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Relazione francese del dott. Jean-Michel Dubois-Verdier – Online 10 dicembre 2020

La mediazione nel processo amministrativo: l’applicazione ai conflitti ambientali

Premessa: Il docente francese, che si occupa di diritto comparato sul tema che ci viene proposto per questo convegno on line, deve affrontare una questione complessa. Infatti, non esiste una procedura di mediazione in quanto tale dinanzi al giudice amministrativo italiano. Al contrario, dal 2015 esiste una procedura di mediazione prevista dal codice di giustizia amministrativo francese. Tuttavia e sempre in Francia, per quanto riguarda il tema specifico dell’ambiente, vi sono molte altre procedure che possono svolgersi anche prima che una controversia sia portata davanti al giudice amministrativo, e che tendono a mettere a fronte le autorità pubbliche, da un lato, e i gruppi di interesse o i singoli interessati alle questioni ambientali, dall’altro, al fine di produrre un accordo o un compromesso tra le parti attraverso l’intervento di un terzo esterno, che può essere chiamato mediatore o conciliatore o con qualche altro nome. Ciò rende difficile dare une definizione troppo restrittiva delle procedure di mediazione ambientale.
Un altro aspetto della situazione francese è il ruolo preponderante dello Stato in materia ambientale e, di conseguenza, il ruolo anche lui importante del giudice amministrativo, giudice della legalità degli atti amministrativi, nonché della responsabilità delle persone pubbliche. Il contenzioso amministrativo francese può dunque riguardare un numero molto elevato di controversie in materia ambientale.
Cercherò quindi di trattare l’argomento in modo relativamente empirico, esaminando la procedura di mediazione davanti al giudice amministrativo francese. Di tanto in tanto, parlerò tuttavia da un punto di vista più ampio, quello della mediazione ambientale in generale.
1. Per quanto riguarda il contesto storico del nostro tema, possiamo dire che tradizionalmente e fino ad anni recenti, il diritto amministrativo francese era dominato dall’idea centrale che le controversie dei cittadini con l’amministrazione fossero risolte principalmente e persino in modo esemplare davanti al giudice amministrativo, principalmente attraverso il “recours pour excès de pouvoir” . Certo, c’era da tempo una certa perplessità sull’efficacia pratica del ricorso davanti al giudice amministrativo, perché, da un lato, l’annullamento degli atti amministrativi poteva spesso avvenire a distanza di diversi anni dalla presentazione di un ricorso e, dall’altro, i tribunali amministrativi erano sempre più gravati negli anni da un aumento vertiginoso del numero di ricorsi.
Per ovviare a questa mancanza di efficienza pratica del contenzioso amministrativo e del sistema giudiziario nel suo complesso, alla fine del XX secolo sono emerse diverse soluzioni. Abbiamo così assistito, quasi ovunque nel mondo ma anche in Francia, alla nascita e allo sviluppo di questi “strumenti alternativi di risoluzione delle controversie” “Alternative Dispute Resolution (ADR) Environmental Dispute Resolution, EDR”, che ha dato vita ad una cultura della risoluzione alternativa delle controversie: l’idea di fondo per questi strumenti di risoluzione delle controversie era di offrire una “giustizia plurale”, che avrebbe dovuto portare un “vento di modernità” al sistema giudiziario.
Conviene sottolineare l’aggettivo “alternativo”, perché uno degli scopi essenziali di queste procedure è quello di limitare o addirittura escludere l’intervento del giudice, quale organo dello Stato, per incoraggiare le parti a negoziare, cosa che fino ad allora non era caratteristica della cultura francese e del suo sistema giuridico.
