaltungsvorschrift im gerichtlichen Verfahren beachtlich ist, muß sie sechs Voraussetzungen(19, 20) erfüllen:

1. Es muß eine gesetzliche Ermächtigung für die Verwaltungsvorschrift vorliegen.

2. Die Verwaltung selbst muß in eigener Verantwortung die sachverständigen Aussagen kompetenter Experten bestätigen oder gegebenenfalls modifizieren.

3. Die festgelegten Standards müssen willkürfrei ermittelt worden sein und dabei alle wissenschaftlich und technisch vertretbaren Erkenntnisse berücksichtigen.

4. Ihr Inhalt darf weder veraltet, widerlegt noch wissenschaftlich erschüttert sein.

5. Es muß eine verfahrensmäßige Richtigkeitsgewähr aufgrund einer vorausgegangenen pluralistischen Anhörung der beteiligten Kreise gegeben sein.

6. Die Verwaltungsvorschrift muß – einem Gesetz ähnlich – veröffentlicht werden.

Eine derartige gerichtliche Prüfung einer Behördenentscheidung auf der Grundlage der TA Luft nach dem soeben erwähnten Punkt 4 hinsichtlich der Frage der Sinkgeschwindigkeit von gasförmigem Quecksilber liest sich in dem bereits erwähnten Urteil des Verwaltungsgerichtshofs(18) so:

“Da normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften an die bei ihrem Erlass bestehenden Erkenntnisse in Wissenschaft und Technik anknüpfen, verlieren sie ihre rechtliche Außenwirkung, soweit die ihnen zugrundeliegenden Annahmen durch weitere gesicherte Erkenntnisfortschritte in Wissenschaft und Technik überholt sind und sie damit den gesetzlichen Anforderungen nicht mehr gerecht werden. Dies gehört zu den von den Gerichten zu prüfenden Rechtmäßigkeitsvoraussetzungen. Nach diesem Maßstab ist eine Abweichung von den Vorgaben der TA Luft nur zulässig, wenn gesicherte Erkenntnisse vorliegen, dass die in der novellierten TA Luft 2002 nach wie vor zugrundegelegte Sinkgeschwindigkeit von gasförmigem Quecksilber nach dem Stand der Wissenschaft überholt ist. Dies ist vorliegend nicht ausreichend dargelegt und auch sonst nicht ersichtlich.”

Eine weitere interessante Frage im Zusammenhang mit normkonkretisierenden Verwaltungsvorschriften, die prinzipiell wie Gesetze binden, stellt sich bei ihrer Auslegung. Nach dem Bundesverwaltungsgericht mögen sie zwar prinzipiell wie Gesetze binden, exakt wie Gesetze auszulegen seien sie indes nicht. Hierzu hat das Bundesverwaltungsgericht(22) ausgeführt, daß die Entstehungsgeschichte einer normkonkretisierenden Verwaltungsvorschrift eine besondere Bedeutung habe. Zeitnahe, im Verfahren hervorgetretene Willensbekundungen des Vorschriftengebers haben danach bei der Auslegung im Zweifel mehr Gewicht als dies bei Rechtsnormen der Fall ist.

Anders als gegen die Regelwerke Privater und die bloßen Empfehlungen bei Behörden angesiedelter Gremien, die nicht als Verwaltungsakte oder Gesetze anzusehen sind, ist gegen eine normkonkretisierende Verwaltungsvorschrift prinzipiell unmittelbar Rechtsschutz gegeben, ohne daß erst eine Behördenentscheidung abgewartet werden müßte, die sich auf die Verwaltungsvorschrift stützt. Im Jahr 2004 hat das Bundesverwaltungsgericht(20) über eine normkonkretisierende, namentliche eine anspruchskonkretisierende Verwaltungsvorschrift im Sozialrecht entschieden und ausgeführt, daß zu den im Rang unter dem Landesrecht stehenden Rechtsvorschriften nicht nur Satzungen und Rechtsverordnungen sondern auch solche Regelungen der Exekutive gehörten, die rechtliche Außenwirkung gegenüber dem Bürger entfalteten und auf diese Weise dessen subjektiv-öffentlichen Rechte unmittelbar berührten. Danach handelt es sich bei normkonkretisierenden Verwaltungsvorschriften grundsätzlich um statthafte Gegenstände eines Normenkontrollverfahrens(21). Allerdings sind die wichtigsten normkonkretisierenden Verwaltungsvorschriften des Umweltrechts, die TA Luft und die TA Lärm, als untergesetzliches Bundesrecht zu qualifizieren, welches der Normenkontrolle prinzipiell nicht unterliegt. Soweit eine normkonkretisierende Verwaltungsvorschrift auf Landesebene erlassen wurde, ist zu beachten, daß nicht alle Bundesländer eine prinzipale Normenkontrolle eingerichtet haben.

