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Relazione italiana della prof.ssa Ida Angela Nicotra – Catanzaro – 26/05/2017

 La trasparenza in materia ambientale: dalla Convenzione di Aarhus al freedom of information act del decreto legislativo n. 97 del 2016.

di Ida Angela Nicotra

Componente Autorità Nazionale Anticorruzione

Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Università di Catania

 

Sommario: 1. Premessa 2. La Convenzione di Aarhus: diritto alla trasparenza e partecipazione del pubblico ai processi decisionali sulle tematiche ambientali. 3. Il diritto all’informazione ambientale  nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 n. 4. 4. Il freedom of information act in materia ambientale secondo il d.lgs. n. 195 del 2005. 5. Pubblicazione e accesso alle informazioni ambientali secondo il nuovo paradigma contenuto nell’art. 40 del d.lgs. n.97 del 2016: le nuove prospettive del diritto di conoscere l’ambiente.

  1. Premessa

La Convenzione di Aarhus costituisce il documento normativo di maggiore impatto prodotto dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite tenutasi a Stoccolma del 1972. La Conferenza sull’Ambiente umano vide il riconoscimento, per la prima volta, del principio dello sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile risponde alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie. Così, una rinnovata visione del rapporto con la natura si basa sulla necessità di conferire espressa tutela alle prossime generazioni alla luce di una nuova sensibilità che si lega indissolubilmente alle tematiche ambientali.

Il principio dello sviluppo sostenibile si basa sulla regola dell’equità declinata sia in senso intergenerazionale che intragenerazionale[1]. Tale obiettivo viene meglio definito in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 in cui si sottolinea che il diritto al progresso deve essere esercitato compatibilmente con uno sviluppo sostenibile e con le esigenze delle generazioni presenti senza trascurare quelle che verranno. Un responsabilità, dunque, nei confronti delle risorse ambientali che vede coinvolti non più i singoli Stati separatamente, l’uno indipendentemente dalle azioni dell’altro, ma che pretende l’impegno per la realizzazione di un’azione globale e sinergica. Il d.lgs. n.4 del 2008 introduce con l’art. 3 – quater il principio dello sviluppo sostenibile correlato alla tutela delle generazioni presenti e future ed impone alla pubblica amministrazione di tenere in prioritaria considerazione, nell’ambito di interessi pubblici e privati connata di discrezionalità, gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

Prende avvio da tali presupposti fondativi il principio secondo cui i danni causati all’ambiente devono gravare esclusivamente sui responsabili delle situazioni di contaminazione. Il principio del “chi inquina paga” – previsto nell’art. 3  – ter del medesimo  d.lgs.  si basa proprio su questo assunto e permette di far ricadere i costi destinati alla protezione dell’ambiente su chi provoca il degrado. In tal modo, si incoraggiano gli imprenditori a ridurre le emissioni inquinanti causate dalle proprie attività, ricercando prodotti e tecnologie innovative, in grado di assicurare il minor impatto possibile sulle risorse ambientali. L’introduzione di tale principio si basa sul convincimento che produttori e consumatori vengono indotti a scegliere alternative meno inquinanti proprio per evitare le sanzioni a carico dell’inquinatore[2]. Gli incentivi per incoraggiare l’utilizzo di tecniche meno dannose per l’ambiente possono essere di natura economica, creditizia o fiscale, accompagnate da misure che fungono da stimolo all’innovazione tecnologica.

Infatti, l’inquinamento, dal punto di vista economico, crea una inefficiente allocazione delle risorse economiche. Le Istituzioni pubbliche sono chiamate ad intervenire proprio al fine di correggere le alterazioni dell’ecosistema. E’ necessario un sistema pubblico di regolazione, attraverso cui si attribuisce un prezzo al bene ambiente in modo da costringere l’imprese a ridurre le emissioni inquinanti e a sopportare i costi per gli opportuni adeguamenti del processo produttivo.

E tuttavia il principio del “chi inquina paga” sconta il fatto di essere una tecnica riparatoria, chiamata a svolgere per sua naturale vocazione un ruolo di chiusura in quanto misura di contrasto rispetto al comportamento colpevole dell’operatore che pone in essere comportamenti contrari ai principi imposti dagli atti di regolazione.