In Francia, è stata prima la giustizia civile e commerciale ad introdurre nella sua organizzazione questi strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. In primo luogo, attraverso la riforma delle procedure di conciliazione e di arbitrato, che esistevano da tempo nel diritto civile o commerciale. Nel 1995 è stata così istituita una procedura di mediazione giudiziaria che è stata inserita nel nuovo codice di procedura civile: “Il giudice adito può, previo accordo delle parti, nominare un terzo per sentire le parti e confrontare i loro punti di vista al fine di consentire loro di trovare una soluzione al conflitto tra di loro. Tale potere spetta anche al giudice statuendo in sede cautelare “(articolo 131-1 del CPC francese).
Come si è adattato il diritto pubblico francese, dalla sua parte, in relazione allo sviluppo degli strumenti di risoluzione alternativi dei conflitti?
Per quanto riguarda il diritto amministrativo generale, va notato che già nel 1973 era stata creata un’istituzione esemplare per il nostro tema: il “Médiateur de la République” era un’autorità amministrativa indipendente incaricata di migliorare i rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione. Oggi questo mediatore è diventato il “Défenseur des droits”, che ha la responsabilità di assicurare la protezione dei diritti e delle libertà e di promuovere l’uguaglianza. Sul modello di questa istituzione, inoltre, sono stati creati dei “médiateurs” specializzati nei ministeri: esiste così, dal 1998, un médiateur nazionale per la pubblica istruzione ; un médiateur nei ministeri dell’economia e delle finanze è competente per aiutare a risolvere una controversia con l’amministrazione fiscale o doganale.
Comunque, per quanto riguarda la giurisdizione amministrativa, c’è stata una certa lentezza, fino al 2016, nell’adattarsi allo sviluppo di una vera e propria procedura di mediazione. La prospettiva di vedere uno sviluppo nel diritto pubblico di strumenti di risoluzione delle controversie che potessero scavalcare il giudice poteva forse suscitare diffidenza.
A dire il vero, non è che non ci sia stata prima del 2016 nessuna procedura di composizione in via amichevole nel contenzioso amministrativo.
Ad esempio, esistevano da molto tempo dei comitati consultivi per la composizione amichevole delle controversie relative agli appalti pubblici, (il primo comitato è stato istituito nel 1907!). Questi comitati continuano oggi a costituire un metodo di risoluzione delle controversie in materia di appalti pubblici.
Inoltre, nel gennaio 1986 era stato concesso un potere di conciliazione ai tribunali amministrativi, ma questa procedura è stata poco utilizzata.
Esisteva anche una procedura di mediazione per le controversie transfrontaliere, introdotta nel novembre 2011, a seguito di una direttiva europea del 2008, ma questa procedura ha avuto un impatto più che limitato.
A partire degli anni 2010 è iniziata una riflessione sulla possibilità di estendere il ricorso alla mediazione davanti al giudice amministrativo francese, alla luce delle prassi del giudice civile e del diritto comparato. Questa riflessione ha portato all’introduzione di un nuovo capo nel codice di giustizia amministrativa, interamente dedicato alla mediazione, in virtù di una legge del 18 novembre 2016, significativamente detta “modernizzazione della giustizia nel XXI secolo”.
Si tratta quindi di un’evoluzione diversa dall’Italia dove il legislatore, per il momento, ha deciso di limitare l’ambito di applicazione della mediazione alle sole controversie in materia civile e commerciale.
Con questa legge per la modernizzazione della giustizia e l’introduzione di una procedura di mediazione nel codice di giustizia amministrativa, l’idea generale non era tanto, come si potrebbe pensare, di ridurre il numero dei ricorsi davanti ai tribunali, anche se ci sono migliaia di controversie che possano essere oggetto di mediazione, quanto piuttosto di pacificare la risoluzione delle controversie e di dare priorità al dialogo . In altri termini, l’idea era di aiutare la giurisdizione amministrativa nel suo ruolo di regolatore sociale.