Wie sich die normkonkretisierende Verwaltungsvorschrift TA Lärm in meiner gerichtlichen Praxis bei Windenergieanlagen ausgewirkt hat, will ich an einem Fall verdeutlichen.

Bauherr B erhält eine Genehmigung für die Errichtung und den Betrieb einer Windenergieanlage. Dagegen klagt der Nachbar, weil die Anlage Nachts zu laut sei. Bei der Erteilung der Genehmigung ist die Behörde davon ausgegangen, daß der Nachbar in einem sogenannten Dorfgebiet wohnt. Wir Richter hatten bei dieser Klage unter anderem zu prüfen, ob die Immissionen der Windenergieanlage geeignet sind, für den Nachbarn, Gefahren, erhebliche Nachteile oder erhebliche Belästigungen im Sinne einer bestimmten Vorschrift des Bundesimmissionsschutzgesetzes(23) herbeizuführen. Die in dieser Vorschrift genannten Tatbestandsmerkmale sind allesamt unbestimmte Rechtsbegriffe, die grundsätzlich vollständig gerichtlich überprüfbar sind. Allerdings gibt es die hier einschlägigen Technischen Anleitungen Lärm, welche die Normen des Bundesimmissionsschutzgesetzes(23) konkretisieren. Bei welchem Lärmpegel die zumutbare Lärmgrenze überschritten ist und die Anlage also Gefahren, erhebliche Nachteile oder erhebliche Belästigungen hervorzurufen geeignet ist, beantwortet allein ein Rückgriff auf die TA Lärm. Die in dieser Verwaltungsvorschrift getroffene Festlegung zur Schutzbedürftigkeit einzelner Gebietstypen – hier Dorfgebiet – zu bestimmten Tageszeiten sind abschließend, so daß für eine Betrachtung des Einzelfalls in dem in der TA Lärm geregelten Bereich kein Raum mehr ist. Für uns Richter bedeutete dies, daß wir ein Gutachten zu der Frage, welcher Lärm dem Nachbarn zumutbar ist, nicht anfertigen lassen konnten, sondern diesen Wert aus der TA Lärm entnehmen mußten.(24) Uns verblieben neben den oben genannten sechs Prüfungspunkten zu den Voraussetzungen der Verbindlichkeit der normkonkretisierenden Verwaltungsvorschriften lediglich Beweiserhebungsmöglichkeiten zu den Vorfragen, ob das Gebiet beispielsweise den von der Behörde angenommenen Gebietscharakter eines Dorfgebiets hat oder ob ein anderes Gebiet mit einer für den Nachbarn günstigeren Lärmgrenze, z. B. ein reines Wohngebiet, vorliegt durch Anberaumung eines Ortstermins sowie die Möglichkeit der Beweiserhebung zu der Frage, ob die Anlage den sich aus der TA Lärm ergebenden Wert am Immissionsort einhalten kann, durch die Einholung eines Sachverständigengutachtens.