Fin dal Trattato del 1957 il principio di prevenzione ha costituito un concetto chiave per la costruzione di un modello normativo preordinato alla salvaguardia delle risorse naturali. Esso trova esplicita accoglienza nel 1986 con l’adozione dell’Atto Unico Europeo. La disposizione contenuta nell’art. 130 R, attraverso il collegamento tra prevenzione e correzione dei danni causati all’ambiente, mette in luce l’esigenza di un favor per l’azione preventiva rispetto all’attività di correzione, che rappresenta una misura di extrema  ratio, volta a fronteggiare le alterazioni ambientali già verificatesi.

I documenti internazionali e quelli comunitari dedicano la loro attenzione agli strumenti di natura preventiva. I principi dell’azione preventiva e della precauzione si collocano in una posizione di assoluta priorità nell’attuazione delle politiche europee. In particolare, l’art. 174, 2° comma del Trattato dell’Unione europea si ispira a tali principi, impegnando l’Unione nell’elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ecosistema e la gestione oculata delle risorse naturali del pianeta.

Il principio di prevenzione assume una portata di carattere generale e si prefigge la predisposizione di misure protettive per evitare che il danno all’ambiente si produca, il concetto di precauzione costituisce una sua declinazione applicativa, una sua modalità di attuazione. Tuttavia, tra i due principi sussiste una differenza fondamentale poiché il meccanismo della precauzione – al contrario di quel che avviene per la prevenzione – si aziona anche quando è assente la certezza scientifica che un comportamento provochi nocumento per l’ambiente. In ogni caso azione preventiva e principio precauzionale rappresentano regole che contribuiscono in maniera significativa a prevenire i pericoli, anche meramente potenziali, alla salute umana, alla sicurezza, all’ambiente. Qualora “le informazioni scientifiche siano insufficienti, non conclusive o incerte e vi siano indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto” l’ordinamento comunitario predispone una serie di strumenti capaci di scongiurare il verificarsi dell’evento dannoso (Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, Bruxelles, 2 febbraio 2000).

La valutazione delle informazioni disponibili è uno degli aspetti di maggior interesse per quanto riguarda l’applicazione del principio di precauzione. Secondo il legislatore comunitario, soltanto se dopo un’accorta analisi dei dati conoscibili continua a permanere una situazione di incertezza sul piano scientifico e venga individuata la possibilità di effetti dannosi sulla salute possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

In altre parole, il principio di precauzione richiede un approccio anticipatorio  dei fenomeni legati all’ambiente e al patrimonio naturale tutte le volte in cui i danni che possono derivare all’ecosistema devono considerarsi irreversibili. Nella consapevolezza che il processo di modernizzazione ha “dato vita a quella che, emblematicamente, è stata denominata società del rischio[3], la ricerca di un punto di equilibrio tra il progresso tecnologico e industriale e i rischi che ne derivano assume un ruolo centrale.

 Sicché, al fine di prevenire il verificarsi di tali eventi pregiudizievoli bisogna porre in essere misure di contrasto in una fase antecedente a quella in cui il danno si è prodotto, addirittura quando non esiste ancora la certezza di una prova scientifica.

 

  1. La Convenzione di Aarhus: diritto alla trasparenza e partecipazione del pubblico ai processi decisionali sulle tematiche ambientali.

La Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale,  sottoscritto  ad  Aarhus, in Danimarca il 25 giugno 1998   costituisce il documento normativo che probabilmente più di altri getta le basi per la costruzione di una nuova organizzazione ambientale i cui tratti qualificanti sono la trasparenza e l’accesso alle informazioni ambientali, la diffusa e consapevole partecipazione dei singoli alle decisioni in materia ambientale, l’accesso del pubblico a meccanismi giudiziari efficaci. Siamo di fronte ad un vero cambio di passo in cui  l’aspetto innovativo per l’evoluzione dei modelli di tutela dell’ambiente consiste nell’incoraggiare la libera circolazione delle informazioni scientifiche, il libero accesso da parte dei cittadini alle informazioni ambientali.

Comincia, così, ad acquistare spessore giuridico il decimo principio contenuto nella Dichiarazione di Rjo del giugno del 1992, laddove si affermava che per affrontare le questioni legate all’ambiente il modo migliore restava il coinvolgimento consapevole della società.

La Convenzione di Aarhur riconosce che ogni persona ha il diritto di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere e il dovere di tutelare l’ambiente, nell’interesse delle generazioni presenti e future ma per affermare tale diritto e adempiere a tale dovere il presupposto è che i cittadini devono avere accesso alle informazioni, essere ammessi a  partecipare ai processi decisionali e avere accesso alla giustizia in materia ambientale[4].