2. Questo procedimento di mediazione davanti al giudice amministrativo francese è definito come “un procedimento strutturato, qualunque sia la sua denominazione, con il quale due o più parti tentano di raggiungere un accordo in vista della risoluzione amichevole delle loro controversie, con l’aiuto di un terzo, il mediatore da loro scelto o nominato, con il loro accordo, dal tribunale”.
Vediamo che il legislatore francese ha scelto, per il giudice amministrativo, di dare una definizione estremamente ampia della mediazione, in quanto si tratta di un processo, suscettibile di comprendere diversi tipi di composizione delle controversie, abbandonando in particolare la distinzione tra conciliazione e mediazione fatta dal codice di procedura civile. Di conseguenza, chiunque abbia una controversia con la Pubblica Amministrazione può ricorrere alla mediazione.
L’unica restrizione è che la mediazione deve essere un processo “strutturato”, cioè deve avvenire all’interno di un quadro , essendo tuttavia questo quadro estremamente ampio. All’interno di tale quadro, il mediatore ha quindi il potere di conciliare, negoziare o anche arbitrare…
– Il codice determina il quadro della mediazione definendo delle regole generali:
i) in primo luogo, si applicano regole di deontologia. Il mediatore, o la mediatrice, che può essere una persona fisica o giuridica, deve svolgere la sua missione con imparzialità, diligenza e competenza. La competenza in materia ambientale può essere infatti essenziale: nella Carta etica del mediatore adottata dal Consiglio di Stato francese è previsto che il mediatore debba avere una significativa esperienza professionale nel campo della controversia ed essere qualificato nelle tecniche di mediazione. Secondo questa Carta, il mediatore deve quindi impegnarsi ad aggiornare e perfezionare le sue conoscenze teoriche e pratiche – ad esempio partecipando a eventi sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie (colloqui, workshop, dibattiti, ecc.) . Un’altra regola etica fondamentale è che la mediazione è soggetta al principio di riservatezza. Le conclusioni del mediatore e le dichiarazioni raccolte durante la mediazione non possono essere divulgate a terzi o invocate nell’ambito di un procedimento giudiziario senza il consenso delle parti, con l’eccezione notevole di motivi imperativi attenenti all’ordine pubblico.
ii) Il codice di giustizia amministrativa prevede anche che le parti possano raggiungere un accordo: tale accordo non può pregiudicare gli eventuali diritti dei terzi. Questo accordo può anche essere omologato dal giudice amministrativo se le parti lo richiedono e quindi diventare vincolante
– Il codice distingue inoltre due tipi di mediazione:
i) La mediazione su iniziativa delle parti: le parti possono, al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria, organizzare la mediazione da sole e nominare il mediatore, oppure possono rivolgersi al giudice amministrativo per l’organizzazione della mediazione, a chi tocca in questo caso designare il responsabile della missione.
Nel caso di mediazione su iniziativa delle parti, i termini per il ricorso sono interrotti a partire dal giorno in cui le parti decidono di ricorrere alla mediazione.
(ii) La mediazione su iniziativa del giudice: la mediazione in questo caso è ordinata dal giudice, con l’accordo delle parti, nel caso in cui vi sia una controversia pendente dinanzi al giudice, al fine di consentire alle parti di raggiungere un accordo.
Ciò che deve quindi essere chiaramente compreso è che la mediazione così prevista dal codice di giustizia amministrativa è diversa da una controversia in contenzioso. La mediazione è diversa della procedura giudiziaria, puo avvenire sia prima della presentazione di un ricorso, sia dopo la presentazione di un ricorso e anche dopo un giudizio, in caso di appello ad esempio. L’obiettivo è che le parti cerchino di raggiungere un accordo.
3. Quattro anni dopo la riforma, quali conclusioni si possono trarre dell’esperienza di mediazione davanti al giudice amministrativo?
Nel corso della prima conferenza nazionale sulla mediazione amministrativa del 18 dicembre 2019, il Vicepresidente del Consiglio di Stato ha rilevato che nel 2018 sono state organizzate quasi 800 mediazioni dai tribunali amministrativi, sia su iniziativa delle parti prima della presentazione di un ricorso, sia dopo la presentazione di un ricorso, su iniziativa del giudice. Il 67% delle mediazioni effettuate ha portato a un accordo. Entro il 2019, la soglia dei 1.000 mediazioni stava per essere superata, con un tasso di accordo simile. Molto promettente si è rivelato anche il processo di mediazione preventiva obbligatoria iniziato il 1° aprile 2018 in alcune controversie sociali o concernenti i dipendenti pubblici: su quasi 1.400 mediazioni concluse nel primo anno di attuazione, l’82% aveva portato a un accordo con l’amministrazione o a una rinuncia al ricorso dopo l’accettazione della decisione.
Alcuni contenziosi, come il contenzioso dell’urbanistica, si prestano alla mediazione, in particolare nel caso delle controversie promosse da associazioni di tutela dell’ambiente o di quartiere, che sono controversie che riguardano la vita quotidiana e sono spesso un pretesto per risolvere un conflitto che ha poco a che vedere con la regolarità di un atto nel confronto della legislazione urbanistica .
Ma nel caso francese, c’è un paradosso per quanto riguarda la mediazione ambientale. Infatti, se guardiamo le cifre relative alle mediazioni nei tribunali amministrativi, sia su iniziativa delle parti che su iniziativa del giudice, nel 2020, su un totale di 1027 richieste di mediazione registrate a livello nazionale, sono state registrate solo 6 richieste di mediazione in materia ambientale, mentre in urbanistica la cifra è di 145! Per il 2020 le cifre sono ancora più basse, dato che sono state registrate solo 5 richieste di mediazione ambientale, tutte su iniziativa del giudice, rispetto alle 132 richieste nella materia urbanistica. Inoltre, in termini di mediazioni completate nel 2019, i dati indicano che sono state completate 3 mediazioni su iniziativa delle parti, ma nessuna di esse ha avuto un esito positivo.
Questa debolezza o insufficienza nella mediazione ambientale non sembra essere particolare alla Francia. Se ci riferiamo allo sviluppo della mediazione a partire dalla metà degli anni Settanta, sembra che l’ambiente sia il “parente povero” della famiglia della mediazione, in particolare nei paesi francofoni (ad eccezione del Quebec).
Quali sono le cause che sono all’origine di questa bassa percentuale nei casi in cui viene usata la procedura di mediazione in materia ambientale davanti i tribunali amministrativi francesi?
In primo luogo, ci sono delle cause generali, legate alla particolare natura delle controversie ambientali:
(i) La natura pubblica del conflitto: molte controversie relative ad atti o provvedimenti dell’amministrazione riguardanti la gestione dell’ambiente per il futuro mettono di fronte attori i cui interessi non possono convergere: in una parola, l’interesse pubblico difeso dall’amministrazione si oppone agli interessi privati e non può essere riconciliato con essi. Inoltre, questi interessi privati possono essere essi stessi in opposizione.
ii) l’assenza di interessi da risolvere attraverso la mediazione di conflitti relativi ad atti dell’amministrazione finalizzati alla riparazione o alla riparazione del danno ambientale che comunque si sono ad ogni modo già verificati a seguito di comportamenti privati o di atti amministrativi errati.