Soweit die Bindung eines Regelwerks auch geht, stets muß von der Bindungswirkung unterschieden und beachtet werden, daß Regelwerke keine – und das gilt auch für die normkonkretisierende Verwaltungsvorschriften – abschließenden Maßstäbe über die Vertretbarkeit eines Risikos enthalten und derartige Risikomaßstäbe auch gar nicht enthalten können. Sie können allenfalls genaue Erkenntnisse über die Eintrittswahrscheinlichkeit und das Ausmaß möglicher Schäden liefern. Die Regelwerke stellen zwar – wie bereits dargestellt – wichtige Hilfsmittel zur Erlangung judikativer Erkenntnisse mit unterschiedlicher Bindungswirkung für den Richter dar, die wertende Entscheidung über die Risikogrenze können sie indes weder ersetzen noch festlegen. Diese Entscheidung kann nur anlagebezogen und situationsbedingt ergehen und der zuständigen Behörde nicht abgenommen werden.(25) Im Atomrecht gilt deshalb zu Gunsten der Genehmigungsbehörde ein sogenannter Funktionsvorbehalt, mit dem zum Ausdruck gebracht wird, daß die Genehmigungsbehörde für die Risikoermittlung und die Risikobewertung allein verantwortlich ist. Dies betrifft vor allem den Inhalt der Risikoabschätzung, der letztlich nur politisch verantwortet werden kann.(26) Der Funktionsvorbehalt diene ferner einem dynamischen Grundrechtsschutz und rechtfertige sich auch daraus, dass im Atomrecht die erforderliche Schadensvorsorge aus dem in die Zukunft hinein offenen Maßstab des Standes von Wissenschaft und Technik zu messen sei. Die Gerichte sind(27) darauf beschränkt, zu überprüfen, ob die von der Behörde ihren Bewertungen zugrundegelegten Ermittlungen nach dem Stand von Wissenschaft und Technik ausreichend und ob die Bewertungen hinreichend vorsichtig sind, wobei dem Gericht hinsichtlich des letzten Prüfungspunktes lediglich eine Willkürkontrolle möglich sei. Gegenstand der Aufklärungsbemühungen der Verwaltungsgerichte hat demnach in erster Linie die Frage zu sein, ob die Behörde die Datenbasis, auf deren Grundlage sie entschieden hat, als ausreichend ansehen durfte. Eine Beweiserhebung ist veranlasst, wenn sich aus dem Vorbringen eines Verfahrensbeteiligten herleiten läßt, dass die der angefochtenen Genehmigung zugrundeliegenden Annahmen und Bewertungen im Hinblick auf den Stand von Wissenschaft und Technik widerlegbar erscheinen. Der Funktionsvorbehalt hat dabei keine Beweislastumkehr in dem Sinne zur Folge, daß die Kläger nachweisen müßten, die behördlichen Annahmen entsprächen nicht dem Stand von Wissenschaft und Technik. Die den Gerichten verbleibende Kontrolle muß vielmehr für einen wirkungsvollen Schutz von Leben, Gesundheit und Sachgütern geeignet sein.(26)

Die bisher von mir geschilderten Einschränkungen ergaben sich nicht ausdrücklich aus dem Gesetz sondern wurden von der Rechtsprechung im Laufe der Jahre entwickelt. Anders liegt die Sache bei dem Gesetz über die Umweltverträglichkeitsprüfung (UVPG). In § 3 a Satz 4 dieses Gesetzes wird der Verwaltung nämlich eine Einschätzungsprärogative eingeräumt, indem dem Gericht ausdrücklich eine umfassende Prüfung untersagt wird. Der Fall betrifft das Fehlen einer möglicherweise erforderlichen Umweltverträglichkeitsprüfung. Die Regelung des Gesetzes lautet: Beruht die Feststellung, dass eine Umweltverträglichkeitsprüfung unterbleiben soll, auf einer Vorprüfung des Einzelfalls nach § 3c (das sind die Fälle der Erforderlichkeit einer Umweltverträglichkeitsprüfung, weil die Anlage erhebliche nachteilige Umweltauswirkungen haben kann bzw. solche zu erwarten sind), ist die Einschätzung der zuständigen Behörde in einem gerichtlichen Verfahren betreffend die Entscheidung über die Zulässigkeit des Vorhabens nur darauf zu überprüfen, ob die Vorprüfung entsprechend den Vorgaben von § 3c durchgeführt worden ist und ob das Ergebnis nachvollziehbar ist. Diese Vorschrift verdeutlicht, daß der Gesetzgeber offensichtlich davon ausgeht, daß eine Prognoseentscheidung ohne einen Einschätzungsspielraum in sich widersprüchlich wäre(28) und daher der Planfeststellungsbehörde für ihre prognostische Beurteilung möglicher Umweltauswirkungen des Vorhabens ein Einschätzungsspielraum zusteht und folglich dem Gericht nur eine Art Plausibilitätskontrolle verbleibt, bei der nachträglich gewonnene Erkenntnisse nicht maßgeblich sind. Es bleiben dem Richter bei der Plausibilitätskontrolle typischerweise folgende Fragen: Reichte der Erkenntnisstand der Behörde aus, um erhebliche nachteilige Umweltauswirkungen auszuschließen? War aufgrund besonderer Umstände besondere Vorsicht angebracht, so daß auch entfernte Risiken ernst genommen werden mußten?(29)