Infatti, con un più ampio accesso alle informazioni e una maggiore partecipazione ai processi decisionali è possibile migliorare la qualità delle decisioni e realizzare una sensibilizzazione del pubblico alle tematiche ambientali.  L’innalzamento dei livelli di trasparenza migliora la qualità delle informazioni in possesso del decisore pubblico che devono essere precise, complete e aggiornate[5].

La trasparenza dunque assume un ruolo centrale nella politica dell’ambiente sia comunitaria che nazionale sia quando si tratta di agire con strumenti di carattere preventivo capaci di operare ex ante e dunque preordinati ad evitare il verificarsi di eventi dannosi, sia laddove la tutela si fonda su un intervento ex post, parametrato su criteri economicistici del c.d. risarcimento per equivalente, secondo il principio del  “chi inquina paga”.

Ed invero, per perseguire un elevato livello di tutela dell’ambiente sia di carattere anticipatorio che di tipo riparatorio la base irrinunciabile è il rafforzamento dell’accesso e della diffusione del patrimonio informativo in materia ambientale. La Convenzione di Aarhus chiede agli Stati di attuare il principio di massima trasparenza come diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed aventi ad oggetto tutti i dati, i documenti e le informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni in materia ambientale.

 

  1. Il diritto all’informazione ambientale nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 n. 4.

 Così la direttiva 2003/4/Ce pone come primario l’obiettivo di garantire il diritto di accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche, la messa a disposizione dei richiedenti al più presto possibile e in tempi ragionevoli tenendo conto di un eventuale termine specificato dal richiedente[6].

Il diritto all’informazione implica che la divulgazione dell’informazione sia ritenuta un principio generale e che alle autorità pubbliche sia consentito respingere una richiesta di informazione ambientale in casi specifici e chiaramente definiti. La direttiva chiarisce che le ragioni del rifiuto vanno interpretate in maniera restrittiva, operando un bilanciamento tra l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle. Le ragioni del rifiuto dovranno essere comunicate al richiedente entro un periodo di tempo prestabilito, in ogni caso contro il rifiuto delle informazioni deve essere sempre consentito ricorrere in sede giurisdizionale o amministrativa.

E’ fondamentale in tema di accesso delle informazione ambientali sia l’aspetto quantitativo che qualitativo: da tale ultimo punto di vista il dato reso disponibile deve essere comprensibile, preciso e reso comparabile. Gli Stati membri provvedono a rendere disponibile l’informazione ambientale da essi detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse. Le uniche ragioni che consentono alle autorità pubbliche di respingere la richiesta di informazione ambientale sono elencate tassativamente e riguardano casi di pregiudizio arrecato alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, alle relazioni internazionali, alla sicurezza pubblica o alla difesa nazionale; allo svolgimento di procedimenti giudiziari, alla possibilità di ogni persona di avere un processo equo o alla possibilità per l’autorità pubblica di svolgere indagini di carattere penale o disciplinare; alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali qualora la riservatezza sia prevista dal diritto nazionale o comunitario per tutelare un legittimo interesse economico, compreso l’interesse pubblico di mantenere la riservatezza statistica ed il segreto fiscale; ai diritti di proprietà intellettuale; alla riservatezza dei dati personali; alla tutela dell’ambiente cui si riferisce l’informazione, come nel caso dell’ubicazione di specie rare.  

 

  1. Il freedom of information act in materia ambientale secondo il d.lgs. n. 195 del 2005.

Il decreto legislativo n. 195 del 2005 rappresenta la prima disciplina di accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni in materia ambientale. Al fine di garantire la più ampia trasparenza dell’informazione ambientale il decreto stabilisce un sistema volto a diffonderla, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme facilmente consultabili, promuovendo l’uso delle tecnologie e della comunicazione.

Per la prima volta nell’ordinamento italiano viene introdotto il diritto di chiunque di conoscere dati e informazioni in possesso di pubblici uffici, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse.  Detto in altri termini, si tratta di un diritto di accesso generalizzato non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti. L’istante – a differenza di quanto avviene con riferimento alla disciplina dell’accesso previsto dalla legge n. 241/ 1990 – non deve dimostrare di essere titolare “di un interesse concreto diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.  L’intento del legislatore che ha costruito un diritto di accesso, superando il criterio della legittimazione soggettiva, va ricercato proprio nella realizzazione dell’interesse pubblico e della collettività alla tutela dell’ambiente e della salute, secondo quanto emerge dalle previsioni costituzionali contenute negli artt. 9 e 32.