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Relazione italiana dell’avv. Veronica Dini – Online 10 dicembre 2020

LA MEDIAZIONE NEI CONFLITTI AMBIENTALI

I conflitti ambientali: caratteristiche e peculiarità – in ottica preventiva

1. Per comprendere le ragioni per cui si è ritenuto opportuno e interessante sperimentare l’applicazione dei procedimenti di mediazione ai conflitti ambientali, occorre innanzitutto comprendere di che cosa parliamo quando parliamo di conflitti ambientali.
Ebbene, innanzitutto, parliamo di istanze di giustizia ambientale. Tra i casi più emblematici che vengono sottoposti all’attenzione dei tribunali, vi sono quelli che riguardano i rapporti fra uomo e natura, l’accesso alle risorse, la preservazione del paesaggio e dei beni culturali, della biodiversità. Ma anche le controversie in materia di agricoltura sostenibile, inquinamento da allevamenti intensivi.
Oggi, anche le questioni più strettamente connesse all’urbanistica e al governo del territorio, laddove attengono anche a questioni di impatti ambientali, connessi ad esempio, a nuovi insediamenti o alla presenza di aree verdi, generano istanze di giustizia ambientale, riconosciute come tali.
Ancora, numerosissimi e rilevantissimi sono i casi di conflitti ambientali che riguardano la gestione e il traffico dei rifiuti, le discariche abusive, oltre che le contaminazioni che ne derivano a terreni e corsi d’acqua.
Anche il settore dell’energia è un fronte amplissimo di contenzioso ambientale, non solo laddove si osteggiano modelli fondati sull’energia fossile, ma anche quando si dibatte sulla compatibilità paesaggistica e sulla reale sostenibilità degli impianti di energia prodotta da fonti alternative.
Ancora, pensate al conflitto in materia di sicurezza alimentare e diritto al cibo. Per non parlare, naturalmente, del conflitto in materia di trasporti e di emissioni inquinanti connesse.
Oggi, naturalmente, a questa casistica già amplissima e complessa, si deve aggiungere quella relativa ai danni connessi cambiamento climatico, che abbraccia e interessi e questioni globali di grande rilevanza e urgenza.