Mit der soeben besprochenen Vorschrift des Gesetzes über die Umweltverträglichkeitsprüfung endet meine Darstellung der umweltspezifischen Einschränkungen(30) der gerichtlichen Überprüfung des Handelns der Behörden aus rechtlichen Gründen. In einigen Sonderfällen kann es daneben zu einer faktischen Einschränkung der Überprüfung kommen. Wartet ein Kläger einen Akt der Verwaltung mit Außenwirkung ab und erhebt er dann Klage, ist die Behörde grundsätzlich verpflichtet, sämtliche Verwaltungsvorgänge, die einen gerichtlichen Fall betreffen, im Original dem erkennenden Gericht zur Überprüfung vorzulegen.(33) Alle Verfahrensbeteiligten dürfen dann ohne Einschränkung in die vorgelegten Akten der Behörde Einsicht nehmen. Während allerdings der Vorsitzende in einem Verfahren vor den Sozialgerichten aus besonderen Gründen die Einsicht in Akten oder in Aktenteile versagen oder beschränken kann(31), darf das Verwaltungsgericht grundsätzlich keine Behördenakte zurückhalten(32). Jeder Verfahrensbeteiligte darf vielmehr grundsätzlich in alle Akten sehen. Dabei stellt sich im Umweltrecht, insbesondere bei atomaren oder chemischen Anlagen nicht selten die Frage, ob es – etwa vor dem Hintergrund der Gefahr eines Terroranschlags auf die Anlage – hingenommen werden kann, daß die Verwaltungsvorgänge, etwa über Sicherheitsvorkehrungen der Anlagen, von den Verfahrensbeteiligten eingesehen werden und so an die Öffentlichkeit gelangen können. Nach der Verwaltungsgerichtsordnung, der Prozeßordnung der allgemeinen Verwaltungsgerichte, ist es ausnahmsweise zulässig, daß eine verklagte Behörde die Vorlage der Verwaltungsvorgänge an das Gericht verweigert, wenn das Bekanntwerden des Inhalts dem Wohl des Bundes oder eines Landes Nachteile bereiten würde oder wenn die Vorgänge geheim gehalten werden müssen.(34) In einem solchen Fall und wenn das erkennende Gericht davon ausgeht, daß der Inhalt der nicht vorgelegten Verwaltungsvorgänge entscheidungserheblich sei, kommt es zu einem sog. in-camera-Verfahren(34). Dabei handelt es sich um ein Zwischenverfahren, in dem es nur um die Frage geht, ob die Behörde dem Hauptsachengericht zu Recht die Akten nicht vorlegt. Die Verwaltungsvorgänge werden sodann nicht dem in der Hauptsache erkennenden Gericht sondern dem für dieses Zwischenverfahren zuständigen Gericht vorgelegt, welches ausschließlich prüft, ob die Behörde zu Recht die Akten dem erkennenden Gericht nicht vorgelegt hat. Das Ergebnis dieses in-camera-Verfahrens kann nun sein, daß die Verwaltungsvorgänge dem erkennenden Gericht nicht vorgelegt werden, so daß das mit der Sache selbst befasste Gericht ohne die vorenthaltenen Verwaltungsvorgänge nach sogenannten materiellen Beweislastregeln entscheiden muß. Das ist ein sehr starker Eingriff in den Umfang der Überprüfungsmasse des dem Amtsermittlungsgrundsatz(35) verpflichteten Verwaltungsrichters. Amtsermittlung bedeutet nämlich, daß das Gericht nicht an den Vortrag der Verfahrensbeteiligten gebunden ist, sondern den Sachverhalt von Amts wegen ermittelt, wobei primär die Verwaltungsvorgänge der Behörde herangezogen werden. Da bei Anfechtungsklagen gegen Anlagengenehmigungen regelmäßig der Kläger die materielle Beweislast trägt, sinken durch die Zurückhaltung der Verwaltungsvorgänge möglicherweise dessen Erfolgschancen.