Così, si realizza un sistema binario modellato, per un verso, sull’obbligo di pubblicazione imposto dalle disposizioni contenute negli artt. 4 e 8 del d.lgs. 195 ad ogni singola  amministrazione  chiamata ad istituire ed aggiornare appositi cataloghi pubblici contenenti l’elenco delle tipologie dell’informazione ambientali detenute, per altro verso, sul diritto  riconosciuto a “chiunque”, e a titolarità diffusa, che incontra quali unici limiti il rispetto degli interessi pubblici e privati indicati nell’art. 5.

Precisamente, l’obbligo di pubblicazione si realizza mettendo a disposizione l’informazione ambientale detenuta dalle amministrazioni pubbliche attraverso le tecnologie di telecomunicazione informatica e le banche dati da aggiornare annualmente che devono contenere i testi dei trattati e delle convenzioni internazionali e atti comunitari, nazionali e regionali in materia ambientale; le politiche, i piani e i programmi per l’ambiente; le relazioni sullo stato dell’ambiente; le valutazioni di impatto ambientale e gli accordi in materia ambientale.

Il decreto legislativo n. 195 prevede l’ulteriore  possibilità che l’informazione ambientale possa essere resa disponibile creando collegamenti a sistemi informativi e a banche dati elettroniche, anche gestiti da altre autorità pubbliche,  da rendere facilmente accessibili agli utenti.

La ratio della disciplina, che risente delle positive contaminazioni provenienti dal diritto comunitario[7],  è quella di favorire, proprio attraverso il principio di massima trasparenza, forme penetranti di controllo sulla qualità ambientale, rimovendo ogni impedimento che possa costituire un ostacolo alla corretta informazione sullo stato dell’ambiente.

Il decreto legislativo n. 195 del 2005 prevede una procedura molto puntuale che regolamenta le richieste d’accesso generalizzato. La pubblica amministrazione è tenuta a fornire il dato entro il termine di trenta giorni; nei casi in cui la domanda contenga aspetti di particolare complessità il termine è prorogato fino a sessanta giorni. In caso  di rifiuto l’amministrazione deve motivare per iscritto le ragioni del diniego.

Sia in caso di mancata risposta entro i termini previsti, che nell’ipotesi in cui l’amministrazione si esprima con un provvedimento di rigetto della domanda di accesso, il richiedente può presentare ricorso in sede giurisdizionale, ovvero chiedere il riesame al difensore civico competente per territorio, nel caso di atti di Comuni, Province o Regioni.

Si tratta di una disciplina all’avanguardia  che apre la strada nell’ordinamento italiano alla trasparenza costruita sul modello anglosassone e che consente ai cittadini di conoscere lo stato di  salubrità dei luoghi, di raccogliere i documenti e le informazioni sulle zone contaminate e il tipo di inquinamento, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di intervento di bonifica e ripristino ambientale e che consente di monitorare lo stato di avanzamento dell’attività di bonifica dei siti contaminati.

 Proprio nell’intento di allargare il perimetro dell’accesso il d.lgs. 195/2005 vi fa rientrare qualsiasi informazione ambientale “disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica od in qualunque altra forma materiale” che concerne lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria, l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, i siti naturali, le interazioni tra questi elementi; i fattori quali le sostanze, le energie, i rumori, le radiazioni, i rifiuti; le misure, anche amministrative, quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali;  le relazioni sull’attuazione della legislazione ambientale; le analisi costi e benefici;  lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, le condizioni della vita umana, il paesaggio, i siti e gli edifici d’interesse culturale.

 Il controllo sociale è reso possibile dalla circostanza che il decreto legislativo n. 195 del 2005 individua  casi di esclusioni del diritto di accesso di carattere puntuale che  operano, non come eccezioni assolute, ma attraverso il compimento di una attività valutativa che deve essere effettuata  caso per caso, con la tecnica del bilanciamento, tra l’interesse alla conoscibilità diffusa e i differenti diritti ritenuti dall’ordinamento altrettanto meritevoli di tutela.

In particolare, l’art. 5 del d. l.g.sl. n. 195 precisa che l’accesso all’informazione ambientale è negato quando l’informazione richiesta non è detenuta dalla pubblica amministrazione alla quale è rivolta la richiesta di accesso, ciò in quanto l’amministrazione non è tenuta a raccogliere informazioni che non sono in suo possesso, ma è obbligata a rispondere sulla base dei documenti e delle informazioni che possiede; inoltre i pubblici uffici non sono tenuti a rielaborare informazioni in loro possesso, per rispondere ad una richiesta di accesso generalizzato, ma deve consentire l’accesso ai documenti e ai dati  così come sono già detenuti e organizzati.