2. Cosa possiamo dire innanzitutto di questi di questi conflitti?
Certamente che coinvolgono e ci interpellano sui rapporti tra uomo e natura ma anche tra uomo e uomo. Che riguardano l’accesso, la fruizione, l’uso e la proprietà delle risorse ambientali, che sono non solo esauribili, come ci insegna la letteratura scientifica e l’esperienza ormai di tutti i giorni, ma in gran parte già esaurite o gravemente compromesse.
Più in generale, dunque, possiamo dire che questi contenziosi riguardano la distribuzione equa e sostenibile (in orizzontale in verticale) dei rischi ambientali e dei benefici connessi all’attività umana, alla sostenibilità del modello di sviluppo attuale.
Ma, ancor di più e ancor prima, i conflitti ambientali oggi riguardano la partecipazione alle politiche ambientali, l’accesso alle informazioni ambientali e agli organi giurisdizionali, alla Giustizia ambientale: prima e più ancora che una richiesta di tutela ambientale in senso stretto, in molti casi questi conflitti contengono una domanda di partecipazione e di coinvolgimento dei cittadini nelle politiche che riguardano l’ambiente e nell’assunzione di decisioni che hanno ripercussioni in materia ambientale.
Non si tratta quindi più di conflitti locali esclusivamente circoscrivibili alle sindromi NIMBY (not my back yard) o NIABY (not in anyone’s back yard). Si tratta di conflitti la cui rilevanza è ben più ampia, nei contenuti, nelle istanze, nell’urgenza, oltre che nella estensione geografica.

3. In questo senso, dunque, quando parliamo di giustizia ambientale oggi non possiamo non parlare anche di giustizia sociale. Le connessioni sono state indagate ormai da molti anni.
Risale agli anni ‘60, negli Stati Uniti, la declinazione del concetto di razzismo ambientale, in occasione delle lotte della popolazione nera, contro l’insediamento di discariche e impianti inquinanti nei ghetti periferici delle grandi città.
Ma la situazione non è migliorata, col tempo: pensate alle favelas delle megalopoli del Sudamerica, nelle quali, accanto a quartieri poveri e disagiati in cui privazioni di carattere sociale ed economico si accompagnano a condizioni di vita igieniche e ambientali assolutamente intollerabili, sopravvivono e crescono quartieri borghesi nei quali la qualità della vita è di gran lunga più elevata, anche sotto il profilo ambientale.
Non si tratta, peraltro, di fenomeni cui il nostro Paese è esente. Se pensate ai casi eclatanti dei conflitti ambientali legati all’Ilva di Taranto, agli impianti di Casale Monferrato, ai petrolchimici italiani, ebbene è chiaro in tutti questi casi non si discute solo di questioni ambientali, ma anche del rapporto tra le condizioni di lavoro, le esigenze di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, e il sistema economico, il rapporto fra comunità, imprenditoria e istituzioni. In questi casi, si dibatte della sostenibilità – ambientale, sanitaria, sociale, economica, del nostro modello di sviluppo.
La questione è ancora più evidente quando si tratta dei conflitti, cui si è già accennato, connessi al cambiamento climatico: è noto dagli studi che ormai sono diffusi in tutto il mondo che, a fronte di una fetta relativamente limitata di popolazione che negli anni ha prodotto emissioni inquinanti rilevantissime e che continua a farlo, esiste un’altra parte del mondo che, tendenzialmente, ha una responsabilità storica minore e che, nonostante questo, è quella che subirà e subisce la maggior parte delle dei danni connessi al cambiamento climatico o che non sarà in grado d affrontarli.READ MORE