Ein Beispiel: In einer Klage eines sich vor einem Terroranschlag auf ein bestimmtes Atomkraftwerk ängstigenden Bürgers auf Widerruf der dem Atomkraftwerk zugrundeliegenden Betriebsgenehmigungen, hilfsweise auf Erteilung nachträglicher Auflagen zum Schutz gegen Terroranschläge, verweigerte die beklagte Behörde dem Gericht die Vorlage der die Schutzkonzepte und Schutzmaßnahmen enthaltenden Akten, mithin die Prüfungsgrundlage. Das Bundesverwaltungsgericht (36) hat in einem daraufhin angestrengten in-camera-Verfahren ausgeführt, daß die Vorlage an das erkennende Gericht von der Behörde zu Recht verweigert worden sei. Seine Entscheidung hat es im wesentlichen damit begründet, daß die weitreichenden Folgen für Leben, Gesundheit und Sachgüter, die aus einem durch einen Anschlag auf ein Kernkraftwerk herbeigeführten Störfall angesichts der Gefahren der Kernenergie ein gewichtiges öffentliches Geheimhaltungsinteresse begründeten, das die Zurückhaltung von Informationen über Schutzkonzepte und Schutzmaßnahmen von atomrechtlichen Anlagen zu rechtfertigen vermöge. Die Frage, wie das Gericht der Hauptsache ohne diese Akten entschieden hat, kann ich nicht beantworten. Ich habe dazu keine Veröffentlichung gefunden. Das könnte daran liegen, daß sich der Rechtsstreit in der Hauptsache wegen des deutschen Atom-Ausstiegs nach der Nuklearkatastrophe von Fukushima erledigt hat.

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1) Artikel 19 Abs. 4 Grundgesetz

2) Neues Verständnis der Technikklauseln und ihr Verhältnis zu technischen Normen, Oliver Völkel, Wien 2009, Randnummern 116 ff m. w. N.

3) § 60 Abs. 1 WHG

4) § 5 Abs. 1 Nr. 2 BImSchG

5) § 7 Abs. 2 Nr. 3 AtG

6) Michael Kloepfer, Umweltschutzrecht, 1. Auflage 2008, S. 47

7) Von diesem Verein stammt die Technische Anleitung zur Standsicherheit von Grabmalen.

8) OVG Lüneburg, Urteil vom 6. Juni 1998 – 7 L 4554/96,

7 L 4622/96 –

9) BVerwG, Beschluß vom 7. Mai 2007 – 4 B 5.07 –

10) Bamberger in: Wysk, Verwaltungsgerichtsordnung, 1. Auflage 2011, § 86 Rn. 34

11) § 11 Abs. 1 Sätze 1 und 2 der jeweiligen Satzung

12) Ladeur, DÖV 2000, S. 224 hält den Kritikern entgegen, daß selbst in England, wo die Parlamentssouveränität mangels geschriebener Verfassung eine zentralerer Stellung als in Deutschland einnehme, die Verwaltung implizit zur Entwicklung von “good administrative practices” ermächtigt und der rechtsgestaltende Charakter solcher Regeln unbestritten sei.

13) BVerwG, Urteil vom 17. Februar 1978 – 1 C 102.76 –

14) BVerwG, Urteil vom 19. Dezember 1985 – 7 C 65/82 –

15) BVerwG, Beschlüsse vom 10. Januar 1995 – 7 B 112.94 – und vom 21. März 1996 – 7 B 164/95 -, jeweils zur TA Luft

16) §§ 48, 51 BImSchG

17) (BImSchG) auf der Grundlage des § 48 BImSchG

18) VGH BW, Urteil vom 20. Juli 2011 – 10 S 2102/09 –

19) Sparwasser, Engel, Voßkuhle, Umweltrecht: Grundzüge des öffentlichen Umweltschutzrecht, 5. Auflage 2003, § 5 Rn. 45

20) BVerwG, Urteil vom 25. November 2004 – 5 CN 1/03 – worin u. a. ausgeführt wird, daß in dem Rechtsstaatsprinzip sowie der Garantie effektiven Rechtsschutzes eine Publikationspflicht für Verwaltungsvorschriften mit unmittelbarer Außenwirkung für Dritte begründet sei.

21) § 47 Abs. 1 Nr. 2 VwGO

22) BVerwG, Urteil vom 20. Dezember 1999 – 7 C 15/98 –

23) § 3 BImSchG

24) In diesem Zusammenhang spielt es außerdem eine Rolle, daß der N sich nicht auf die Grenzwerte der TA Lärm stützen kann, soweit diese nicht nur seinem Schutz sondern auch der Vorsorge dienen, weil es anerkannt ist, daß die Vorsorge keinen drittschützenden Charakter hat.