La richiesta è manifestamente irragionevole, ad esempio nel caso un numero cospicuo di documenti e informazioni sia tale da pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione; tale circostanza va adeguatamente motivata nel provvedimento di rifiuto.

La richiesta è espressa in termini eccessivamente generici, tale, cioè da non consentire l’individuazione del dato, del documento o dell’informazione, con riferimento almeno, alla loro natura e al loro oggetto.

Inoltre l’accesso all’informazione è negato quando la divulgazione del dato reca pregiudizio ad interessi pubblici inerenti a relazioni internazionali, all’ ordine pubblico, alla sicurezza pubblica, alla difesa nazionale; allo svolgimento di procedimenti giudiziari o alla possibilità per l’autorità pubblica di svolgere indagini per l’accertamento di illeciti; alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, cui si riferisce l’informazione, come nel caso dell’ubicazione di specie rare.

Ovvero se l’informazione reca pregiudizio ad interessi privati inerenti alla riservatezza dei dati personali, alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, ai diritti di proprietà intellettuale.

La disposizione obbliga l’amministrazione a verificare se il pregiudizio agli interessi  considerati nella previsione contenuta nell’art. 5 sia concreto e se esso dipenda direttamente dalla disclosure dell’informazione ambientale richiesta.  Ciò emerge chiaramente dal tenore letterale del 3° comma dell’art. 5 in cui si afferma che  “l’autorità pubblica applica le disposizioni dei commi 1 ° e 2° in modo restrittivo, effettuando, in relazione a ciascuna richiesta di accesso, una valutazione ponderata fra l’interesse pubblico all’informazione ambientale e l’interesse tutelato dall’esclusione dall’accesso”.

Detto in altri termini, affinché l’accesso possa essere rifiutato, il pregiudizio agli interessi con cui operare, di volta in volta, un bilanciamento, deve essere concreto e deve sussistere un nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio.

  1. Pubblicazione e accesso alle informazioni ambientali secondo il nuovo paradigma del d.lgs. n.33 del 2013: le nuove prospettive del diritto di conoscere l’ambiente.

Nell’ottica di un radicale mutamento di prospettiva delle relazioni tra istituzioni e cittadini, necessaria conseguenza dell’innovazione digitale e della progressiva transizione del sistema amministrativo verso modelli di democrazia partecipata, il d.lgs. n.33 del 2013 modificato dal decreto legislativo n. 97/2016 conferisce al principio della trasparenza una portata di carattere generale e non più limitata soltanto alle informazioni di carattere ambientale.

Le nuove discipline si pongono inoltre due obiettivi fondamentali collegati entrambi al valore della massima visibilità degli atti e delle informazioni pubbliche e in questa parte riprendono la previsione contenuta nell’art. 10 del d. lgs. n. 195  laddove si sottolinea  l’importanza della qualità dell’informazione ambientale e si chiede al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio di garantire che i dati detenuti dalle amministrazioni siano aggiornati, precisi e confrontabili.  Infatti, la trasparenza deve essere intesa come semplificazione e va realizzata attraverso la redazione di norme procedimentali più snelle con l’uso di un linguaggio comprensibile da parte del cittadino comune 2.

La semplificazione, anche linguistica, è il tratto qualificante della trasparenza, riempiendo di effettività il principio di eguaglianza sostanziale sancito nell’art. 3, 2° comma della Cost., laddove alla Repubblica viene affidato il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Poiché la capacità di coinvolgimento nei procedimenti amministrativi varia a seconda delle specifiche competenze e del diverso grado di istruzione delle persone, la trasparenza deve essere finalizzata, segnatamente, al fine di rendere accessibile a tutti il contenuto dei provvedimenti amministrativi, per una reale partecipazione.

Anzi, sotto questo profilo, la partecipazione dei cittadini acquisisce lo spessore di diritto fondamentale ai sensi dell’art. 2 Cost. ed essenza stessa del principio di trasparenza Non solo. L’esigenza di rendere comprensibili le scelte amministrative si pone come parte integrante del concetto di certezza del diritto, atteso che un’azione amministrativa equivoca e non intellegibile può facilmente trascendere in una lesione del principio di prevedibilità delle conseguenze giuridiche dell’agire individuale e, in buona sostanza, del principio di autoresponsabilità della persona.