25) M. Schulte, R. Schröder, Handbuch des Technikrechts, 2. Auflage 2010, S. 253

26) BVerwG, Urteil vom 22. März 2012 – 7 C 1.11 –

27) z. B. bei einer Prüfung des § 6 Abs. 2 Nr. 4 AtG, des § 7 Abs. 2 Nr. 3 oder des § 7 Abs. 2 Nr. 5 AtG

28) Vgl. hierzu den allgemein anerkannten Satz, wonach eine Planungsentscheidung ohne einen Planungsspielraum ein Widerspruch in sich selbst sei.

29) BVerwG, Urteil vom 20. Dezember 2011 – 9 A 31.10 –

30) Beitrag in der anschließenden Diskussion: Neben den in meinem Vortrag dargestellten Einschränkungen der richterlichen Überprüfungsmacht, gibt es solche, die nicht spezifisch für technisch geprägte Behördenentscheidungen im Umweltrecht gelten, sondern ganz allgemein das deutsche Verwaltungsrecht prägen, und deshalb auch, aber nicht vornehmlich oder gar ausschließlich, im Umweltrecht zu berücksichtigen sind. Hier sind zunächst die sog. Drittanfechtungen zu nennen. Drittanfechtungen sind Klagen, die von einem Dritten, beispielsweise einem Nachbarn einer störenden Anlage, erhoben werden. Eine derartige Drittanfechtung liegt etwa vor, wenn ein Milchbauer gegen eine Betriebsgenehmigung für ein atomares Zwischenlager neben seiner Kuhweide klagt. Für eine derartige Drittanfechtung bestimmt die Verwaltungsgerichtsordnung, daß sie nur dann Erfolg hat, wenn die angefochtene Genehmigung rechtswidrig und der Kläger dadurch in seinen eigenen Rechten verletzt ist ( § 113 Abs. 1 Satz 1 VwGO). Das Gericht prüft deshalb in einem solchen Fall nicht die objektive Rechtmäßigkeit in vollem Umfange wie bei einer Verpflichtungsklage auf Erteilung der Genehmigung sondern nur, ob subjektive Rechte des Klägers verletzt werden. Vorschriften, die ausschließlich im öffentlichen Interesse, also im Interesse der Allgemeinheit, erlassen werden, vermitteln keine subjektiven Rechte eines einzelnen Bürgers. Dafür sind vielmehr sogenannte drittschützende Normen erforderlich. Die Fragen, ob eine Norm drittschützend ist und wer von ihrem Drittschutz erfasst ist, sind im Einzelfall nicht selten höchst streitig. Bemerkenswert ist in diesem Zusammenhang, daß der Umstand, daß ein Verstoß gegen eine maßgebliche Vorschrift erhebliche Nachteile für den Dritten hat, die nämliche Vorschrift in Deutschland nicht automatisch zu einer drittschützenden Vorschrift macht. Hierzu ist darüber hinaus erforderlich, daß die maßgebliche Vorschrift den klagenden Dritten gerade vor Nachteilen dieser Art schützen soll. Der auf diese Weise ausgestaltete Rechtsschutz hat zur Folge, daß es durchaus objektiv rechtswidrige Anlagen gibt, gegen die niemand erfolgreich klagen kann, weil die Anlage niemanden in seinem subjektiv-öffentlichen Recht verletzt. Im Bereich des Umweltrechts ist diese Rechtssituation dadurch abgemildert worden, daß die Gesetzgeber in jüngerer Zeit bestimmten Naturschutzverbänden in bestimmten Fällen Klagerechte eingeräumt haben, die keine Verletzung in eigenen Rechten voraussetzen. Eine weitere, ebenfalls nicht spezifisch dem technischen Umweltrecht zuzurechnende sondern allgemeine Einschränkung des Überprüfungsumfangs existiert bei Ermessensentscheidungen der Verwaltung. Ermessen ist – wie oben bereits dargestellt – ein Aspekt der Rechtsfolgenseite einer Vorschrift, betrifft also die Frage, ob eine Behörde bei Vorliegen aller gesetzlichen Voraussetzungen der Vorschrift eine bestimmte Entscheidung treffen muss oder kann. Ermessen hat eine Behörde dann, wenn ihr, trotz Vorliegens aller tatbestandlichen Voraussetzungen einer Rechtsnorm, Spielraum für eine eigene Entscheidung verbleibt. Ob eine Rechtsnorm eine gebundene Entscheidung vorsieht oder der Behörde einen Ermessensspielraum einräumt, lässt sich im Regelfall an der Formulierung des Gesetzes selbst festmachen. In einigen Fällen räumt das Gesetz ausdrücklich “Ermessen” ein. Üblicher sind dagegen Formulierungen wie „kann“, „darf“, „ist berechtigt“ oder „ist befugt“. Bei gebundenen Entscheidungen hingegen werden Formulierungen wie „ist“ oder „muss“ verwendet. Hat eine Behörde aufgrund einer Ermessensnorm eine Entscheidung getroffen, darf das Gericht nicht eigene Ermessenserwägungen an die Stelle der Behörde setzten. Es darf die Entscheidung der Behörde auf der Rechtsfolgenseite nach der Verwaltungsgerichtsordnung (§ 114 Satz 1 VwGO) nur auf sogenannte Ermessensfehler überprüfen. Typische Fragen des Richters bei seiner Prüfung lauten danach: Hat die Behörde überhaupt erkannt, daß sie Ermessen hat? Hat die Behörde die Grenzen des Ermessens eingehalten? Hat sie in richtiger Weise von dem ihr eingeräumten Ermessen Gebrauch gemacht? Vor einigen Jahren hat der Gesetzgeber folgenden zweiten Satz in § 114 VwGO hinzugefügt: Die Verwaltungsbehörde kann ihre Ermessenserwägungen hinsichtlich des Verwaltungsaktes auch noch im verwaltungsgerichtlichen Verfahren ergänzen. Bei der Beantwortung der gerade gestellten Fragen ist deshalb auch der Vortrag der Behörde im Klageverfahren zu berücksichtigen. Bei der Überprüfung auf Ermessensfehler binden den Richter grundsätzlich weder sogenannte ermessenslenkenden Verwaltungsvorschriften, noch die Verwaltungspraxis der Behörde, weil den selbst gegebenen Vorschriften der Verwaltung und der Praxis der Verwaltung grundsätzlich keine Außenwirkung zukommen. Eine solche Außenwirkung ist lediglich in Ausnahmefällen über den Gleichheitsgrundsatz der Verfassung, der eine gleichmäßige Anwendung gebietet, möglich. Allgemein einer gerichtlichen Überprüfung gänzlich entzogen sind des Weiteren bloß vorbereitende Entscheidungen der Verwaltung, denen noch keine unmittelbaren Außenwirkungen zukommen. In solchen Fällen liegen Rechtsverletzungen im Sinne der Verfassung nicht vor. Hier sind im Bereich des Umweltrechts etwa zu nennen die Entscheidung über die Trassenführung einer Fernstraße oder die bloße Meldung eines sogenannten FFH-Gebiets, also eines Schutzgebietes nach der europäischen Fauna-Flora-Habitat-Richtlinie. Der Kläger muß in derartigen Fällen die spätere Behördenentscheidung, die Außenwirkung entfaltet, abwarten. Bezüglich der Fernstraße muß der Kläger eine Entscheidung der Behörde, einen sogenannten Planfeststellungsbeschluß abwarten. In diesem wird unter Bürgerbeteiligung die Zulässigkeit des Vorhabens festgestellt. Bezüglich des FFH-Gebiets muß er dessen Ausweisung bzw. ein sich daraus ergebendes Gebot oder Verbot abwarten, bevor er Klage erheben kann.

Schließlich muß allgemein bei Einschränkungen der richterlichen Überprüfungsmacht die Umstellung auf die sogenannte elektronische Behördenakte erwähnt werden, weil mit der elektronischen Akte eine faktische Einschränkung einhergehen kann. Den Behörden wird bei der elektronischen Aktenführung nämlich nicht die Verwendung besonderer technischer Vorkehrungen vorgeschrieben, die die Vollständigkeit der elektronischen Akte sichern und Veränderungen der Akte – beispielsweise ab einem bestimmten Zeitpunkt – dokumentieren. Zur Zeit finden derartige Vorkehrungen auch freiwillig keine Verwendung. Dies hat zur Folge, daß bei der vollständigen Umstellung der analogen auf die digitale Aktenführung nicht sichergestellt werden kann, daß dem Verwaltungsgericht ein vollständiger Verwaltungsvorgang vorgelegt wird. So werden z. B. die Seiten des Verwaltungsvorgangs des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge, welches ein Vorreiter bei der Umstellung auf die elektronische Akte ist, erst bei dem Ausdruck zum Zwecke der Versendung an das Verwaltungsgericht mit Blattzahlen versehen. Da die aktuell anzutreffende digitale Aktenführung zudem eine blitzschnelle Durchsuchung auch sehr umfangreicher Akten nach Stichwörtern erlaubt und Aktenveränderungen nicht sichtbar macht, ist zu befürchten, daß das Verwaltungsgericht – zumindest in Einzelfällen – auf der Grundlage unvollständiger und/oder nachträglich veränderter Verwaltungsvorgängen entscheidet.