Con particolare riferimento alle tematiche ambientali, l’art. 40 del decreto legislativo n. 33 del 2013 modificato dal d.lgs. n.97 del 2016 prevede che in materia di informazioni ambientali restano ferme le disposizioni di maggior tutela già previste dell’art. 3 – sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 che richiamando la Convenzione di Aarhus dispone che chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative  dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale.

Nel 2° comma, l’art. 40 richiama il decreto legislativo n. 195 del 2005 nella parte in cui prevede la pubblicazione da parte delle amministrazioni delle informazioni ambientali di cui all’art. 2, comma 1°, lettera a) del decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 195 che detengono ai fini delle proprie attività istituzionali; medesimo obbligo di pubblicazione è previsto per la relazione sullo stato dell’ambiente elaborata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Di tali informazioni deve essere dato specifico rilievo all’interno di una apposita sezione detta “informazioni ambientali”.

Il 3° comma si preoccupa di ribadire i casi di esclusione del diritto di accesso alle informazioni ambientali di cui all’art.5 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n.195.

I casi di esclusione del diritto alla conoscibilità generalizzata elencati nell’art. 5 sopra richiamato costituiscono ipotesi residuali, al cospetto di un quadro ordinamentale edificato sui pilastri della trasparenza universale.  Il diniego di accesso agli atti e ai documenti in materia ambientale deve trovare giustificazione, in termini di pregiudizio concreto degli interessi in gioco. In particolare, il legislatore del 2005 con i casi di esclusione previsti nell’art. 5 non pone delle eccezioni assolute al diritto di accesso, ma rinvia ad una attività valutativa che deve essere effettuata caso per caso, attraverso la tecnica del bilanciamento, tra l’interesse pubblico all’accesso generalizzato e  altre esigenze di carattere pubblico o privato.

Nel caso in cui l’amministrazione propenda per il diniego connesso all’esistenza di effetti pregiudizievoli per altri interessi coinvolti nella richiesta di accesso, l’amministrazione è tenuta a motivare in maniera congrua e completa il provvedimento, al fine di consentire al cittadino di conoscere le ragioni del rifiuto ed eventualmente   ricorrere dinanzi al giudice amministrativo.

Si è avuto già modo di chiarire che gli interessi pubblici e privati indicati nell’art. 5 del decreto legislativo n. 195 e richiamati nel d.lgls.n.33 costituiscono esclusioni relative al diritto di accesso generalizzato, nel senso che solo dinanzi all’esistenza di un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi considerati è possibile rigettare l’istanza.

Le amministrazioni che detengono informazioni ambientali potranno trarre utili indicazioni  ai fini della identificazione degli interessi pubblici e privati considerati nell’art. 5 del decreto n. 195 del 2005 nelle linee guida approvate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali[8].  

[1] In proposito, si rinvia a I. Nicotra, Relazione Introduttiva, in Il danno ambientale tra prevenzione e riparazione, a cura di I. Nicotra – U. Salanitro, Torino 2010,  16 ss.

[2] Cfr., sul punto, M. Meli, Il principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, in Il danno ambientale, cit., 69 ss.; ID., Il principio chi inquina paga e il costo delle bonifiche, in Principi europei e illecito ambientale, a cura di A. D’Adda, I.A. Nicotra, U. Salanitro, Torino 2013, 59 ss.

[3] Così T. Fortuna, Inquinamento elettromagnetico vs diritto alla salute: il rimedio nell’approccio precauzionale, in Principi europei e illecito ambientale, cit.

[4] Cfr.E. Croci, Trasparenza dell’azione pubblica in materia ambientale: l’evoluzione normativa, in Diritto dell’Ambiente, www.dirittoambiente.com

[5] In proposito, sia consentito rinviare a I.A. Nicotra, La trasparenza e la tensione verso i nuovi diritti di democrazia partecipativa, in L’Autorità Nazionale Anticorruzione tra prevenzione e attività regolatoria, a cura di I. A. Nicotra, Torino 2016, 143 ss.

[6] Al riguardo, F. Albanese, Il diritto di accesso agli atti e alle informazioni ambientali, in www.lexambiente.

[7] Sull’influenza del diritto dell’Unione europea sulla legislazione ambientale italiana, I.A. Nicotra,  Influenza del diritto dell’Unione Europea sulla legislazione penale ambientale tra “contro limiti” e principi costituzionali, in  Principi europei, cit. e cfr. inoltre I principi contenuti  nella direttiva comunitaria 2003/4/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003.

[8] Cfr. Linee Guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.l.gs.33/2013, Art. 5 bis, comma 6, del d.lgs. n. 33 del 14/03/2013 recante “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”,  approvato con Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016.