31) § 120 Abs. 3 Satz 1 Sozialgerichtsgesetz (SGG)

32) § 100 Abs. 1 Verwaltungsgerichtsordnung (VwGO)

33) § 99 Abs. 1 Satz 2 VwGO

34) § 99 Abs. 2 VwGO: “Auf Antrag eines Beteiligten stellt das Oberverwaltungsgericht ohne mündliche Verhandlung durch Beschluss fest, ob die Verweigerung der Vorlage der Urkunden oder Akten, der Übermittlung der elektronischen Dokumente oder der Erteilung von Auskünften rechtmäßig ist. Verweigert eine oberste Bundesbehörde die Vorlage, Übermittlung oder Auskunft mit der Begründung, das Bekanntwerden des Inhalts der Urkunden, der Akten, der elektronischen Dokumente oder der Auskünfte würde dem Wohl des Bundes Nachteile bereiten, entscheidet das Bundesverwaltungsgericht; Gleiches gilt, wenn das Bundesverwaltungsgericht nach § 50 für die Hauptsache zuständig ist. Der Antrag ist bei dem für die Hauptsache zuständigen Gericht zu stellen. Dieses gibt den Antrag und die Hauptsacheakten an den nach § 189 zuständigen Spruchkörper ab. Die oberste Aufsichtsbehörde hat die nach Absatz 1 Satz 2 verweigerten Urkunden oder Akten auf Aufforderung dieses Spruchkörpers vorzulegen, die elektronischen Dokumente zu übermitteln oder die verweigerten Auskünfte zu erteilen. Sie ist zu diesem Verfahren beizuladen. Das Verfahren unterliegt den Vorschriften des materiellen Geheimschutzes. Können diese nicht eingehalten werden oder macht die zuständige Aufsichtsbehörde geltend, dass besondere Gründe der Geheimhaltung oder des Geheimschutzes der Übergabe der Urkunden oder Akten oder der Übermittlung der elektronischen Dokumente an das Gericht entgegenstehen, wird die Vorlage oder Übermittlung nach Satz 5 dadurch bewirkt, dass die Urkunden, Akten oder elektronischen Dokumente dem Gericht in von der obersten Aufsichtsbehörde bestimmten Räumlichkeiten zur Verfügung gestellt werden. Für die nach Satz 5 vorgelegten Akten, elektronischen Dokumente und für die gemäß Satz 8 geltend gemachten besonderen Gründe gilt § 100 nicht. Die Mitglieder des Gerichts sind zur Geheimhaltung verpflichtet; die Entscheidungsgründe dürfen Art und Inhalt der geheim gehaltenen Urkunden, Akten, elektronischen Dokumente und Auskünfte nicht erkennen lassen. Für das nichtrichterliche Personal gelten die Regelungen des personellen Geheimschutzes. Soweit nicht das Bundesverwaltungsgericht entschieden hat, kann der Beschluss selbständig mit der Beschwerde angefochten werden. Über die Beschwerde gegen den Beschluss eines Oberverwaltungsgerichts entscheidet das Bundesverwaltungsgericht. Für das Beschwerdeverfahren gelten die Sätze 4 bis 11 sinngemäß.”

Das in-camera-Verfahren kann in Verbindung mit den Akteneinsichtsgesetzen eine Rechtsschutzlücke aufreißen, weil es einen anderen Maßstab für die Prüfung der Akteneinsicht anlegt als die Akteneinsichtsgesetze. Dies kann faktisch dazu führen, daß Betriebs- und Geschäftsgeheimnisse sowie personenbezogene Daten über eine Akteneinsicht nach § 100 VwGO preisgegeben werden, wenn mit der Aktenvorlage die Geheimhaltungsgründe des in-camera-Verfahrens nicht greifen.

35) § 86 Abs. 1 VwGO

36) BVerwG, Beschluß vom 20. September 2010 – 20 F 7.10 –